Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3560 del 28/11/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3560 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIBARTOLOMEO MARCELLO N. IL 26/03/1968
avverso la sentenza n. 4200/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
12/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 28/11/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Enrico Delehaye, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Di Bartolomeo Marcello, imputato del reato di cui all’articolo 595,
commi 1, 2 e 3, del codice penale, è stato condannato alla pena di euro
5000 di multa, nonché al risarcimento del danno in favore della parte

territoriale ha confermato integralmente la sentenza di primo grado.
2. Il Di Bartolomeo propone oggi ricorso per cassazione per i seguenti
motivi:
a.

inosservanza degli articoli 517, 520 e 522 del codice di
procedura penale, nonché vizio di motivazione, in relazione
alla contestazione della circostanza aggravante di cui al
comma 3, avvenuta all’udienza del 23 marzo 2011, dopo che
il pubblico ministero aveva già rassegnato le proprie
conclusioni. Contrariamente alla previsione del codice di rito,
secondo cui la nuova contestazione deve avvenire nei
confronti dell’imputato contumace o assente mediante notifica
del verbale di udienza, il Giudice – dice il ricorrente – si era
limitato semplicemente ad ordinare la mera correzione del
capo di imputazione.

b. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al
mancato riconoscimento della scriminante del diritto di satira
e di critica sindacale, che consente di esprimersi con toni e
modi di disapprovazione e riprovazione anche particolarmente
aspri, se non proprio esagerati ed aggressivi. Il ricorrente
procede all’enumerazione di una serie di precedenti
giurisprudenziali, senza indicarne però gli estremi. Conclude
richiamando la sentenza di questa sezione, numero 11.662,
del 7 febbraio 2007, secondo cui il diritto di critica presuppone
un contenuto di veridicità limitato all’oggettiva esistenza del
fatto assunto a base delle opinioni delle valutazioni espresse,
essendo poi l’agente libero, entro i limiti previsti dalla legge,
di trarre le conclusioni che ritiene corrette.

1

civile Bruno Mousset, dal tribunale di Milano. Proposto appello, la corte

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’articolo 606,
terzo comma, ultima parte, del codice di procedura penale, considerato
che non risulta, dall’atto di appello, che il ricorrente avesse eccepito la
suddetta violazione di legge nell’impugnare la sentenza di primo grado.
E’ inammissibile, infatti, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per
cassazione con cui si deducano violazioni di legge verificatesi nel giudizio

riepilogo dei motivi di appello contenuto nella sentenza impugnata,
qualora questa abbia omesso di indicare che l’atto di impugnazione
proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch’esso già
denunciato le medesime violazioni di legge

(Sez. 2, n. 9028 del

05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066).
2. Va ulteriormente osservato, in ogni caso, che all’udienza del 23
marzo 2011 non vi era stata l’introduzione di una nuova aggravante, ma
la semplice precisazione a verbale – con il consenso anche del difensore
(d’ufficio) dell’imputato – che il capo di imputazione conteneva (in fatto)
anche la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 595, comma 3,
disponendo formalmente l’aggiunta della frase “nonché aggravato con
mezzo di pubblicità” nella penultima frase del suddetto capo. E’ evidente,
dunque, che non di nuova contestazione si è trattato, ma di semplice
correzione del capo di imputazione per adeguarlo anche sotto il profilo
formale alla sostanziale contestazione della suddetta aggravante. Anche
nel “merito”, pertanto, il motivo sarebbe manifestamente infondato.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato; la Corte d’appello di
Milano, invero, ha preso in esame sia il diritto di critica che quello di
cronaca, escludendoli entrambi perché l’imputato, senza svolgere alcuna
specifica

osservazione

sull’operato

dell’amministratore

delegato

dell’azienda, si era limitato ad insultarlo pubblicamente e a denigrarlo. In
tale contesto, non vi era alcun bisogno di uno specifico riferimento al
diritto di critica sindacale che, pur ammettendo anche toni più aspri del
normale, non legittima certamente “la sequela di affermazioni ingiuriose”
riscontrate dai giudici di merito. Il motivo, dunque, pur denunciando
formalmente anche violazione di legge, costituisce, con tutta evidenza,
reiterazione delle difese di merito già disattese dai Giudici di appello,
oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo
esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta

2

di primo grado, se l’atto non procede alla specifica contestazione del

delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività
che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui
apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come
nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi
logico-giuridici.
4. Quanto alla richiamata sentenza di questa stessa sezione, ci si
limita ad osservare che nel caso di specie non vi è stata da parte
dell’imputato un’interpretazione personale di un dato fattuale veritiero,

dall’attività imprenditoriale, con l’unico scopo di mettere in ridicolo
davanti ad una pluralità di persone il proprio datore di lavoro.
5. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; alla declaratoria di
rigetto segue, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 28/11/2014

bensì l’esercizio di una violenta attività denigratoria, del tutto scollegata

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