Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35658 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35658 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANZELLOTTI ROBERTA N. IL 27/07/1979
avverso la sentenza n. 6578/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
26/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. )(LVA_ 4z
che ha concluso per
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Data Udienza: 16/05/2014

410 u4-.)

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha
confermato – quanto all’affermazione di responsabilità – la sentenza emessa
in data 31 marzo 2008 dal Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato
l’imputata colpevole di concorso in tentata rapina impropria, condannandola
alla pena ritenuta di giustizia, cha la Corte di appello ha ridotto.

Contro tale provvedimento, l’imputata (con l’ausilio di un avvocato iscritto

seguente motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – violazione dell’art. 110 c.p. in relazione al ritenuto concorso di persone
nel reato contestato, con mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione.
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte
Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

1. Questa Corte Suprema ha già chiarito che è inammissibile, per difetto
di specificità (Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002,
CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto
2013, CED Cass. n. 256133), il ricorso che riproponga pedissequamente le
censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi
incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della
correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per
confutarle, !e argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano
stati accolti.
Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto,

nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo il

innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si
contesta).
Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C (e
quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando

contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente»
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).
Risulta, pertanto, evidente che,

«se il motivo di ricorso si limita a

riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo
meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata ai provvedimento), posto che con sittatta mera riproduzione il
provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di
specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di
redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)
potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa
motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli
nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice
d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del
motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò per
almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per
l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata
dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa
motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a
differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera
“apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti);
denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo ch argomentare la
decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso».
Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale, del
motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune
circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di

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“attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,

autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che,
ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi
consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima
sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso
per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di
impugnazione» (Sez. VI, sentenza n. 8700 dei 21 gennaio – 21 febbraio

1.1. Il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni
svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per
implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente
incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI,
sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n.
223061).

1.2. D’altro canto, in presenza di una doppia conforme affermazione di
responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le
censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi
ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di
appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si
regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi
logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo
grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n.
1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III,

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2013, CED Cass. n. 254584).

sentenza n. 13926 del

10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n.

252615).
1.3.

La

giurisprudenza

di questa

Corte Suprema

è,

inoltre,

condivisibilmente, orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di
specificità, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o
alternativa (Sez. VI, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n.
248037: nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o

indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; Sez. VI, sentenza n.
800 del 6 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n.
251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i provvedimenti
sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato
ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame».
La disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c),
c.p.p. (a norma del quale è onere del ricorrente

«enunciare i motivi del

ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto
che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi consentita
l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del
ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione
sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità
ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione
alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a
parere della quale «È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel
quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui
motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del
ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza,
alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali vizi,
che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione
oggetto di gravame» (Sez. IL sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, :ED
Cass. n. 254329).

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insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi

2. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza e/o
manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità, il
che rende in parte qua il ricorso inammissibile.

2.1. Il motivo è, inoltre, generico nella parte in cui lamenta vizi di
motivazione sul mancato accoglimento dei motivi di gravame, senza
confrontarsi specificamente con la motivazione del provvedimento impugnato, e
comunque manifestamente infondato quanto all’ulteriore doglianza, poiché la

incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta con la
necessaria specificità, limitandosi a reiterare più o meno pedissequamente
censure già costituenti oggetto di appello, e già motivatamente ritenute
infondate, ha compiutamente ricostruito la vicenda

de qua ed indicato gli

elementi posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità, valorizzando le
minacce formulate dal complice della ricorrente «al plurale (comprendendo
quindi anche l’ANZELLOTTI) ed inequivocabilmente dirette ad assicurare, alla
complice, l’impunità per il reato appena commesso», in presenza e nella piena
consapevolezza della ANZELLOTTI, che non si dissociò in alcun modo.
A tali rilievi, la ricorrente non ha opposto alcun elemento decisivo di segno
contrario, se non generiche ed improponibili doglianze, fondate su una
personale e congetturale rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare
eventuali travisamenti nei modi di rito.

3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che ella ha
proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte
cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta
colpa – della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a
titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammen
Così deciso in Roma, udienza pubblica 16 maggio 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto

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