Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35590 del 17/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35590 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
VENEZIA
nei confronti di:
SONG ZIQING N. IL 09/12/1966
avverso la sentenza n. 18/2011 GIUDICE DI PACE di FICAROLO, del
09/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 3,,etka
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Udito, per la parte c
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Avv.

e, l’Avv

Data Udienza: 17/07/2013

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 9 gennaio 2012 il Giudice di pace di Ficarolo assolveva
perché il fatto non costituisce reato l’imputato Song Ziqing dal reato di cui al D.L. 25
luglio 1998, n. 286, art. 10 bis, introdotto dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1,
comma 16, lett. a), contestato per aver fatto ingresso nel territorio dello Stato in
violazione delle disposizioni del citato decreto e dell’art. 1 della legge 28 marzo 2007
n. 68, in Occhiobello (Ro) il 26 gennaio 2010.

previsioni degli artt. 2, 4, 7, 15 e 16 della direttiva rimpatri 2008/115/CE e la
disciplina penale di cui all’art. 10-bis D.Igs. 286/98, che disapplicava, in quanto
contrastante con le disposizioni precise ed incondizionate della direttiva, fonte del
diritto dello straniero, sottoposto alla procedura del rimpatrio, a non essere
sottoposto a privazioni della libertà personale ed a condizioni peggiori rispetto a
quelle ivi stabilite.
2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale presso la Corte di Appello di Venezia, chiedendone l’annullamento con
rinvio per violazione ed erronea applicazione della norma di cui all’art. 10-bis D.Lgs.
n.286/1998. Il Giudice di Pace di Ficarolo aveva dedotto l’incompatibilità di detta
norma incriminatrice col contenuto precettivo della direttiva n.115/2008/CE, non già
per il contrasto di disciplina, quanto per l’eventuale conflitto che si determinerebbe
nel caso in cui, ricorrendone le condizioni previste dalla legge, il giudice nazionale
fosse tenuto ad applicare le sanzioni sostitutive, ossia permanenza domiciliare o
espulsione dal territorio dello Stato, a fronte dell’insolvibilità dell’imputato
condannato al pagamento della pena pecuniaria, nell’insussistenza delle cause
ostative indicate dall’art. 14, comma 1, D.L.vo citato, sicché al più avrebbe dovuto
disapplicare non la norma in sé, quanto le previsioni che consentono di applicare le
sanzioni sostitutive.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
1.11 giudizio assolutorio reso a favore dell’imputato, peraltro con formula non
pertinente alla decisione assunta, risulta privo di qualsiasi giustificazione circa la
ricostruzione del fatto di reato ed è stato motivato unicamente in punto di diritto, col
richiamo, dichiarato, della motivazione con la quale il Tribunale di Rovigo ha
proposto domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia
della Comunità Europea nel procedimento penale a carico di Md Sagor, della cui

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soluzione non ha però tenuto conto.

1

1.1 Quel Giudice fondava la decisione sulla ritenuta incompatibilità tra le

1.1 E’ noto che la norma di cui all’art. 10-bis D.Lgs. n. 286/98, come aggiunto
dall’art. 1, comma 16, lett. a), della I. 15 luglio 2009 n. 94, punisce con l’ammenda
da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero
che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato illegalmente, ossia in assenza
di un valido titolo legittimante.
1.2 L’ipotesi di reato contravvenzionale, sanzionata da detta norma, non è stata
coinvolta dagli effetti della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea El
Dridi del 28 aprile 2011, che ha riguardato il diverso delitto di cui all’art. 14, comma

CEE 16/12/2008 n. 115, c.d. Direttiva rimpatri, della fattispecie penale dell’art. 10bis è stata già più volte riconosciuta dalla stessa Corte sovranazionale (sez. 1, sent.
6/12/2012, Sagor, causa C-430/11; sez. 3, ord. 21/3/2013, Mbaye, causa C522/11), mentre altri utili riferimenti interpretativi sono stati offerti anche dalla
pronuncia della stessa Corte nella Grande Channbre, sent. n. 329 del 6/12/2011,
Achughbabian, causa C-329/11, che ha valutato la norma dell’ordinamento penale
francese in materia di ingresso illegale di stranieri. Con dette pronunce, da un lato si
è escluso che la disciplina comunitaria abbia lo scopo di armonizzare in modo
completo la legislazione nazionale dei singoli Stati aderenti all’Unione sul tema
dell’immigrazione irregolare e si è affermato come la stessa non vieti la possibilità
che un ordinamento, -ad esempio quello italiano ed in particolare la disposizione di
cui all’art. 10-bis in esame-, qualifichi la permanenza irregolare dello straniero quale
condotta illecita, integrante una fattispecie di reato, punita con l’irrogazione di
sanzioni penali di tipo pecuniario, dall’altro si è ravvisato un concreto ostacolo
all’attuazione della direttiva nei soli casi in cui il trattamento punitivo penale
impedisca l’applicazione delle norme e delle procedure comuni sul rimpatrio degli
stranieri, rendendole inefficaci o sia contrario ai diritti fondamentali della persona,
evenienza che nel primo caso potrebbe accadere se lo Stato comminasse la pena
della detenzione da espiarsi nel corso della procedura di rimpatrio o comunque prima
del suo inizio, venendola ad impedire materialmente. Ciò però non si verifica alla
stregua delle disposizioni del comma 5 dell’art. 10-bis, il quale assegna preminenza
all’esecuzione in via amministrativa dell’espulsione dello straniero irregolare, tanto
da imporre al giudice penale di pronunciare sentenza di proscioglimento
dell’imputato se già espulso.
1.3 Va poi rilevato che i dubbi espressi nella sentenza impugnata hanno
parimenti trovato soluzione in senso contrario a quanto in essa sostenuto: in ordine
alla possibilità che la sanzione pecuniaria inflitta al condannato sia sostituita con la
misura dell’espulsione, se non sussistano le condizioni ostative di cui all’art. 14 co. 1
d.lgs. 286/1998 che impediscono l’allontanamento immediato mediante
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, la Corte ha rilevato
di
come in linea generale la direttiva rimpatri non impedisca al giudice penale 4

2
/

f

5-ter e 5-quater dello stesso testo legislativo e che la compatibilità con la Direttiva

operare la sostituzione nel contesto delle decisioni assunte nel processo penale, ma
in quel caso dovrà osservare le previsioni dell’art. 7 della direttiva, le quali
prevedono la concessione allo straniero di un termine per l’esodo volontario non
superiore a giorni trenta, con le uniche eccezioni, disciplinate dal comma 4 della
norma stessa, della ricorrenza del pericolo di fuga dello straniero, del rigetto della
domanda di soggiorno regolare per manifesta infondatezza o per la sua natura
fraudolenta, oppure se l’interessato rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la
pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale: in tali casi però spetterà al giudice di

onde riscontrare la reale sussistenza delle condizioni per l’immediata espulsione, che
in ogni caso dovrà essere accompagnata dall’indicazione della protrazione temporale
del divieto di reingresso nel paese, di durata non superiore a cinque anni, secondo
quanto stabilito dalla direttiva europea.
1.4 Quanto invece al diverso profilo relativo alla convertibilità della sanzione
pecuniaria non eseguita nella misura della permanenza domiciliare, secondo quanto
previsto dagli artt. 53 e ss. D.Igs. 274/2000, la Corte Europea con la pronuncia
Mbaye ha ribadito l’obbligo degli Stati membri di dare esecuzione con la massima
celerità alle decisioni di rimpatrio, facendo ricorso anche all’allontanamento coattivo
degli stranieri, per cui l’eventuale applicazione in sede di conversione dell’ammenda
nella permanenza domiciliare sarebbe tale da impedire l’esecuzione dell’esodo,
specie se la normativa interna non contempli strumenti giuridici che assegnino
prevalenza all’attuazione dell’allontanamento rispetto all’esecuzione della
permanenza domiciliare: solo in tal caso la disciplina nazionale renderebbe l’istituto
della conversione confliggente con la direttiva e quindi disapplicabile da parte del
giudice italiano in sede di esecuzione.
1.4.1 Oltre a tale rilievo, resta decisiva la considerazione del fatto che
l’eventuale applicazione della permanenza domiciliare in sede esecutiva non dipende
dai precetti dell’art. 10-bis, quanto dalle norme che regolano il giudizio celebrato dal
Giudice di Pace, per cui soltanto queste ultime potrebbero porsi in conflitto con le

pace condurre l’accertamento in concreto della situazione individuale dell’imputato,

disposizioni della direttiva rimpatri, mentre nel caso specifico, per essere stata resa
in sede di cognizione pronuncia di proscioglimento, tale possibilità non si è posta in
concreto, per il difetto della imprescindibile condizione della condanna a pena
pecuniaria, suscettibile di sostituzione.
2. Va poi ricordato anche il recente intervento della Corte Costituzione con la
sentenza n. 250 del 9 giugno 2010, la quale ha dichiarato infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 10-bis d.Ig. 25 luglio 1998 n. 286, aggiunto dall’art.
1, comma 16, lett. a), I. 15 luglio 2009 n. 94, impugnato, in riferimento agli artt. 3 e
27 Cost., offrendo rilevanti spunti interpretativi della fattispecie.
2.1 In particolare, la Consulta ha escluso che la scelta legislativa di configurare
come reato la condotta di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato,

3

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nonostante il perseguimento della stessa finalità cui è preordinata l’espulsione in via
amministrativa, realizzi un’indebita duplicazione di procedimenti e di apparati
sanzionatori, uno operante sul piano penale, l’altro amministrativo, in quanto, pur
integrando lo stesso comportamento materiale violazione, sia del precetto penale,
che delle norme che disciplinano i flussi migratori di cittadini stranieri, la
ragionevolezza della previsione resta salvaguardata dalla priorità assegnata al
procedimento di espulsione amministrativa, deducibile dalla complessiva disciplina
introdotta, ed in particolare dal fatto che: in deroga al generale disposto dell’art. 13,

reato in questione può essere espulso in via amministrativa senza il nulla osta
dell’autorità giudiziaria; acquisita notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del
respingimento ai sensi dell’art. 10, comma 2, dello stesso d.Ig., il giudice deve
pronunciare sentenza di non luogo a procedere e, in caso di condanna, la pena
dell’ammenda, non oblabile, può essere sostituita dal giudice con la misura
dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Al contempo la disciplina
penale parte dalla consapevolezza dell’oggettiva difficoltà di dare attuazione
all’espulsione in via amministrativa e quindi della sua scarsa efficacia pratica, per cui
sia la scelta dell’incriminazione del fatto e la sottesa comparazione tra costi e
benefici connessi all’introduzione della nuova figura criminosa appartengono alla
sfera delle scelte discrezionali del legislatore, ispirate da ragioni di politica criminale
e giudiziaria, non sindacabili nel giudizio di costituzionalità.
2.2 La Corte Costituzionale con la medesima pronuncia ha anche escluso il
contrasto tra la norma in esame e l’art. 2 Cost. sotto il profilo della possibile lesione
dei diritti inviolabili della persona e del principio costituzionale di solidarietà; ha
precisato che i valori di solidarietà ed assistenza non possono essere affermati e fatti
valere, assegnandovi preminenza assoluta, ma devono essere tradotti
nell’ordinamento mediante il corretto bilanciamento degli interessi coinvolti, da
attuarsi in forme che il legislatore può scegliere nella sua discrezionalità. In tal senso
ha escluso la ravvisabilità sotto alcun profilo della violazione dei suddetti principi
nella disciplina che regolamenta e limita i flussi migratori degli stranieri, tenuto
conto: del differente trattamento assicurato a quanti si presentino perché rifugiati o
aventi diritto ad asilo politico rispetto ai “migranti economici”; della salvaguardia
della posizione del rifugiato, la cui domanda per il riconoscimento del relativo stato
determina la sospensione del procedimento penale intentato ex art. 10-bis e, in caso
di accoglimento, il proscioglimento dell’imputato, esito analogo a quello conseguente
all’eventuale rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’art. 5, comma
6, d.Ig. n. 286 del 1998, ossia quando, pur in presenza delle condizioni ostative ivi
indicate, sussistano “seri motivi [. .] di carattere umanitario o risultanti da obblighi
costituzionali o internazionali dello Stato italiano” ; della disciplina dei divieti di

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comma 3, d.Ig. n. 286 del 1998, lo straniero sottoposto a procedimento penale per il

espulsione e di respingimento e del ricongiungimento familiare ai sensi degli artt. 19
e 29 d.Ig. n. 286 del 1998.
2.3 Infine, per quanto qui rileva, la Consulta ha mostrato di voler disattendere
le censure dei giudici remittenti, i quali avevano contestato la scelta legislativa di
penalizzazione di condotte, poste in essere da cittadini stranieri, nella prospettiva di
ottenerne, tramite la declaratoria di illegittimità costituzionale, l’espunzione
dall’ordinamento penale; al riguardo è stato ribadito il principio, consolidato nella
giurisprudenza costituzionale, secondo il quale l’incriminazione delle condotte intesa

trattamento sanzionatorio costituiscono patrimonio esclusivo del potere legislativo,
soggetto al sindacato di costituzionalità soltanto a fronte di scelte “arbitrarie o
irragionevoli” (C.C. n. 47/2010; 41/2009 e 23/2009). Si è quindi escluso che la
norma scrutinata punisca la mera condizione personale e sociale dell’individuo in sè,
ossia la nazionalità straniera e l’irregolarità dell’ingresso o della permanenza nello
Stato sul presupposto della presunzione della sua pericolosità sociale, avendo ad
oggetto piuttosto il comportamento materiale, trasgressivo di specifiche norme
vigenti dirette a regolare i flussi migratori nel territorio nazionale; in altri termini,
l’ordinamento giuridico italiano non incrimina il clandestino perché tale, ma colui che,
contravvenendo alle regole stabilite per il controllo, la programmazione, la gestione
dell’immigrazione di stranieri, faccia ingresso o si trattenga in assenza di titolo
abilitativo, acquisendo in tal modo la condizione di clandestinità e violando il bene
giuridico protetto, consistente nell’interesse dello Stato a svolgere tale controllo sul
proprio territorio e sulle frontiere, quale espressione della sovranità a tutela della
collettività ed in attuazione degli obblighi internazionali.
3. Deve dunque ribadirsi la piena legittimità e validità della disposizione
incriminatrice, che il Giudice di Pace ha erroneamente disapplicato sulla scorta di
un’interpretazione non corretta e smentita dalle più autorevoli pronunce, anche di
estrazione sovranazionale, e sul rilievo delle difficoltà di armonizzare con la direttiva
rimpatri le eventuali sanzioni sostitutive applicabili in caso di condanna dell’imputata,
senza però al contempo aver affrontato il tema della loro concreta possibilità di
applicazione e della disapplicazione limitata soltanto alle norme che le prevedono e
non estesa alla fonte normativa, l’art. 10-bis, del precetto e della sanzione
pecuniaria irrogabile.
Per le considerazioni svolte il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va
annullata con rinvio al Giudice di Pace di Ficarolo per nuovo giudizio che dovrà
tenere conto dei superiori rilievi.

P. Q. M.

5

quale individuazione di ciò che va punito e delle modalità e delle forme del

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di Pace di
Ficarolo.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.

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