Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35552 del 24/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35552 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GJOKA FATJON N. IL 27/10/1982
avverso la sentenza n. 11318/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
15/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 24/06/2014

‘9

R.G. 40662/2013
Considerati() che:
Gjoka Fatjon ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma
del 15/3/2013, che, in parziale riforma della sentenza del 14/1/2010 del
Tribunale di Roma, previa dichiarazione di non doversi procedere per il reato di
cui al capo B) perché estinto per prescrizione, rideterminava la pena inflitta per il
residuo reato di ricettazione in anni uno mesi quattro di reclusione ed € 400,00
di multa, chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e)

alla sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione nonché la
mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento
all’accertamento dell’elemento materiale del reato di falso di cui al capo b).
La Corte territoriale, quanto al primo motivo di ricorso, nel confermare la
sentenza di primo grado, si è adeguata al costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del
delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita
del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza
si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di
modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove
indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura
intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza
illecita di quanto ricevuto. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la
conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi
elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che
dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero
dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del
11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv.

cod. proc. pen.; deduce la mancanza ed illogicità della motivazione con riguardo

248265). Nella sentenza impugnata l’assenza di alcun riscontro in ordine alla
versione fornita dall’imputato e la palese inverosimiglianza della stessa nonché il
comportamento tenuto dallo stesso al momento del controllo si pongono come
coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come
questa Corte ha recentemente affermato (Sez.U. n. 12433 del 26/11/2009,
Nocera, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, Screti, Rv. 247718)
l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo
eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte
dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e
della relativa accettazione del rischio, non potendosi desumere da semplici

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motivi di sospetto, né potendo consistere in un mero sospetto.
Quanto al secondo motivo di ricorso proposto, lo stesso si rivela privo
della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c)
c.p.p. limitandosi a riproporre la questione proposta con l’atto d’appello in ordine
alla quale la Corte territoriale ha reso esaustiva riposta dalla quale emerge
l’effettiva contraffazione dei documenti sequestrati all’imputato; al riguardo
questa Corte ha stabilito che «La mancanza nell’atto di impugnazione dei
requisiti prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della

grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la
possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di
inammissibilità» (Sez. 1 n. 5044 del 22/4/1997, Pace, Rv. 207648).
Le su esposte considerazioni impongono di dichiarare inammissibile il
ricorso, perché i motivi sui quali è fondato risultano manifestamente infondati.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 24 giugno 2014

specificità dei motivi- rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo

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