Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35666 del 12/07/2018

Penale Sent. Sez. 2 Num. 35666 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: ARIOLLI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso l’ordinanza del 29/07/2017 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI;sentite le conclusioni del
PG DELIA CARDIA
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio sotto il profilo delle esigenze
cautelari.
udito il difensore
L’avvocato IARIA GIACOMO insiste per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 12/07/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 7.7.2017 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Reggio Calabria applicava a A.A. la misura cautelare
della custodia in carcere in relazione all’accusa di associazione di stampo mafioso
(art. 416-bis cod. pen.) quale partecipe della cosca di ‘ndrangheta definita
“locale di Roghudi” operante nell’ambito del “Mandamento Ionico” (capo A).

7/9/2017), rigettando il gravame, confermava l’ordinanza impugnata.
2. Avverso tale ultimo provvedimento ricorre per cassazione il difensore
dell’indagato chiedendone l’annullamento. A sostegno deduce:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla gravità
indiziaria, essendosi limitato il Tribunale del riesame a riprodurre sul punto ampi
stralci della parte motiva del provvedimento genetico, senza procedere ad
un’autonoma rielaborazione ed omettendo di fornire risposta alle doglianze
proposte dal ricorrente nella richiesta di riesame;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’omessa
valutazione della memoria difensiva depositata all’udienza del 26/7/2017 e volta
a dimostrare l’insussistenza della gravità indiziaria;
2.3. violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla
sussistenza della gravità indiziaria rispetto al reato associativo, in quanto gli
unici elementi accusatori sono tratti dal contenuto di alcune conversazioni di
carattere etero accusatorio, prive tuttavia della necessaria gravità, precisione e
concordanza anche con riguardo al ruolo che sarebbe stato attribuito all’imputato
e al contributo che questi avrebbe fornito al sodalizio investigato.
In particolare, quanto alla prima conversazione (del 10/3/2010)
intervenuta tra Pelle Giuseppe (figura di spicco della ‘ndrangheta) e Morabito
Rocco, nel corso della quale il ricorrente sarebbe stato additato come soggetto al
quale erano state conferite doti di ‘ndrangheta, mancavano in atti elementi di
indagine o operazioni tecniche che valessero ad identificarlo nel soggetto
nominato dai conversanti come “Marieddhu”, né risultava verificata l’esistenza di
altri cugini a nome Mario (ed essendo stato riferito dalla stessa PG l’utilizzo del
nomignolo “Marietto” ad altro soggetto, tale Favasuli Mario). In ogni caso, il
mero riferimento a doti di ‘ndrangheta non collegato a nessun altro elemento era
privo di valenza dimostrativa della condotta di partecipazione, da intendersi in
senso dinamico e funzionale, anche in ragione dell’assenza di prova
dell’esistenza di una cosca A.A.(posta la sua decimazione con gli arresti e
condanne conseguenti ai processi Aromonia e Crimine).

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1.1. Il Tribunale del riesame, con ordinanza in data 29.7.2017 (dep.

Con riferimento alla seconda conversazione del 5.6.2009 oscuro ne era il
significato e, soprattutto, non ne era dato ricavare una lettura che deponesse
esclusivamente nel senso di ritenere il ricorrente intraneo alla cosca mafiosa in
contestazione, in assenza di altri elementi di riscontro idonei a comprovare
l’esistenza di un effettivo contributo prestato al sodalizio (semmai dai colloqui
avrebbe potuto sospettarsi una mera conoscenza da parte del ricorrente,
giustificata da motivi di parentela, delle dinamiche interne della presunta

organica adesione al sodalizio).
2.4. violazione di legge e vizio di motivazione (apodittica) in punto di
sussistenza di esigenze cautelari, laddove ha ritenuto del tutto irrilevante il
decorso del tempo al fine di dimostrare la rescissione del vincolo o la
impossibilità in assoluto ed in astratto del contributo suscettibile di essere
prestato dall’associato al sodalizio, in contrasto con il dato normativo che
richiede un pericolo non solo concreto ma attuale di commissione futura di delitti
di criminalità organizzata.
3. Con memoria in data 7/6/2018, la difesa del ricorrente ha depositato
motivi aggiunti con cui, in relazione alla valenza indiziaria del colloquio del
5/6/2009, evidenzia come un Collegio di questa Sezione, annullando l’ordinanza
genetica con riguardo alla posizione di F.F., ne abbia asseverato
l’inconsistenza in termini di affermata militanza mafiosa. Tali argomentazioni
erano spendibili anche con riguardo al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso non è fondato.
4.1-4.2. Quanto a primi due motivi di ricorso, va ribadito l’orientamento di
legittimità, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui, in tema di misure
cautelari personali, non è affetta da vizio di motivazione l’ordinanza del tribunale
del riesame che conferma in tutto o in parte il provvedimento impugnato,
recependone le argomentazioni, perché in tal caso i due atti si integrano
reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze di motivazione
dell’uno possono essere sanate con le argomentazioni utilizzate dall’altro (Sez. 3,
‘n. 8669 del 15/12/2015, dep. 3/3/2016, Rv. 266765; Sez. 6, n. 48649 del
6/11/2014, Rv. 261085). Deve pertanto ritenersi legittimo il richiamo

per

relationem alla motivazione dell’ordinanza cautelare, anche in considerazione
dell’elevatissimo numero delle posizioni degli indagati da esaminare nel presente
caso e della brevità dei tempi concessi dalla legge alla procedura di riesame. Tale

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organizzazione criminale senza che ciò potesse tuttavia tradursi in un di lui

rinvio non ha precluso la valutazione degli elementi fondanti la cautela alla luce
delle deduzioni difensive, atteso anche l’espresso richiamo, contenuto alle pagine
2 e 5 del provvedimento impugnato, alla memoria depositata dalla difesa.
4.3. Con riferimento al motivo relativo alla gravità indiziaria, ritiene il
Collegio che il giudice di seconde cure, nell’attribuire a tale elemento, in via
diretta, una specifica valenza probatoria a carico dell’indagato, abbia fatto
corretta applicazione dei principi affermati in materia da questa Corte. Si è,

intranei all’associazione mafiosa, frutto di un patrimonio conoscitivo condiviso
derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie
relative a fatti di interesse comune degli associati – quale indubbiamente
doveva essere la questione relativa agli equilibri della locale di ‘ndrangheta di
Roghudi e, in particolare della nomina del relativo capo – sono utilizzabili in
modo diretto, e non come mere dichiarazioni de relato soggette a verifica di
attendibilità della fonte primaria (Sez. 1 n. 23242 del 6/05/2010, Rv. 247585,
e Sez. 5 n. 4977 dell’8/10/2009, Rv. 245579, che hanno affermato, con
riguardo alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, un principio che deve
ritenersi estensibile, a maggior ragione, alle comunicazioni – di indubbia
genuinità – tra soggetti inconsapevoli dell’attività di captazione in corso; vedi
da ultimo anche Sez. 1, n. 49270 del 24/2/2016, n.m.). Nel caso di specie, la
provenienza delle informazioni, tratte dal contenuto delle intercettazioni
ambientali, è stato ricavato da persone (Pelle Giuseppe e Morabito Rocco) che
non occupano ruoli secondari nel sodalizio criminoso, e, dunque, che sono
portatrici di una conoscenza qualificata dei fatti oggetto di conversazione e
commento, per come ricavato non solo dalla storia giudiziaria delle stesse, ma
anche e soprattutto dalla conoscenze di dinamiche e fatti di rilievo criminale
per come asseverato nelle sentenze di merito che li hanno interessati. Il
colloquio, pertanto, non ha ad oggetto il c.d. “chiacchiericcio” tra sodali, ma
verte su questioni di particolare rilievo che attengono alle dinamiche della
locale oggetto di interesse. Ed è proprio in tale delineato ambito che viene fatto
il nome dell’indagato, al quale è riconosciuta una specifica valenza criminale,
precisandosi che allo stesso sono state conferite “doti di ‘ndrangheta”. Tale
qualità è certamente dimostrativa della condotta di partecipazione, anche in
considerazione della massima di esperienza secondo cui, a differenza
dell’affiliazione, il conferimento della cd. “dote” implica l’avvenuta attivazione del
soggetto nell’ambito associativo (Sez. 1, n. 55359 del 17/6/2016, Rv. 269040).
Inoltre, dalla conversazione emerge come l’indagato avrebbe voluto doti
maggiori e, dunque, di come lo stesso fosse attivamente coinvolto nelle vicende

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infatti, al riguardo chiarito che i contenuti informativi provenienti da soggetti

associative sino a rivendicare un ruolo maggiore. Né può costituire ragione
fondante l’esclusione della gravità indiziaria l’addotta circostanza secondo cui la
cosca A.A. sarebbe stata “decimata” dagli arresti, e condanne subite dai
diversi accoliti, in quanto i giudici di merito evidenziano come al contrario la
questione relativa alla direzione della cosca si ponesse nell’ambito di una contesa
espressiva di vitalità associativa.
Quanto all’identificazione dell’indagato nell’ambito della conversazione,

rapporto di parentela esistente con M.M., pure declinato e
specificamente identificato, non emergendo agli atti né essendo stata dedotta
l’esistenza di altri cugini aventi lo stesso nome, tale da far dubitare dell’operata
individuazione. Peraltro, la censura – che muove dall’errata identificazione
dell’indagato nel “Marietto” al quale gli interlocutori avrebbe fatto riferimento nel
corso della conversazione – risulta del tutto generica in quanto il ricorrente
omette di indicare le circostanze che renderebbero attribuito proprio all’indagato
tale nomignolo (tenuto altresì conto della contrapposizione con la cosca di
Favasuli), a cui peraltro si fa riferimento in altra parte delle conversazione
rispetto a quella attinente al conferimento delle doti di ‘ndrangheta. Infine, la
doglianza risulta essere stata posta quale questione di merito, richiedendosi alla
Corte un riesame del contenuto degli atti, precluso in questa sede.
Tanto premesso, le censure mosse, anche con la memoria successivamente
depositata, con riferimento al contenuto delle altre intercettazioni comunque
evocate dal Tribunale a corredo della gravità indiziaria, le quali danno comunque
atto – per le valutazioni proprie della sede cautelare – di un coinvolgimento
dell’indagato nelle vicende oggetto di investigazione, non sono idonee a scalfire
la consistenza gravemente indiziaria dell’elemento di prova posto alla base della
conferma dell’ordinanza cautelare.
4.4. Infondate sono anche le censure mosse in ordine alla sussistenza delle
esigenze cautelari. Il Tribunale – che, nel fare richiamo alle osservazioni svolte
dal g.i.p. in ordine al pericolo di reiterazione del reato, ha inoltre osservato come
questo non fosse stato specificamente contestato dalla difesa – si è posto in linea
con i principi affermati da questa Corte, secondo cui, in tema di applicazione di
misure cautelari personali, anche a seguito della novella attuata con legge 16
aprile 2015, n. 47, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. continua a prevedere
una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari
ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria. Ne consegue
che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza del delitto di partecipazione ad
un’associazione mafiosa, il giudice non ha un obbligo di dimostrare in positivo la

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questa risulta essere correttamente avvenuta mediante l’esplicito riferimento al

ricorrenza dei

pericula libertatis,

ma deve soltanto apprezzare l’eventuale

sussistenza di segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio
criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in
mancanza dei quali trova applicazione in via obbligatoria la sola misura della
custodia in carcere (Sez. 2, n. 19283 del 3/2/2017, Rv. 270062). E, in tale
prospettiva, il Tribunale ha debitamente dato atto nell’ordinanza impugnata
dell’assenza di elementi, acquisiti o dedotti, che potessero far ritenere superata

al concreto pericolo di reiterazione delle condotte criminose. Correttamente,
infine, ha osservato che il tempo trascorso non sia di per sé sufficiente al
superamento della presunzione normativa in parola, in assenza di ulteriori
concreti elementi dimostrativi della rescissione dal vincolo associativo, con
argomentazione ossequiosa dei principi affermati in sede di legittimità (tra le
altre, Sez. 2, n. 21106 del 27/4/2006, Rv. 234657). Trattandosi, infatti, di reato
permanente, non può rilevare la circostanza che i gravi indizi risalgano nel
tempo, posto che la data di questi ultimi non equivale a quella della cessazione
della consumazione del reato associativo (Sez. 6, n. 1810 del 30/4/1996, Rv.
205769).
5. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6.1. Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la
rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma
1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att. cod.
proc. pen.
Così deciso, il 12/07/2018

Il consigliere estensore
Giovanni

 

tale presunzione, evidenziando anzi la presenza di elementi positivi in relazione

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