Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35592 del 17/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35592 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: CAVALLO ALDO

Data Udienza: 17/07/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI RAVENNA
nei confronti di:
MA YUMEI N. IL 03/04/1968
inoltre:
MA YUMEI N. IL 03/04/1968
avverso la sentenza n. 16/2011 GIUDICE DI PACE di LUGO, del
31/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Refu,
che ha concluso per Si ‘62.11,v42.9,0~1.,X0 c4314 1,-yvvt,„, ($2,Ltafx2_
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Ritenuto in fatto

1. H Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna, ha proposto
ricorso per cassazione avverso la sentenza del Giudice di pace di Lugo, deliberata
il 31 gennaio 2012, che ha assolto Ma Yumei e Li Zhi Hong – imputate del reato
di cui all’art. 10-bis d. Igs. n. 286 del 1998, in quanto, quali cittadine
extracomunitarie, avevano fatto ingresso o comunque si erano illegittimamente
trattenute sul territorio dello Stato italiano, alla data del 2 febbraio 2011 –

Nel ricorso il PM ricorrente, nell’evidenziare che il giudicante aveva assolto le
imputate sul presupposto che la norma incriminatrice – seppure da applicarsi
senz’altro nei confronti delle imputate, in quanto risultava, all’esito del giudizio,
che le stesse si erano effettivamente trattenute nel territorio dello Stato
irregolarmente – andava tuttavia disapplicata in quanto ritenuta in contrasto con
la direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115 (c.d. direttiva europea
sui rimpatri). A sostegno della proposta impugnazione il PM ricorrente contesta
diffusamente le rationes decidendi esposte nella sentenza impugnata,
sostenendo, in estrema sintesi, che la norma incriminatrice che si assume violata
dalle imputate, deve ritenersi pienamente compatibile con la normativa
comunitaria in tema di rimpatri, con conseguente illegittimità della sua
disapplicazione da parte del giudicante.

Considerato in diritto

1. Il ricorso, fondato nei termini di cui alla seguente motivazione, deve essere
accolto.
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel
territorio dello Stato – art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 – ha di recente superato
il vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250
del 2010, ha precisato che la norma non punisce una «condizione personale e
sociale» – quella, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente,
«irregolare») – e non criminalizza un «modo di essere» della persona.
Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal «fare
ingresso» e dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle
disposizioni di legge.
Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il
varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura
omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.
La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della
condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto,

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dall’imputazione loro ascritta, perché il fatto non sussiste.

e la rilevanza penale jli correla alla lesione del bene giuridico individuabile
nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo
un determinato assetto normativo: si tratta di un bene “strumentale”, per mezzo
della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di sicuro rilievo
costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la
predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene
giuridico di “categoria”, capace di accomunare buona parte delle norme
incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.

compatibilità della norma di cui all’art. 10-bis d. Igs. n. 286 del 1998 con alcuni
principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli
desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in
particolare con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato
l’intervento risolutivo della Corte di giustizia con la decisione del 6 dicembre
2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267
TFUE, dal Tribunale di Rovigo, nel procedimento penale a carico di Md Sagor. Ed
è appena il caso di ricordare che già questa Corte aveva statuito che «la
fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10-bis d.lgs n. 286 del 1998, che
punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d.
direttiva europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n.
115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla
direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale
degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in
contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso
tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per
questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel
territorio dello Stato» (Sez. 1, n. 951 del 22/11/2011 – dep. 13/01/2012, Gueye,
Rv. 251671).
La Corte di giustizia, con la richiamata decisione, ha escluso che le disposizioni
della direttiva impediscano alle legislazioni statali di affidare ad una pronuncia
giudiziaria di carattere penale la decisione impositiva dell’obbligo del rimpatrio.
La pena dell’espulsione, sì come prevista nell’ordinamento italiano, non si pone
in contrasto con le disposizioni della direttiva, seppure comporti un obbligo di
rimpatrio immediatamente esecutivo e non implichi l’adozione di una separata
decisione circa l’allontanamento. E però, siccome priva l’interessato della
possibilità di concessione di un periodo di tempo per la partenza volontaria,
come invece è sancito dall’art. 7 par. 4 della direttiva, la deroga a tale previsione
di garanzia e quindi la mancata concessione di un periodo per la partenza

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Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la

volontaria sono condizionate allo specifico apprezzamento, tra l’altro, del pericolo
di fuga e quindi di sottrazione del condannato alla procedura di rimpatrio.
Le decisioni di espulsione che comprimano il diritto all’allontanamento volontario
non possono pertanto prescindere da un esame in concreto delle singole vicende
poste alla cognizione del giudice, fermo peraltro che la compatibilità con la
direttiva dipende anche dall’imposizione di una durata del divieto di reingresso
compatibile con le previsioni del relativo art. 11 par. 2.
E a tale ultimo proposito va richiamata la conforme precedente decisione di

reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non può disporre
l’espulsione dello straniero come sanzione sostitutiva, se non ne determina la
durataf(Conf. ex multis, Sez. 1, n. 29854 del 30/06/2011 – dep. 26/07/2011,
RG. in proc. Rajput, Rv. 250540).
Escluso che le disposizioni della direttiva precludano di sanzionare il soggiorno
irregolare con una pena pecuniaria sostituibile con la pena dell’espulsione, la
Corte di giustizia ha decretato che il giudice interno ha comunque l’obbligo di
disapplicare la normativa nazionale che, imponendo l’espulsione quale risposta
sanzionatoria penale, non consenta all’interessato di fruire dell’opzione della
partenza volontaria in tutti i casi estranei alla previsione di deroga dell’articolo 7,
paragrafo 4, della direttiva medesima, e quindi non caratterizzati da un pericolo
di fuga, o da un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza
nazionale o, ancora, dal rigetto, per manifesta infondatezza o per fraudolenza, di
una precedente domanda di soggiorno.
Così ricostruito il quadro delle compatibilità con la normativa costituzionale e con
quella sovranazionale, questa Corte non può che rilevare l’illegittimità della
decisione impugnata, basata sull’errato presupposto che nel caso di specie
l’espulsione delle imputate fosse obbligatoria, desumendo tale obbligatorietà dal
contenuto del d. Igs. n. 274 del 2000, art. 62-bis, che, usando l’espressione
“applica la misura”, avrebbe escluso ogni potere discrezionale del giudice
nell’applicazione della misura sostitutiva.
Tale lettura del testo normativo è però in contrasto con i principi affermati dalla
Corte costituzionale, che, con sentenza n. 250 del 2010, ha sottolineato la
natura discrezionale dell’applicazione, da parte del giudice, della misura
dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, quale
prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 16, comma 1, (attesa l’espressione
adoperata “può sostituire la pena con la misura della espulsione”).
In particolare questa Corte ha precisato che in caso di (eventuale) condanna per
la contravvenzione di illegale ingresso o soggiorno nel territorio dello Stato,
l’applicazione da parte del giudice di pace dell’espulsione in sostituzione della
pena pecuniaria ha natura discrezionale e non obbligatoria, essendo comunque

questa Corte, secondo cui «il giudice di pace, nel pronunciare condanna per il

subordinata alla condizione della insussistenza di situazioni ostative
all’esecuzione dell’espulsione (Sez. 1, n. 13408 del 22/02/2011 – dep.
01/04/2011, Fernandez, Rv. 249381).
Illegittimamente, quindi, il Giudice di pace, arrestandosi al non condivisibile
rilievo della ritenuta obbligatorietà dell’applicazione della misura sostitutiva, ha
ritenuto di prosciogliere le imputate, senza procedere, in concreto, alla
valutazione dell’opportunità o meno della condanna alla sola pena pecuniaria ed
alla verifica, in caso di applicazione della sanzione sostitutiva, della ricorrenza o

S’impone pertanto, in accoglimento del ricorso, l’annullamento dell’impugnata
sentenza, con rinvio al Giudice di pace di Lugo per nuovo giudizio che sia esente
dell’errore rilevato in questa sede di legittimità. Circa l’identificazione del giudice
di rinvio, va detto che manca una norma specifica che ne consenta la
determinazione, ma si può enucleare la soluzione al problema dall’art. 623 cod.
proc. pen., da cui si desume il principio che, salva l’ipotesi di ricorso per saltum,
regolata dall’art. 569, comma 4, giudice di rinvio è il giudice equiordinato a
quello che ha emesso la sentenza impugnata. Ed il fatto che il legislatore in
tema di impugnazioni non si sia voluto discostare dai criteri generali che
presidiano la materia, trova conferma nell’art. 39, comma 2, d. Igs. 274/00, che
per i casi di annullamento della sentenza da parte del giudice d’appello si riporta
all’art. 604 cod. proc. pen., come archetipo, ampliando la casistica. Orbene, nel
caso di specie, potendo il pubblico ministero proporre appello solo contro le
sentenze di condanna che applicano una pena diversa da quella pecuniaria, il
ricorso per Cassazione, come più volte affermato da questa Corte, anche alla
luce della sentenza della Corte cost .n. 298 del 2008, è l’unico rimedio
consentito (in termini, Sez. 4, Sentenza n. 18667 del 23/2/2004, Rv. 228359;
Sez. 4, Sentenza n. 47995 del 18/9/2009, Rv. 245741), di tal che non si verifica
l’ipotesi di ricorso per saltum, che avrebbe reso applicabile analogicamente – in
presenza del detto vuoto normativo – l’art. 569, comma 4, con conseguente
determinazione del giudice di rinvio nel tribunale in composizione monocratica,
giudice d’appello sulle sentenze del giudice di pace ex art. 39 d. Igs. 274/00, ed
in conformità ai principi dianzi enunciati il giudice di rinvio va identificato, come
si è detto, in altro giudice dell’ufficio del Giudice di pace di Lugo.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di pace di
Lugo.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.

~TATA

IN CANCELLMIA

meno delle situazioni impeditive dell’esecuzione dell’espulsione.

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