Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35571 del 18/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35571 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ENA MASSIMILIANO N. IL 03/09/1988
DI BELLA FRANCESCO N. IL 23/01/1988
avverso la sentenza n. 609/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
01/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Floy,cei vz> kau4,5› (D-zsmiietl”
che ha concluso per dì- 14;
ota- etA cA.52.4-3 •

Udito, per la parte civile, l’Avv
UditoikdifensoyAvv. 1-taA.41, 600-Ut(e , Koe-A-0, QA:2- C-4-2•Qt (A/QQc

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Data Udienza: 18/06/2013

Ritenuto in fatto

1. Ena Massimiliano e Di Bella Francesco, impugnano autonomamente, per il
tramite dei rispettivi difensori di fiducia, la sentenza deliberata il 10 ottobre 2012
dalla Corte d’Appello di Cagliari, che ha confermato quella emessa dal Tribunale
della sede, che li aveva condannati alla pena di mesi due di arresto ed € 100,00
di ammenda, siccome ritenuti colpevoli del reato previsto e punito dagli artt. 110
cod. pen. e 4, secondo comma, legge n. 110/1975, perché, senza giustificato

marca Diana modello Phanter cal. 4,5 matr. 01372111, strumento atto ad
offendere; fatto accertato in località Sa Narbeddera, in agro di Villaspeciosa, il 3
febbraio 2008.

2. Secondo i ricorrenti la Corte territoriale, è pervenuta illegittimamente alla
conferma della sentenza di condanna emessa dal primo giudice, avendo
disatteso le argomentazioni difensive dirette ad escludere la sussistenza nella
condotta degli imputati degli elementi costitutivi della contravvenzione ad essi
contestata, con motivazioni solo apparenti, o comunque contraddittorie ed
illogiche, violando le regole di valutazione delle risultanze probatorie (art. 192
commi 1 e 2 cod. proc. pen.).
2.1 La prima questione, in ordine logico, sollevata dai ricorrenti, e
segnatamente nel ricorso proposto da Ena Massimiliano – che secondo la
ricostruzione dei giudici di merito, basata sulla deposizione del carabiniere
Davide Spiga, era quello tra i due imputati notato dal militare sulla pubblica via,
nel materiale possesso della carabina, di proprietà del Di Bella – afferisce alla
potenzialità offensiva dell’arma di cui trattasi, trattandosi di una carabina ad aria
compressa di “libera vendita”, erogando la stessa un’energia cinetica non
superiore a 7,5 joule.
La circostanza che l’arma di cui è processo è di “scarsa potenzialità
offensiva”, doveva comportare, ad avviso della difesa di Ena Massimiliano,
l’assoluzione del predetto ricorrente perché il fatto non costituisce reato.
2.2 La seconda questione, sollevata in entrambi i ricorsi, afferisce all’esatta
individuazione del luogo in cui l’Ena, all’epoca del fatto sottoposto alla misura
cautelare degli arresti domiciliari, era stato trovato in possesso della carabina ed
il Di Bella di una confezione di pallini.
Mentre infatti i giudici di merito hanno escluso che i ricorrenti si trovassero
all’interno della fattoria degli Ena o comunque in una pertinenza della stessa,
non accessibile al pubblico, valorizzando al riguardo la deposizione del teste
1

motivo, portavano fuori dalla propria abitazione una carabina ad aria compressa

Spiga, che sulla scorta di alcune fotografie e di una planimetria, ha precisato che
gli imputati si trovavano su di una pubblica strada asfaltata (strada comunale
San Giovanni), ad una distanza di circa dieci metri dall’abitazione di Ena
Massimiliano, entrambi i ricorrenti contestano la fondatezza di tale assunto, che
riposa sul solo dato del contenuto di una deposizione, quella dello Spiga, recepita
acriticamente dai giudici di merito e ritenuta non tranquillSte, specie per quanto
attiene l’individuazione, anche grafica, da parte del teste, del luogo in cui si
assume si trovassero gli imputati.

fatto che gli stessi giudici di appello riconoscono che gli imputati si trovavano su
di un terreno agricolo nelle immediate adiacenze dell’abitazione dell’Ena, si
sostiene che detto luogo andava senz’altro qualificato come una pertinenza della
stessa, nel senso civilistico del termine; mentre da parte dell’altro imputato,
all’epoca del fatto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, quale
ulteriore elemento indicativo dell’inesatta qualificazione del luogo di cui trattasi
come pubblico o aperto al pubblico, si valorizza la circostanza che nell’occasione
l’Ena non era stato denunciato per evasione.
2.3 Con il terzo ed ultimo motivo d’impugnazione, da parte del solo
ricorrente Ena, si deduce, infine, l’illegittimità della decisione impugnata per
violazione di legge e vizio di motivazione (mancanza o illogicità), relativamente
al diniego delle attenuanti generiche, che nel caso di specie andavano senz’altro
concesse, per meglio adeguare la sanzione alle peculiari connotazione del fatto e
della personalità dell’imputato.

Considerato in diritto

1. Le impugnazioni proposte nell’interesse dell’Ena e del Di Bella sono
entrambe inammissibili, perché basate su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità o comunque manifestamente infondati.
1.1 Manifestamente infondato si rivela, in primo luogo, l’assunto difensivo,
sviluppato nel ricorso proposto nell’interesse dell’Ena, secondo cui essendo la
carabina ad aria compressa nel materiale possesso dell’imputato, un’arma “a
modesta capacità offensiva”, il predetto doveva essere senz’altro assolto dal
reato ascrittogli, perché il fatto non costituisce reato.
Al riguardo, è opportuno precisare, anzitutto – come già evidenziato, del
resto, sia nella sentenza di primo grado che in quella di appello – che agli
imputati non è stato contestato il porto in luogo pubblico di un’arma comune da
sparo (punito dall’art. 12 legge 14 ottobre 1974, n. 497), ma bensì di uno
2

In particolare da parte del ricorrente Di Bella, muovendo dalla premessa in

strumento atto ad offendere (fatto punito ex art. 4, secondo comma, legge n.
110/1975).
Orbene, per quanto concerne le armi ad aria compressa che erogano
un’energia cinetica non superiore a 7,5 joule, occorre considerare che, con
Decreto del Ministro dell’Interno 9 agosto 2001, n. 362 (G.U. n. 231 del
4.10.2001), è stato emanato uno specifico regolamento che ne disciplina
l’utilizzo. In particolare, se l’acquisto delle armi ad aria compressa di cui trattasi
è consentito senza autorizzazione, ai soggetti maggiorenni muniti di valido

giustificato motivo.
L’utilizzo delle armi ad aria compressa che erogano energia non superiore a
7,5 joule è infatti consentito in poligoni o luoghi privati non aperti al pubblico,
esclusivamente ai maggiori di età o a minori assistiti da soggetti maggiorenni,
fatta salva la deroga per il tiro a segno nazionale (art. 9 DM. cit.).
Il porto delle armi a “modesta capacità offensiva”, in altri termini, è escluso
dal D.L 9 agosto 2001, n° 362. L’art. 10 di detta norma, infatti, consente il solo
trasporto delle armi da esso contemplate, precisando, per altro, che durante il
trasporto, esse debbono essere scariche ed in custodia; chi effettua il trasporto
deve, inoltre, usare la massima diligenza (che vuol significare anche, evitare di
esibire pubblicamente l’arma o “portarla”).
Nè la difesa dell’Ena può utilmente invocare, a sostegno della richiesta di
proscioglimento dell’imputato, il riferimento ad un precedente di questa Corte
regolatrice (Sez. 1, sentenza n. 13601 del 23/03/2011 – dep. 05/04/2011,
Boracchi, Rv. 249920), riferendosi esso al porto di una pistola giocattolo priva di
tappo rosso, e non già al porto di una carabina ad aria compressa.
Con riferimento alla fattispecie di cui è processo, va invero ribadita la
validità del principio, più volte affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui
le armi cosiddette “da bersaglio da sala” ad emissione di gas o ad aria
compressa o a gas compressi sono escluse dalla categoria di quelle “comuni da
sparo”, e rientrano nella più ampia categoria di “armi” a cui fa riferimento l’art.
4, comma primo, legge n. 110 del 1975. (in tal senso, si veda, Sez. 1, n. 27783
del 11/05/2006 – dep. 03/08/2006, Martino, Rv. 234967).
1.2 Quanto poi all’ulteriore deduzione difensiva, prospettata in entrambi i
ricorsi, secondo cui la sussistenza del reato andrebbe esclusa, in ogni caso, a
ragione del decisivo rilievo che il luogo in cui l’arma di cui trattasi era stata
notata nella disponibilità degli imputati non era pubblico o aperto al pubblico, ma
una pertinenza dell’abitazione dell’Ena, è agevole rilevare che esso, così come

3

documento di riconoscimento, non ne è, tuttavia, consentito il porto senza

prospettato, integra, in tutta evidenza, un motivo non consentito nel giudizio di
legittimità.
In vero le argomentazioni svolte in entrambi i ricorsi relativamente
all’inattendibilità delle dichiarazioni del teste Spiga, che ad avviso dei giudici di
merito ha individuato con precisione il punto in cui si trovava l’Ena armato di una
carabina come esterno all’abitazione dell’imputato e come accessibile a tutti in
quanto non recintato, ripropongono una questione già esaminata e decisa dalla
Corte territoriale e si sviluppano tutte lungo una direttrice di completa

alternativa rispetto a quella operata dalla Corte territoriale, ovvero inconferente,
quale quella incentrata sulla mancata contestazione all’Ena dell’ulteriore reato di
evasione.
Siffatta proposta rilettura delle emergenze fattuali della causa non è infatti
esperibile nella odierna sede di legittimità, avuto riguardo alla completezza e
linearità espositiva della sentenza impugnata e dei corretti passaggi
argomentativi attraverso i quali la stessa ha concluso per la veridicità delle
dichiarazioni del teste e la conseguente responsabilità penale degli imputati, non
discostandosi, in particolare, la decisione impugnata da principi assolutamente
consolidati nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui per
“luogo aperto al pubblico” deve intendersi quello al quale chiunque può accedere
a determinate condizioni, ovvero quello frequentabile da un’intera categoria di
persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la
possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul
luogo esercita un potere di fatto o di diritto (in tal senso, Sez. 1, n. 6880 del
02/05/1995 – dep. 14/06/1995, P.M. in proc. Pittelli, Rv. 201719, ed in piena
continuità argomentativa, Sez. 1, n. 16690 del 27/03/2008 – dep. 22/04/2008,
Bellachioma, Rv. 240116).
1.3 Manifestamente infondata si rivela, infine, anche la censura mossa alla
sentenza impugnata dalla difesa di Ena Massimiliano relativamente al diniego
delle attenuanti generiche. Il ricorrente non considera, infatti, che rappresenta
principio di diritto assolutamente consolidato (tra le molte pronunce in tal senso
si veda Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell’11/10/2004 – 25/1/2005, Alba, rv.
230691), quello secondo cui “ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della
motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il
giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati
dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere
discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo” e che tale
4

(aei

rivisitazione delle risultanze probatorie, delle quali è delineata una valutazione

obbligo di motivazione risulta certamente assolto nel caso in esame, avendo i
giudici di appello, con plausibile motivazione, evidenziato come la condotta
dell’imputato, che al momento di commissione del reato si trovava agli arresti
domiciliari, integrava in effetti una reiterazione di comportamenti inosservanti
delle prescrizioni di legge, così da non giustificare una ulteriore riduzione della
pena inflitta dal primo giudice, evidentemente ritenuta congrua ed adeguata
rispetto alla relativa gravità del fatto.

legge dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento,
ciascuno, di una somma, congruamente determinabile in € 1000,00 alla cassa
delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte
Cost, sent. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e al versamento, ciascuno, della somma di € 1000,00 alla
cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2013.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per

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