Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35566 del 24/06/2014
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35566 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SOLLENNITA’ SALVATORE N. IL 02/01/1956
avverso la sentenza n. 2033/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/06/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;
Data Udienza: 24/06/2014
R.G. 40897/2013
Considerato che:
Solennità Salvatore ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Milano del 24/6/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di Milano del
18/9/2007, con la quale è stato condannato alla pena di anni due mesi uno di
reclusione ed € 700,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110, 648, 99 cod.
pen., chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e)
mancata qualificazione del fatto come delitto di furto nonché con riferimento al
principio del divieto della reformatio in peius.
Quanto al primo motivo, nel ricorso viene genericamente prospettata una
valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente rispetto a quella
accolta nella sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello. In
sostanza si ripropongono questioni di mero fatto che implicano una valutazione
di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva,
immune da vizi logici; viceversa dalla lettura della sentenza della Corte
territoriale non emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità,
risultando, invece, l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del
quale si è pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento
alla responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittogli ed alla qualificazione
giuridica dello stesso; in tal senso si è fatto riferimento all’assenza di elementi di
fatto idonei a supportare la tesi difensiva fondata esclusivamente sul dato
temporale della prossimità fra le date della denuncia del furto dell’autovettura ed
il rinvenimento dello stesso nella disponibilità dell’imputato. Tutto ciò preclude
qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di legittimità (Sez. U n. 12 del
31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv.
226074).
Quanto al secondo motivo, è, evidentemente errata la motivazione della
sentenza impugnata, in quanto la Corte, in forza dell’art. 597 comma 3 cod.
proc. pen., avrebbe potuto dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, pur
dovendo poi lasciare inalterato il trattamento sanzionatorio, per non incorrere
nella violazione del principio della reformatio in peius; ma tale possibilità era
stata già esclusa sulla base di una valutazione di fatto non censurabile in questa
sede; ne consegue che la parte della motivazione a cui si riferisce il secondo
motivo proposto deve considerarsi ultronea ed irrilevante ai fini del decidere.
Si impone, quindi, dichiararsi l’inammissibilità dell’impugnazione; ne
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa
cod. proc. pen.; deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla
delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in € 1000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
Roma, 24 giugno 2014
ammende.