Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3556 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3556 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MILONE GUIDO N. IL 06/06/1978
avverso l’ordinanza n. 216/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
06/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/11/2013

Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, dr. Piero Gaeta,
che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Milone Guido ha svolto istanza di ricusazione contro il dr. Giusti, Giudice di
pace di San Vito dei Normanni, nell’ambito del procedimento penale a proprio

pronunciata durante l’escussione di un teste di accusa, considerata una indebita
anticipazione di giudizio.
2. La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile l’istanza.
3. Propone oggi ricorso per Cassazione l’imputato, a ministero dell’avv. Mario
Guagliani, lamentando: violazione dell’art. 606, lettera C, in relazione all’articolo
127 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale dichiarato la manifesta
infondatezza dei motivi addotti a supporto della richiesta, pur procedendo ad una
vera e propria approfondita valutazione di merito; violazione dell’art. 606, lettera
C, in relazione agli articoli 499, comma 6 e 37, comma 1, lettera B, cod. proc.
pen., poiché la frase pronunciata dal giudice (“qualunque fosse la causa… ciò
non legittima l’aggressione”), subito dopo aver respinto una domanda della
difesa alla sorella della persona offesa, non si giustifica a norma dell’articolo 499,
comma 6, cod. proc. pen.; mancanza ed illogicità della motivazione, poiché la
Corte territoriale ha omesso di motivare in ordine rilievo difensivo secondo il
quale l’anticipazione di giudizio è avvenuta ancor prima dell’assunzione dei testi
della difesa e dell’esame dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Con riferimento al primo motivo, e dunque alla pretesa violazione dell’art. 127
cod. proc. pen., va rilevato che, secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale d questa Corte (Sez. 2, n. 27611 del 19/06/2007, Berlusconi,
Rv. 239214; Sez. 5, ord. n. 43855 del 05/10/2005, Manzini, Rv. 233057), è
legittima l’adozione dell’ordinanza di inammissibilità mediante procedura
camerale de plano senza la partecipazione delle parti, quando i motivi addotti
sono manifestamente infondati, pur se la dichiarazione avvenga con motivazione
complessa, poiché la procedura camerale assicura il rispetto del principio del
contraddittorio, garantito dalla possibilità di presentare deduzioni in forma scritta
2

carico per lesioni personali in danno di Lanzillotti Giuseppe, per una frase

anche non in presenza delle parti: l’obbligo della motivazione non viene certo
meno nel caso di una decisione di inammissibilità, e l’esistenza di una
motivazione congrua e completa non può considerarsi incompatibile col tenore
della decisione assunta.
3. Anche le residue censure sono manifestamente infondate, poiché la Corte
d’appello di Lecce, con motivazione adeguata e logica, ha rilevato che le
affermazioni del giudice ricusato riguardavano la motivazione adottata per

difesa al teste. In sostanza il difensore chiedeva al teste di chiarire il motivo del
contrasto tra l’imputato e la persona offesa; il giudice, nell’escludere la rilevanza
della domanda, affermava che il motivo della discussione mai avrebbe potuto
giustificare l’aggressione, evidentemente tutta ancora da dimostrare. In altri
termini il giudice non ha espresso alcun convincimento sui fatti oggetto
dell’imputazione, ma è rimasto nei limiti dei propri poteri di conduzione
dell’esame, sia pure con un’espressione logico-sintattica

“per assurdo”.

Il

ricorrente non si confronta minimamente con tale argomentazione, limitandosi a
ribadire il carattere indebito della frase pronunciata dal giudice.
4.

In conclusione il ricorso proposto dall’imputato deve essere dichiarato

inammissibile; alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa
di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr.
Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in €1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013
Il consigliere e tensore

accogliere l’eccezione della difesa di parte civile, a fronte di una domanda della

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