Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35617 del 18/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35617 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NAPPA GIUSEPPINA N. IL 28/04/1960
avverso il decreto n. 147/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
03/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/serrtite le conclusioni del PG Dott. 50 cl CcAZ’n4,o

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Uditi difensor Avv.;

C51- CIA.C”5-140

Data Udienza: 18/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto deliberato il 3 maggio 2012 su rinvio della S.C. di Cassazione, la
Corte di Appello di Napoli in sede di prevenzione, accogliendo parzialmente l’appello
proposto dal Pubblico ministero avverso il decreto 6 luglio 2010 della medesima
Corte territoriale che aveva annullato il provvedimento del 27 novembre 2008 con il
quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva sottoposto Giuseppina Nappa
alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro,

dell’importo di Euro 9000,00, ha parzialmente riformato tale decreto, confermando
l’applicazione della misura di prevenzione nei confronti della Nappa, ma limitandone
la durata ad anni uno e mesi quattro.
Il giudice del rinvio, premesse le ragioni dell’annullamento del precedente
decreto (l’avere la Corte, con il provvedimento annullato, escluso, per ritenuta
mancanza dei riscontri, la valenza indiziaria delle dichiarazioni accusatorie
provenienti da Anna Carrino, compagna di Francesco Bidognetti, esponente di spicco
del clan camorristico dei Casalesi, che indicavano la Nappa, moglie del capo
camorrista Francesco Schiavone, come partecipe essa stessa al sodalizio, risultando
tale decisione in contrasto col principio giurisprudenziale secondo cui, nel
procedimento di prevenzione, tali riscontri non sono necessari) e rinnovata la
valutazione del compendio indiziario a carico della prevenuta nella sua globalità
(consistito principalmente nell’esame dei plurimi provvedimenti giudiziari acquisiti e
delle dichiarazioni della Carino) ha ritenuto sussistente la pericolosità sociale
specifica della Nappa, emergendo, dallo stesso, l’effettiva “appartenenza” della
stessa al clan camorristico dei Casalesi, conclusione desumibile dalla circostanza che
la prevenuta – condannata in via definitiva per ricettazione per aver ricevuto,
mensilmente, a titolo di stipendio, soldi di illecita provenienza – durante il periodo di
detenzione del marito, Francesco Schiavone detto Sandokan, il capo clan indiscusso
di quel sodalizio, si era posta nei confronti degli affiliati quale punto di riferimento
qualificato ed autorevole ed aveva intrattenuto rapporti costanti con esponenti di
spicco del clan stesso, il tutto almeno sino al 2005; appartenenza che non poteva
ritenersi venuta meno a ragione del solo decorso del tempo, in assenza di
significativi elementi dai quali ragionevolmente desumere che essa fosse venuta
meno per effetto del recesso personale.

2. Ricorre per cassazione avverso l’indicato provvedimento la difesa della
Nappa, che ne deduce l’illegittimità: per inosservanza ed erronea applicazione della

1

CIL

con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza e di pagamento di una cauzione

legge processuale penale (artt. 192, 210 cod. proc. pen.) in punto di valutazione
della intrinseca attendibilità della collaboratrice di giustizia Carrino Anna, giudizio
alla cui stregua doveva rivalutarsi l’intero compendio indiziario; per inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale in punto di giudizio sull’attualità della
pericolosità sociale qualificata, precondizione per l’applicazione della misura di
prevenzione da irrogare.
Più specificamente, sintetizzando argomentazioni assai più diffuse ed articolate,
nel ricorso si evidenzia: che nessun collaboratore di giustizia ha mai riconosciuto alla

riconosciuto anche dal Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza del 29 gennaio
2009; che le dichiarazioni accusatorie della Carrino, denunciata per calunnia dalla
ricorrente, risultano prive di qualsiasi riscontro; che il pagamento dello stipendio alla
Nappa, a tutto concedere, sarebbe avvenuto sino al 31 dicembre 2004, sicché,
tenuto anche conto che non vi è alcun elemento dimostrativo che i colloqui della
ricorrente con il marito avessero ad oggetto attività di natura illecita e che
l’interessamento della prevenuta alla gestione dell’azienda agricola “Selvalunga”,
che ha dato luogo all’avvio di procedimenti penali risoltisi con l’assoluzione della
Nappa, si è comunque protratto soltanto sino all’emissione del provvedimento
ablativo, nessun concreto elemento consente di ritenere attuale l’asserita
pericolosità della ricorrente, che ha sempre svolto regolare attività lavorativa
(insegnante di sostegno) oltre ad accudire la sua numerosa prole.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Nappa Giuseppina è inammissibile,
perché basata su motivi manifestamente infondati oltre che non consentiti dalla
legge, posto che l’art. 4, comma 11, legge 27 dicembre 1956, n. 1423 accorda alla
parte interessata di ricorrere per Cassazione avverso il decreto che ha disposto
l’applicazione di una misura di prevenzione, solo per violazione di legge.
1.1 Al riguardo non è superfluo ribadire, come più volte chiarito dalla
giurisprudenza di questa Corte, che il vizio di motivazione può assurgere a
violazione di legge soltanto quando si risolva nell’assoluta mancanza, sotto il profilo
letterale o concettuale, di qualsiasi argomentazione a sostegno della pronunzia (art.
111 Cost. e art. 125 cod. proc. pen.) ovvero consista nell’esposizione di ragioni che
nulla hanno a che vedere con l’oggetto dell’indagine, in guisa da rendere
assolutamente incomprensibile l’iter logico seguito dal giudice.

2

cee,

Nappa un ruolo attivo, tale da integrare un pur minimo contributo associativo, come

Tali casi sono però estranei alla fattispecie in esame, tenuto conto che la Corte
d’Appello, ha fornito una più che adeguata illustrazione delle ragioni del proprio
convincimento circa la legittimità del decreto impugnato dalla prevenuta, senza
incorrere in errori di diritto, che avevano invece inficiato il precedente
provvedimento di annullamento del decreto applicativo della misura, ne’ in
grossolane incongruenze, evidenziando, come l’appartenenza della Nappa al
sodalizio camorristico e la conseguente sussistenza di una pericolosità sociale deVla
proposta, emergeva dalle attendibili dichiarazioni accusatorie della Carrino,

del giudizio di prevenzione non necessitavano di essere sorrette da riscontri esterni
individualizzanti, comunque sopravvenuti nel presente giudizio, attesa l’intervenuta
irrevocabilità della sentenza di condanna della Nappa per il delitto di ricettazione,
con riferimento alla percezione di uno stipendio proveniente dai profitti illeciti del
clan sino al 2005, non mancando di evidenziare i giudici di appello, come in tema di
misure di prevenzione, il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa va
distinto sul piano tecnico da quello di “partecipazione”, risolvendosi in una
situazione di contiguità all’associazione stessa che – pur senza integrare il fattoreato tipico del soggetto che organicamente è partecipe (con ruolo direttivo o meno)
del sodalizio mafioso – risulti funzionale agli interessi della struttura criminale e nel
contempo denoti la pericolosità sociale specifica che sottende al trattamento
prevenzionale. (in termini Sez. 2, n. 7616 del 16/02/2006 – dep. 02/03/2006,
Catalano ed altri, Rv. 234745) e come la ritenuta insussistenza della aggravante di
cui all’art. 7 della L. 12 luglio 1991, n. 203 non comporta l’automatica esclusione
della “appartenenza” del soggetto alla struttura mafiosa (Sez. 5, n. 14286 del
22/01/2013 – dep. 26/03/2013, Negro e altri, Rv. 255377).
Anche le deduzioni difensive volte a contestare il carattere di attualità della
ravvisata pericolosità della Nappa, si risolvono in deduzioni in fatto, relative per altro
a dati di per sé scarsamente significativi (quali lo svolgimento di una regolare
attività lavorativa), ove si consideri che secondo una lezione ormai consolidata di
questa Corte regolatrice, correttamente richiamata dai giudici di merito, «ai fini
dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad
associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare motivazione in
punto di attuale pericolosità, una volta che l’appartenenza risulti adeguatamente
dimostrata e non sussistano elementi dai quali ragionevolmente desumere che essa
sia venuta meno per effetto del recesso personale, non essendo dirimente a tal fine
il mero decorso del tempo dall’adesione al gruppo o dalla concreta partecipazione

3

cée.,

compagna di Bidognetti Francesco, altro capo del medesimo clan, che nell’ambito

alle attività associative» (in tal senso, ex multis, Sez. 2, n. 3809 del 15/01/2013 dep. 24/01/2013, Castello e altri, Rv. 254512).

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dele,„,_
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero
in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del
2000) – al versamento alla cassa delle ammende di una somma congruamente

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna kricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2013.

determinabile in C 1000,00.

ce,L

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