Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35660 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35660 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BASILE CARLO N. IL 26/01/1965
avverso la sentenza n. 749/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
30/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per 2_

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Data Udienza: 16/05/2014

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RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Salerno ha
confermato la sentenza emessa in data 17 dicembre 2009 dal Tribunale della
stessa città in composizione collegiale, quanto all’affermazione di
responsabilità in ordine al reato di estorsione aggravata consumata (capi A e
B) e tentata (capo C) ascrittigli; la Corte di appello ha ridotto la pena ritenuta
di giustizia dal primo giudice.

nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i
seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:

I – inosservanza degli artt. 546 e 125 c.p.p (lamenta l’illeggibilità della
sentenza di primo grado, scritta con grafia indecifrabile, e richiamata
ampiamente per relationem dalla Corte di appello);
II – mancanza di motivazione;
III – erronea applicazione della legge penale quanto alla qualificazione
giuridica del fatto (che al più integrerebbe estorsione tentata in difetto del
conseguimento dell’ingiusto profittg.
Ha concluso chiedendo dichiararsi estinti per prescrizione i reati di cui ai
capi B) – previa qualificazione della contestata estorsione come tentata – e
C).
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa
Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo
in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente al
reato di cui al capo C), estinto (a partire dal 14 giugno 2012, e quindi prima
della sentenza di appello, tenuto anche conto dell’intervenuta sospensione per
mesi sei e giorni 13) per prescrizione.

Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un avvocato iscritto

Le risultanze acquisite, riepilogate nelle sentenze di primo e secondo
grado, non consentono una decisione più favorevole per l’imputato ex art. 129
c.p.p.
Va conseguentemente rideterminata la pena per i residui reati già unificati
dalla continuazione, eliminando l’aumento operato per il reato di cui al capo
C), in anni sei e mesi uno di reclusione ed euro milletrecentocinquanta di
multa.

2. Il ricorso è, quanto alle restanti parti, inammissibile per genericità e

2.1. E’, in particolare, inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione
dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett.
e), c.p.p., per censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni elemento di
prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed
indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in
quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione,
fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono
essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c),
c.p.p., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme
processuali stabilite a pena di nullità (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45249
dell’8 novembre 2012, CED Cass. n. 254274).

2.2. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di
questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio
– 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27
giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per difetto di
specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come
motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti

manifesta infondatezza.

contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della
sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione 4
di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono

2

,

indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è,
pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo
si contesta).

Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice

(e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione);
ma quando “attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione
differente>> (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254584).

Risulta, pertanto, evidente che,

«se il motivo di ricorso si limita a

riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità,
venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso
(la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera
riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere
destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè
tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del
motivo d’appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio
di omessa motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto
devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il
giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione
grafica del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E
ciò per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale
anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non
è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di
omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta
apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la
dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e
specificamente dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata

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specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C

dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa
conclusione del caso».

Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale, del

motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune
circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di
autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione,

ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta
dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri
della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i
motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine
agli atti di impugnazione

(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21

febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).

2.3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere
disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o
per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass.
pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003,
CED Cass. n. 223061).
In presenza di una doppia conforme, affermazione di responsabilità, va,
peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello

per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure
formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed
argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di
appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui
si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi
logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello
abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di

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che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il

primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze
dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II,
sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n.
197250; Sez. III, sentenza n. 13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012,
CED Cass. n. 252615).
2.4. Ciò premesso, il primo motivo è generico (nella parte in cui lamenta
promiscuamente la illeggibilità della sentenza di primo grado senza indicare

accolte dalla Corte di appello – f. 3 -, a parere della quale, incensurabilmente
in questa sede, la grafia con la quale è redatta la sentenza di primo grado è
sufficientemente chiara e precisa, e non ci sono singoli punti o passaggi
realmente indecifrabili) e, comunque, per le stesse ragioni, manifestamente
infondato.

2.4.1. Del tutto generici e meramente reiterativi sono anche il secondo ed
il terzo motivo, assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni
(reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello e
già non accolte), del tutto assertivi e, comunque, manifestamente infondatp,
a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello ha motivato l’affermazione di
responsabilità e la qualificazione giuridica dei fatti accertati (f. 5 s.),
valorizzando dichiarazioni testimoniali motivatamente ritenute attendibili ed il
dato dell’intervenuto conseguimento da parte dell’imputato della disponibilità
delle somme di denaro e degli attrezzi da lavoro oggetto di estorsione.
Con tali argomentazioni (esaurienti, logiche, non contraddittorie, e
pertanto non sindacabili in sede di legittimità) il ricorrente in concreto non si
confronta adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa “lettura” delle
risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture,
e senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al
capo C) perché estinto per prescrizione, ed elimina la relativa pena in
continuazione. Ridetermina la pena per i residui reati già unificat

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continuazione in anni sei e mesi uno di reclusione ed

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milletrecentocinquanta di multa. Dichiara inammissibile il ricorso nel res
Così deciso in Roma, udienza pubblica 16 maggio 2014
Il Presidente

gli specifici passaggi asseritamente non decifrabili, e reitera doglianze già non

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