Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35661 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35661 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul..ricors4 proposti da:
D’APONTE LUIGI N. IL 03/06/1963
DEL PIANO LORENZO N. IL 12/04/1963
DE STASIO SALVATORE N. IL 14/02/1966
avverso la sentenza n. 6297/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
30/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. n‘t,u,Q
che ha concluso per
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Udito, per la parte civ
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Data Udienza: 16/05/2014

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, con sentenza emessa in data 26 ottobre 2009, ha
dichiarato:
– LUIGI D’APONTE colpevole del reato di cui all’art. 646 c.p. (capo I);
– LORENZO DEL PIANO colpevole del reato di cui all’art. 644 c.p. (capo D) e
del reato di minaccia aggravata (così qualificata l’originaria contestazione di cui

– SALVATORE DE STASIO colpevole del reato di cui all’art. 646 c.p. (capo F),
condannando ciascuno alle pene ritenute di giustizia, con le statuizioni
accessorie, anche in favore delle parti civili.

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per
intervenuta prescrizione nei confronti di LUIGI D’APONTE, e SALVATORE DE
STASIO in ordine ai reati ascritti loro, e nei confronti di LORENZO DEL PIANO
in ordine al solo reato di cui al capo E), come riqualificato dal Tribunale.
Ha confermato la sentenza di primo grado quanto all’affermazione di
responsabilità dei DEL PIANO in ordine ai reato di cui ai capo D), riducendo git,
pena, e quanto alle statuizioni civili.
Contro tale provvedimento, gli imputati (con l’ausilio di avvocati iscritti
nell’apposito albo speciale) hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo i
seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
(ricorso DEL PIANO):
I – vizio di motivazione (quanto all’affermazione di responsabilità: lamenta
in particolare l’esistenza di discrepanze tra le dichiarazioni delle pp.00.);
H/M – mancata assunzione di una prova decisiva (asseritamente, il
confronto tra il ricorrente e la p.o. OLIMPIO) e vizio di motivazione sulle ragioni
del mancato accoglimento della richiesta difensiva;
IV – vizio di motivazione quanto alla ritenuta mancata prevalenza
circostanze attenuanti generiche sulle circostanze aggravanti concorrenti;

del l e

al capo E);

(ricorso D’APONTE):

I/II – violazione dell’art. 129 c.p.p. e vizio di motivazione ;
(ricorso DE STASIO):
I – motivazione mancante od illogica su plurimi profili.

All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di

Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante iettura in pubblica udienza.

Deve immediatamente rilevarsi che – ad udienza pubblica già terminata, e
quando peraltro in aula era rimasto uno soltanto dei difensori degli imputati in
precedenza comparsi – è comparso il difensore della parte civile INTESA S.
PAOLO s.p.a., depositando conclusioni scritte e nota spese.
La comparizione è, peraltro, in relazione a quanto premesso, certamente
tardiva, e le formulate richieste non possono, pertanto, essere valutate.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricors4 sono integralmente inammissibili, in parte perché non consentiti, in
parte per genericità e manifesta infondatezza dei motivi.

(ricorsi D’APONTE e DE STASIO)
1. Deve premettersi che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema (Sez.
Un., sentenza n. 35490 dei 28 maggio 2009, Tettamanti, CED Cass. n. 244273
s.) hanno esaminato il problema dell’ambito del sindacato, in sede di legittimità,
sui vizi della motivazione, in presenza di cause di estinzione del reato, del quale
le stesse Sezioni unite avevano già avuto modo di occuparsi in passato
(affermando che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono

rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa Corte

rilevabili in sede di legittimità i vizi di motivazione della sentenza impugnata, in
quanto l’inevitabile rinvio della causa al giudice di merito dopo la pronunzia di
annullamento risulterebbe comunque incompatibile con l’obbligo della
immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato:
Sez. un., sentenza n. 1653 del 21 ottobre 1992, dep. 22 febbraio 1993, Marino
ed altri, CED Cass. n. 192471).
In linea con l’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza
intervenuta successivamente sulla questione (Sez. V, sentenza n. 7718 del 244

giugno 1996, CED Cass. n. 205548; Sez. IV, sentenza n. 14450 del 19 marzo

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2009, CED Cass. n. 244001), il principio è stato ribadito (sostanzialmente nei
medesimi termini, come è confermato dalle quasi speculari massime estratte
dalle due decisioni delle Sezioni Unite) anche dalla sentenza Tettamanti, a
parere della quale la Corte di cassazione, ove rilevi la sussistenza di una causa
di estinzione del reato, non può rilevare eventuali vizi di legittimità della
motivazione della decisione impugnata, poiché nel corso del successivo giudizio
di rinvio il giudice sarebbe comunque obbligato a rilevare immediatamente la
sussistenza della predetta cause di estinzione del reato, ed alla conseguente

Il principio opera anche in presenza di mere cause di nullità di ordine
generale, assolute ed insanabili, identica essendo la

ratio,

fondata

sull’incompatibilità del rinvio per nuovo giudizio di merito con te principio
dell’immediata applicabilità della causa estintiva.
A conclusioni diverse dovrebbe giungersi nel solo caso in cui l’operatività
della causa di estinzione del reato presupponga specifici accertamenti e
valutazioni riservati al giudice di merito, nei qual caso assumerebbe rilievo
pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del
relativo giudizio.
Il principio è stato successivamente ribadito, più o meno nei medesimi
termini, da Sez. VI, sentenza n. 23594 del 19 marzo 2013, CED Cass. n.
256625, secondo la quale «Nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che
ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine
generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa
abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga
alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili», e merita senz’altro di
essere condiviso.

In proposito, vanno, conclusivamente, ribaditi i seguenti principi di diritto:

«In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a
pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, c.p.p.
soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la
commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale
emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto
di «constatazione», ossia di percezione ictu acuii, che a quello di
«apprezzamento», e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento».

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declaratoria.

«Nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la
prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di
motivazione della decisione impugnata».

1.1. Tali principi di diritto comportano la non rilevabilità in questa sede, agli
effetti penali, di eventuali vizi di motivazione della decisione impugnata,
evidente apparendo che la motivazione della sentenza impugnata non risulta
del tutto carente né meramente apparente, e non essendo stata proposta dagli

1.2.

D’altro canto, il ricorso D’APONTE (il solo che evoca, sia pur

incidentalmente, la propria condanna al pagamento delle spese in favore della
costituita parte civile) è assolutamente privo di specificità in tutte le sue
articolazioni, non contenendo alcun riferimento a specifiche risultanze o passi
della motivazione della sentenza impugnata illegittimamente incidenti sulle
conclusive statuizioni civili.
1.3. Il ricorso DE STASIO appare all’evidenza formulato con esclusivo
riguardo agli effetti penali, non contenendo alcun riferimento a quelli civili.

1.3.1.

Anch’esso – pur ai soli effetti civili – sarebbe, comunque,

assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o
meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte), del
tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i
quali la Corte di appello (richiamando quanto già rilevato dal Tribunale) ha
motivato l’impossibilità di addivenire al chiesto proscioglimento.
Con tali argomentazioni (esaurienti, logiche, non contraddittorie, e pertanto
non sindacabili in sede di legittimità) il ricorrente in concreto non si confronta
adeguatamente, limitandosi a reiterare doglia lie già non accolte, riproponendo
una diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed
indimostrate congetture, e senza documentare nei modi di rito eventuali
travisamenti.
(ricorso DEL PIANO)
2. Deve premettersi che, secondo consolidato e condivisibile orientamento
di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio
– 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27
giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per difetto di
specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come
motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti

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imputati valida e tempestiva rinunzia alla prescrizione.

contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della
sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione
di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono

sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è,
pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano
il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si
contesta).
Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C (e
quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando
“attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente»
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).
Risulta, pertanto, evidente che,

«se il motivo di ricorso si limita a

riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo
meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di
specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di
redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)
potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa
motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli
nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice
d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica
del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò per
almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per

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indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che

l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata
dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa
motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a
differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera
“apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti);
denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo di argomentare la
decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso».
Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale, del

circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di
autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che,
ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso
e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei
principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima
sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso
per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di
impugnazione» (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio
2013, CED Cass. n. 254584).

2.1. Ciò premesso, il primo motivo è assolutamente privo di specificità in
tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già
dedotte in appello e già non accolte), del tutto assertivo e, comunque,
manifestamente infondato, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello ha
motivato l’affermazione di responsabilità e la qualificazione giuridica dei fatti
accertati (f. 13 s.), valorizzando essenzialmente le dichiarazioni delle pp.00.,
motivatamente ritenute attendibili, e concordi sui tratti essenziali della vicenda
riferita.
Con tali argomentazioni (esaurienti, logiche, non contraddittorie, e pertanto
non sindacabili in sede di legittimità) il ricorrente in concreto non si confronta
adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa “lettura” delle risultanze
probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, e senza
documentare nei modi di rito eventuali travisamenti.

2.2. Il secondo ed il terzo motivo sono in parte non consentiti, in parte
generici e manifestamente infondati.

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motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune

2.2.1. Deve premettersi che non è denunciabile il vizio di motivazione con
riferimento a questioni di diritto.
Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte
Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009, CED Cass. n.
242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche
sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7
marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il vizio di metivaZurne,
denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di

immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque
esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre,
viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e
quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneità
degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque
corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza n. 4173 del 22 febbraio 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).

Va, in proposito, ribadito il seguente principio di diritto:

«nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con
riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la
soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D’altro canto, l’interesse
all’impugnazione potrebbe nascere soltanto dall’errata soluzione delle suddette
questioni, non dall’indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione
comunque giuridicamente corretta).

Ne consegue che, nel giudizio di legittimità, il vizio di motivazione non è
denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito.
E, nel caso in esame, la questione di diritto evocata in ricorso è stata come si vedrà – decisa correttamente dal primo giudice.

2.2.2. Il vizio evocato di mancata assunzione di una prova decisiva può
essere dedotto solo in relazione a specifici mezzi di prova di cui sia stata chiesta
l’ammissione a norma dell’art. 495, comma 2, c.p.p., ed assume, peraltro,
rilievo solo quando la presunta prova decisiva, confrontata con le
4
argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti

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fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera

determinante per un esito diverso del processo e non si limiti ad incidere su
aspetti secondari della motivazione.

2.2.3. Ciò premesso, il secondo motivo del ricorso, con il quale si denunzia
la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. D), c.p.p., con riferimento alla
mancata assunzione di una prova decisiva costituita dal confronto tra il
ricorrente e la p.o. OLIMPIO, è manifestamente infondato, poiché il richiesto
confronto non rientra nel concetto di “prova decisiva” previsto dalla norma

Il vizio de quo è configurabile quando non sia stato ammesso un mezzo di
prova che, in astratto, poteva determinare una diversa valutazione da parte del
giudice inficiando il giudizio formulato.
Si è in proposito, affermato, che

«non tutte le prove, anche se

astrattamente idonee a determinare un diverso esito del processo, sono
riconducibili al concetto di “prova decisiva” fatto proprio dall’art. 606. La lettera
d) citata contiene infatti un esplicito riferimento all’art. 495 comma 2^ c.p.p. e
pertanto si riferisce esclusivamente alle prove a discarico mentre il confronto
non può essere considerato tale stante il suo carattere per così dire “neutro”,
sottratto alla disponibilità delle parti e sostanzialmente rimesso alla
discrezionalità del giudice nei casi di disaccordo fra persone già esaminate o
interrogate su fatti e circostanze importanti (art. 211 c.p.p.)» (Cass. pen.,

sez. IV, sentenza n. 4699 del 6 dicembre 2001, dep. 7 febbraio 2002, n.m. sul
punto).
È stato, inoltre, escluso che possa definirsi decisiva la prova abbisognevole
di comparazione con altri elementi acquisiti al processo: «il vizio di mancata
ammissione di prova decisiva presuppone che l’elemento probatorio
pretermesso di per sé. abbia un contenuto tale da risolvere il

thema

decidendum, non potendosi definire decisiva una prova abbisognevole, come lo
stesso ricorrente afferma nell’illustrare il motivo in esame, di comparazione con
altri elementi acquisiti in processo non pere negarne l’efficacia dimostrativa,
bensì per comportarne un confronto dialettico al fine di effettuare una ulteriore
valutazione argomentativa per quanto oggetto del giudizio, venendo in tal modo
meno il carattere di decisività>> (Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 3148 dell’Il

febbraio 1998, n.m.).

Per tali ragioni, va affermato il seguente principio di diritto:
«Non rientra tra le “prove decisive” di cui all’art. 606, comma 1, lett. D),
c.p.p. il confronto»

8

indicata.

2.3.

Il quarto motivo è non consentito, generico e manifestamente

infondato.
Invero, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte
circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di
merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione,
tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si
sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena

CED Cass. n. 245931).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha comunque correttamente
valorizzato la gravità dei fatti.

3. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai sensi

dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che essi
hanno proposto i ricorsi determinando le cause di inammissibilità per colpa
(Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di
dette colpe – della somma di Euro mille ciascuno in favore della Cassa delle
Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 16 maggio 2014

Il Cons

liere estensore

Il Presidente

irrogata in concreto (così Sez. un., sentenza n. 10713 del 25 febbraio 2010,

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