Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3556 del 31/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3556 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUBINO FILIPPO N. IL 09/12/1968
avverso la sentenza n. 656/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 31/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 31/10/2014

Il Sostituto Procuratore generale, dott. Massimo Galli, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11 aprile 2013, il Tribunale di Nicosia, all’esito di
rito abbreviato, condannava Rubino Filippo alla pena di giustizia per i delitti di
false attestazioni a pubblico ufficiale e di possesso e fabbricazione di documenti

trovato in possesso di due carte di identità materialmente contraffatte e di un
tesserino plastificato recante i suoi dati anagrafici, la sua fotografia e
l’indicazione “maresciallo Guardia di Finanza”; egli era invece assolto dall’accusa
di possesso di segni distintivi contraffatti (art. 497-ter cod. pen.).
2. In seguito all’appello del pubblico ministero, la Corte d’appello di
Caltanissetta, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava
l’imputato anche per la violazione dell’art. 497-ter cod. pen..
3. Propone ricorso per cassazione l’imputato, con atto redatto dal difensore,
avv. Nunzio Buscemi, affidato a cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettera e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 438 e 442 cod. proc. pen.,
poiché entrambe le sentenze di merito sono fondate su atti non presenti nel
procedimento. Nel fascicolo d’ufficio, infatti, non hanno mai trovato accesso i
tesserini e le carte d’identità oggetto di sequestro, ma solamente il relativo
verbale, sicché il giudice non ha potuto verificare, mediante la diretta
osservazione del documento, l’insussistenza di un timbro a secco, la sostituzione
di una foto e l’applicazione di un’altra tramite nastro adesivo trasparente.
Nè il verbale di sequestro poteva essere ritenuto sufficiente, potendosi
riconoscere valore probatorio fino a querela di falso a tale atto solo in ordine ai
fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza ovvero dallo
stesso compiuti, ma non riguardo ai giudizi valutativi espressi.
2.2 Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione degli artt. 81 e
497-ter cod. pen., poiché, come correttamente ritenuto dal primo giudice, il
tesserino della Guardia di Finanza sequestrato all’imputato non poteva indurre in
errore in ordine all’appartenenza dello stesso ad alcun corpo militare, per il
materiale da cui è composto, per l’impostazione con cui è stato realizzato, per la
tipologia dei caratteri riportati, per la precaria consistenza e per l’assenza di
elementi essenziali e distintivi, quali l’ologramma della Repubblica, lo stemma
della Guardia di Finanza e l’immancabile intestazione al ministero di
appartenenza. Si ribadisce poi che la mancata acquisizione del documento agli
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di identificazione falsi (artt. 495 e 497-bis cod. pen.); l’imputato era stato

atti del fascicolo non ha consentito alla Corte d’appello una diversa valutazione,
operata su una fotocopia del tesserino, il quale a tutto concedere poteva essere
considerato un falso assolutamente grossolano.
2.3 Con il terzo motivo si deduce insussistenza del reato di cui all’art. 497bis cod. pen., mancata assunzione di prove decisive, erronea applicazione
dell’aumento di pena per la continuazione ed omessa applicazione dell’articolo
530, comma 2, cod. proc. pen..
A giudizio della difesa, infatti, la carta di identità rilasciata dal Comune di

per questo si censura la decisione del giudice di primo grado di non ammettere
domande sugli accertamenti condotti dal teste Polifrone al comune in cui sarebbe
avvenuto il rinnovo e si contestano le conclusioni del decidente, in ordine alla
falsità del timbro di rinnovo apposto sulla carta di identità.
2.4 Con il quarto motivo si deduce omessa applicazione dell’articolo 530,
comma 2, cod. proc. pen., poiché in assenza di altre prove ed in assenza dei
documenti in sequestro, il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato
quantomeno per mancanza di prove certe ed incontrovertibili.
2.5 Con il quinto motivo si deduce erronea determinazione della pena,
poiché la sentenza impugnata omette ogni riferimento ai parametri di cui all’art.
133 cod. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1 La Corte territoriale ha rilevato che i documenti di cui al capo di
imputazione, in quanto corpi di reato, erano depositati presso i Carabinieri di
Leonforte e, pur non essendo materialmente versati in atti, facevano parte del
fascicolo processuale. La mancata diretta verifica da parte del giudicante delle
caratteristiche dei documenti non ha determinato alcun vizio di motivazione,
poiché entrambi i giudici di merito fanno riferimento alle risultanze del verbale di
sequestro, nel quale sono dettagliatamente descritte le caratteristiche della carta
d’identità e del tesserino plastificato e comunque hanno preso visione delle copie
fotostatiche presenti in atti.
Tali risultanze sono perfettamente utilizzabili, avendo l’imputato richiesto la
definizione del processo mediante rito abbreviato, sicché alcun rilievo può
riconoscersi al principio espresso dall’art. 2700 cod. civ. (L’atto pubblico fa piena
prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti
che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti)

Leonforte e rinnovata dal Comune di Mediglia non presenta alcun elemento falso;

invocato dall’imputato per negare valenza alla descrizione dei documenti falsi
fatta nel verbale.
Peraltro va ribadito il principio espresso da una recente decisione della
Quarta Sezione (Sez. 4, n. 39165 del 18/06/2013, Pisciella, Rv. 256936),
secondo cui il concetto di “valutazione diretta delle prove” non è incompatibile
con la disamina di una riproduzione fotografica dell’oggetto-prova, per cui non
integra alcuna nullità (anche rispetto al principio del processo equo, di cui all’art.
6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) la mancata valutazione diretta

atto di avere esaminato una riproduzione fotografica fedele dell’oggetto
costituente la prova medesima. Anche nel caso in esame la (mancata) diretta
osservazione dei documenti non assume valore decisivo nella formazione del
giudizio della Corte di appello, poiché i giudici hanno avuto modo di rendersi
conto delle caratteristiche dei medesimi sia attraverso la visione delle fotocopie,
sia attraverso la mediazione del verbale di sequestro, utilizzabile nei termini
anzidetti.
2. L’infondatezza del primo motivo comporta il rigetto anche del quarto, con
il quale genericamente si deduce la carenza di prova come conseguenza
dell’assenza dei documenti in sequestro.
3. Il secondo motivo, avente ad oggetto il delitto di possesso di segni
distintivi contraffatti, è infondato.
3.1 La norma di cui all’art. 497-ter cod. pen. è stata introdotta dalla L. 21
febbraio 2006, n. 49 (in sede di conversione, con modifiche, del D.L. n. 272 del
2005, sulla funzionalità della Amministrazione dell’Interno); l’art.

1-ter è

intervenuto a modificare, mediante previsione aggiuntiva, il D.L. n. 144 del
2005, art. 10 bis, conv. in L. n. 55 del 2005, ossia il decreto contenente norme
urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, ed ha inteso punire la
detenzione, la fabbricazione e l’uso di segni distintivi dei corpi di Polizia, sul
presupposto della potenziale strumentalità di tale condotta rispetto alla
consumazione di delitti terroristici.
La previsione del comma 1, n. 1) si riferisce – come si desume anche dalla
rubrica dell’articolo di legge – sia alla detenzione di segni contraffatti o comunque
non autentici (posto che la contraffazione, in sè, è condotta rientrante in quelle
espressamente descritte nell’ipotesi numero 2, prevista dall’articolo citato), sia
alla detenzione illecita di segni distintivi di diversa origine illegale (ad esempio
furto).
3.2 D’altra parte, la condotta integrata dalla “detenzione” di segni o
contrassegni contraffatti, in uso a corpi di Polizia, prevista nella prima parte del
n. 1, è disciplinata unitamente a quella, contenuta nella seconda parte del n. 1
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di una prova nel caso in cui il giudice (nella specie la Corte di Appello) abbia dato

dello stesso art. 497-ter cod. pen. della detenzione di “oggetti o documenti che
ne simulano la funzione” cioè di oggetti idonei a trarre in inganno sulla funzione
tipica del segno imitato. Tale dizione è in grado di riconnprendere l’ipotesi di
documenti che, ancorché non realmente in uso ai corpi di Polizia, siano
comunque in grado di indurre in errore in ordine allo svolgimento della funzione,
sono cioè idonei a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulle qualità personali
di chi li dovesse, illecitamente, usare e sul potere connesso all’uso del segno
come appunto avvenuto nel caso di specie, secondo l’accertamento di merito

insindacabile dalla Corte di cassazione.
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Il ricorrente lamenta la mancata assunzione di prova decisiva, con
riferimento alla conduzione dibattimentale dell’esame del teste Polifrone, cui era
stata subordinata la richiesta di rito abbreviato; secondo la tesi difensiva una
corretta assunzione della prova avrebbe avvalorato la propria tesi ,secondo cui la
carta d’identità sequestrata era stata rilasciata dal Comune di Leonforte (EN) e
regolarmente rinnovata dal Comune di Medeglia (MI).
4.1 Sul punto va innanzi tutto osservato che (da ultimo Sez. 6, n. 28247 del
30/01/2013, Rionero, Rv. 257026) l’assunzione della prova a cura del giudice,
anche qualora non sia conforme alle regole che ne disciplinano la raccolta, non
dà luogo ad inutilizzabilità, non inquadrandosi la fattispecie richiamata nella
prova assunta in violazione dei divieti posti dalla legge, prevista con riferimento
alla figura giuridica dell’inutilizzabilità dall’art. 191 cod. proc. pen., valutazione
che consente di ritenere inammissibile in diritto l’eccezione formulata dalla
difesa.
4.2 Peraltro, trattandosi di una prova assunta nel contraddittorio, era onere
della parte presente formulare eccezioni sulle modalità di assunzione dell’atto
istruttorio, in assenza delle quali non risulta neppure possibile ex post contestare
la valida conduzione dell’attività di acquisizione. È del tutto pacifico, infatti, che
l’eccezione sulle modalità di conduzione della prova debba essere proposta nel
corso dell’assunzione, potendosi nei successivi gradi di giudizio sottoporre al
giudice solamente la motivazione con la quale si è decisa la relativa eccezione,
(Sez. 3, n. 47084 del 23/10/2008, Perricone, Rv. 242255).
Nel caso di specie il difensore non ha proposto alcuna eccezione durante
l’escussione del teste Polifrone, per cui la doglianza proposta in questa sede, sub
specie di mancata assunzione di prova decisiva, è inammissibile.
4.3 Per il resto, il ragionamento della Corte in ordine alla sussistenza della
falsificazione è logico e congruo, in quanto basato sulla regola di esperienza che
esclude il rinnovo di una carta di identità da parte di comune diverso da quello
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operato dalla Corte territoriale che, se congruo (come nel caso di specie), è

che l’ha rilasciata e sulle dichiarazioni dello stesso imputato, che ha ammesso le
contraffazioni.
5. Il quinto motivo è inammissibile per genericità.
Il ricorrente non indica quali circostanze sarebbero state tralasciate dalla
Corte territoriale nella determinazione della pena, che d’altra parte richiama nella
sua motivazione l’oggettiva gravità dei fatti, i precedenti per delitti contro il
patrimonio ed una recente condanna per simulazione di reato e falsità ideologica
in atti pubblici.

statuizione che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito,
per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia
motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica e nel caso di specie
come si è detto, la Corte territoriale ha fatto riferimento alla gravità dei fatti ed
ai precedenti penali; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della
motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli
elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli
elementi che nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.
6. In conclusione il ricorso dell’imputato va rigettato.
6.1 Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il
ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2014
Il consigliere estensore

Il Pregdente

In proposito vale anche la pena di ricordare che la modulazione della pena è

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