Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3565 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3565 Anno 2015
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSENTINO GIOVANNI N. IL 25/02/1974
avverso l’ordinanza n. 1454/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 09/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioilidérPG Dott.

Udit i difensor25334.4——-

Data Udienza: 15/07/2014

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del
ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro con ordinanza in data 9.1.2014 ha
rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del G.i.p. presso il
Tribunale di Catanzaro in data 28.11.2013, con la quale veniva respinta
la richiesta di revoca della misura della custodia in carcere nei confronti

c.p., 81, 326 c.p. e 7 L. 203/91, avanzata adducendo il venir meno
delle esigenze cautelari in considerazione dello scioglimento della cosca
mafiosa oggetto di indagine e del provvedimento di sospensione dal
servizio dell’indagato. Il Cosentino, in particolare, agente della Polizia
Penitenziaria presso la Casa Circondariale di Siano era stato indicato dai
collaboratori di giustizia Cappello e Giampà Giuseppe vicino al clan
Giampà, con il ruolo di adoperarsi per agevolare le comunicazioni
(mediante il passaggio di pizzini, informazioni ecc.) tra gli appartenenti
alla cosca, mentre si trovavano ivi detenuti, rendendoli altresì edotti
delle intercettazioni all’interno della casa circondariale.
2. Avverso la suddetta ordinanza il Cosentino, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’erronea
applicazione dell’art. 275/3 c.p.p. e la mancanza di motivazione, atteso
che nello stesso procedimento per altri coindagati

attinti da

contestazioni più gravi, oltre che da quella di concorso esterno in
associazione mafiosa, la misura inframuraria è stata revocata, stante la
dismissione di qualsiasi carica; per il ricorrente

il

pericolo di

reiterazione della condotta è stato individuato nel fatto che lo stesso
potrebbe ancora essere in possesso -o continuare a diffondereinformazioni dallo stesso apprese durante l’espletamento del servizio di
Guardia Penitenziaria ed ancora a sua conoscenza, dimenticando che,
una volta sospeso dal servizio, il ruolo attribuito al sottufficiale di Polizia
Penitenziaria, e cioè di soggetto che veicola all’esterno i messaggi di
alcuni detenuti, è impossibile da realizzare; in ogni caso, i membri della
cosca sono tutti in stato di detenzione ed i vertici, tranne uno, hanno
scelto di collaborare con la giustizia; inoltre, se è pur vero che la
presunzione di pericolosità circa la sussistenza delle esigenze cautelari
trova applicazione anche per il concorso esterno in associazione
mafiosa, tuttavia, del tutto diversa deve essere la

valutazione

nell’ambito operativo della presunzione di cui al citato art. 275 c.p.p.,
1

di Cosentino Giovanni in relazione ai delitti di cui all’art. 110-416 bis

comma terzo in riferimento alla posizione del concorrente esterno nel
reato associativo, non potendo coincidere gli elementi che si richiedono
per superare la presunzione iuris tantum con quelli relativi al
partecipe; per il concorrente esterno i parametri per superare la
presunzione non coincidono con la rescissione definitiva del vincolo
associativo, ma comportano una prognosi in ordine alla “ripetibilità o
meno della situazione che ha dato luogo al contributo dell’extraneus alla
vita della consorteria”; nel caso di specie il Tribunale, a fronte

escluso qualsiasi rilevanza a tale fatto e se è vero che il giudizio di
prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell’incolpato non è di per
sè impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o
esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta
addebitata, il giudice deve fornire adeguata e logica motivazione in
merito alla mancata rilevanza della sopravvenuta cessazione del
rapporto; in particolare, risulta omesso nell’ordinanza impugnata il
riferimento ad episodi da cui desumere che anche successivamente ai
fatti contestati, tra l’altro risalenti nel tempo (2011), il Cosentino avesse
continuato a mantenere relazioni con l’organizzazione criminosa;
inoltre, non deve essere trascurato, che il soggetto ritenuto capo-cosca
(Giampà Giuseppe) è diventato collaboratore di giustizia, così come tutti
coloro i quali sono stati ritenuti al vertice dell’associazione e, quando le
figure apicali di interesse per il territorio sono collaboratori di giustizia si
è in presenza di una credibile dimostrazione di una seria presa di
distanza dalle consorterie malavitose operanti in loco, con la
conseguenza che per il concorrente esterno che volesse reiterare la
condotta, risulta inesistente il soggetto criminoso di riferimento,
potenziale destinatario del contributo esterno.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
1. Nei confronti del Cosentino sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 110-416 bis c.p., 81, 326
c.p. e 7 L. 203/91 in relazione ai quali, secondo l’assunto del ricorrente,
sarebbero insussistenti le esigenze cautelari presunte ai sensi dell’art.
275/3 c.p. per il delitto di concorso esterno nell’associazione mafiosa
facente capo ai Giampà.
2. Va premesso che, in relazione al titolo di reato (110-416 bis c.p.p.)
per il quale è stata applicata al ricorrente la misura infrannuraria, trova

2

dell’allegazione difensiva circa l’intervenuta sospensione dal servizio, ha

applicazione il secondo inciso dell’art. 275 c.p.p., comma 3, che, con
previsione derogatrice dei principi e criteri generali che disciplinano la
materia cautelare, introduce, per tale reato (nell’ ipotesi del concorso di
gravi indizi di colpevolezza) due presunzioni: la prima (relativa) juris
tantum della sussistenza del periculurn libertatis, la seconda (assoluta)
juris et de jure di adeguatezza e di proporzionalità della custodia
intramuraria.
3. Recentemente questa Corte (Sez. Un., n. 34473 del 19/07/2012), ha

nel momento genetico della misura, ma per tutte le vicende successive,
in presenza di esigenze cautelari, militando in favore di tale
interpretazione ragioni di carattere logico, tra cui quella che non avrebbe
senso imporre la custodia in carcere per delitti ritenuti dal legislatore di
particolare gravità se poi fosse possibile sostituirla con misura meno
afflittiva, nonché di carattere sistematico, atteso che: a) nel primo
periodo dell’art. 275 c.p.p., comma 3, con riferimento alla custodia in
carcere quale misura da adottare solo ove ogni altra misura risulti
inadeguata, è stata usata la formulazione “può essere disposta”, mentre
con riferimento alla presunzione assoluta di adeguatezza della sola
custodia in carcere, di cui al successivo periodo, il legislatore ha fatto
ricorso alla diversa formulazione “è applicata”; b) nell’art. 299 c.p.p.,
che, come appena ricordato, pur contiene le disposizioni che disciplinano
la revoca e la sostituzione delle misure, vi è, nell’incipit del comma 2, il
richiamo alla presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275 c.p.p., comma
3, quale eccezione alla possibilità di sostituzione della misura in corso nel
caso di attenuazione delle esigenze cautelari ovvero quando la misura
applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione
che si ritiene possa essere irrogata, sicchè risulta chiara l’intenzione del
legislatore, avuto riguardo alla collocazione dell’eccezione ed alla
formulazione della norma, di aver voluto rendere operativa la
presunzione di adeguatezza della misura della custodia in carcere,
prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, per i reati ivi elencati, per l’intera
durata della vicenda cautelare e non per il solo momento iniziale in cui
detta misura viene disposta.
4. Anche dopo la sentenza della corte costituzionale n. 57 del 2013,
deve continuare ad applicarsi la presunzione relativa di sussistenza delle
esigenze cautelari e quella assoluta di adeguatezza della custodia in
carcere, di cui al comma 3 dell’art. 275 c.p.p. per il delitto di concorso

3

evidenziato che la presunzione di cui all’art. 275/3 c.p.p. non opera solo

esterno in associazione mafiosa (oltre che ovviamente di partecipazione
all’associazione mafiosa), non avendo tale sentenza alcuna ricaduta su
tale fattispecie, ben diversa dalla contestazione di reato aggravato ex
art. 7 D.L. n. 152/91 (Sez. I, 17/10/2013, n. 2946). D’altra parte la
stessa Corte Costituzionale (e di qui l’irrilevanza della questione
proposta dall’indagato) ha avuto modo di mettere in risalto proprio la
peculiarità dell’associazione di tipo mafioso «che, sul piano concreto,
implica ed è suscettibile di produrre, da un lato, una solida e permanente

di collegamenti e un radicamento territoriale e, dall’altro, una diffusività
dei risultati illeciti, a sua volta produttiva di accrescimento della forza
intimidatrice del sodalizio criminoso» (sentenze n. 231 del 2011 e 57 del
2013), peculiarità queste che appunto non caratterizzano le figure
criminose che hanno invece formato oggetto delle diverse pronunce di
illegittimità costituzionale.
5. Già questa Corte aveva specificamente evidenziato che la presunzione
di sussistenza delle esigenze cautelari opera anche nel caso in cui sia
stata contestata la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo
mafioso, con la precisazione, tuttavia, che in tale ipotesi gli elementi
che si richiedono per vincere una simile presunzione sono diversi da
quelli richiesti per il partecipe del sodalizio. Essi, infatti, non possono
identificarsi con la rescissione definitiva del vincolo sociale (che in tesi è
già insussistente), ma devono, invece, valutarsi in una prognosi di
ripetibilità o meno della situazione che ha dato luogo al contributo
dell’extraneus alla vita della consorteria. E ciò tenendo conto dell’attuale
condotta di vita del condannato e della persistenza o meno di interessi
comuni con il sodalizio mafioso (Sez. VI, 08/07/2011, n. 27685).
Anche recentemente, questa Corte ha ribadito che la presunzione di
sussistenza delle esigenze cautelari operante nel caso di concorso
esterno in associazione di tipo mafioso, è superata se risulti esclusa,
secondo una valutazione prognostica, la possibilità del ripetersi della
situazione che ha dato luogo al contributo alla vita della consorteria
(Sez. 6, n. 32412 del 27/06/2013), specificando che ai fini della verifica
della sussistenza delle esigenze cautelari, nell’ipotesi in questione,
occorre verificare la continuità dei rapporti dell’indagato, o dell’imputato
con gli ambienti criminali e la eventuale persistenza degli interessi
scambievoli che possono in concreto mantenere inalterato il legame con il
sodalizio criminoso (Sez. 2, n. 14773 del 17/01/2014), nonostante la
perdita delle cariche (ovvero, come nel caso di specie, del servizio).
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adesione tra gli associati, una rigida organizzazione gerarchica, una rete

6. Tenuto conto di siffatti principi deve rilevarsi come la valutazione
effettuata dal Tribunale circa l’inidoneità degli elementi addotti dal
ricorrente al fine del superamento della presunzione di tutte le esigenze
cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. non meriti censura. Ed invero, senza
incorrere nel lamentato vizio motivazionale, il Tribunale ha in primo luogo
messo in risalto come, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente,
non pétra sostenersi che la cosca Giampà non esiste più, atteso che pur
avendo Giampà Giuseppe ed altri adepti intrapreso un percorso di

sintomatico del venir meno della cosca mafiosa oggetto d’indagine,
essendo numerosi, i sodali, anche con posizione apicale, che non hanno
optato per la scelta collaborativa e che devono, pertanto, ritenersi
pienamente inseriti nell’organigramma criminale dell’associazione.
Sulla base di tale premessa il Tribunale ha, quindi, rilevato che

la

circostanza che il Cosentino sia stato sospeso dal servizio non vale ad
escludere la ripetibilità dell’azione di supporto alla cosca allo stesso
contestata, atteso che la condotta attribuita all’indagato, agente
penitenziario, è quella dell’aver favorito la comunicazione tra membri
della cosca detenuti in diversi settori del carcere ove prestava servizio
prestandosi anche a consegnare cd. ‘pizzini’ contenenti le direttive da
eseguire al di fuori dal carcere, impartite da sodali detenuti ad altri
membri della cosca in libertà (nella specie, messaggi del detenuto
Giampà Domenico al suocero di quest’ultimo, Muraca Michele, soggetti
entrambi che, allo stato, non risultano affatto aver rescisso i loro contatti
con il gruppo criminale). La sospensione dal servizio del Cosentino, nel
contesto indicato, non risulta idonea, secondo il Tribunale, né al
superamento del pericolo di reiterazione della condotta criminosaessendovi un alto rischio che il Cosentino, se rimesso in libertà,
perseveri nella sua condotta di agevolazione della cosca oggetto
d’indagine, in particolare veicolando ad altri sodali messaggi dei quali
l’indagato potrebbe ancora essere in possesso o continuando a diffondere
informazioni dallo stesso apprese durante l’espletamento del servizio di
Guardia Penitenziaria ed ancora a sua conoscenza- né sotto il profilo di
inquinamento della prova, ben potendo il Cosentino aver occultato
documentazione utile alle indagini (ad esempio cd. “pizzini” non ancora
recapitati), la cui acquisizione agli atti del procedimento potrebbe essere
seriamente compromessa in caso di sua rimessione in libertà, essendo
altamente probabile, altresì, che numerose siano le altre persone
coinvolte, all’interno del personale dell’Amministrazione Penitenziaria, nel
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collaborazione con la giustizia ciò non può essere ritenuto elemento

passaggio dei messaggi tra sodali detenuti e membri della cosca in
libertà.
Tali valutazioni si presentano immuni da censure, avendo dato conto il
Tribunale di elementi specifici dai quali è dato evincere la persistenza
degli interessi “scambievoli” tra l’indagato ed il sodalizio criminoso, anche
con riferimento al versante specifico dell’inquinamento probatorio.
7. Il ricorso pertanto va respinto ed il ricorrente va condannato al

p.q.m.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94
comma 1 ter disp. att. c.p.p.
Così deciso il 15.7.2014

pagamento delle spese processuali.

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