Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3555 del 31/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3555 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GADDA LORIS N. IL 23/03/1952
avverso la sentenza n. 4/2013 TRIBUNALE di FERRARA, del
11/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 31/10/2014

Il Sostituto Procuratore generale, dott. Massimo Galli, ha concluso
chiedendo l’annullamento con rinvio;
il difensore della parte civile, avv. Claudia Ferri, ha depositato conclusioni
scritte e nota spese;
il difensore dell’imputato, avv. Angelo Cutolo, in sostituzione dell’avv.
Andrea Zemperlin, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

1. Gadda Loris è stato condannato dal giudice di pace di Comacchio alla
pena di giustizia ed al risarcimento del danno per il reato di minaccia in danno di
Bigoni Attilio, sentenza confermata dal Tribunale di Ferrara in data 11 luglio
2013, a seguito di appello proposto dall’imputato.
2. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, avv. Andrea Zemperlin,
con atto affidato a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettera e), cod. proc. pen., per mancanza di motivazione, sotto il profilo
dell’omesso esame di specifiche censure mosse con l’atto d’appello, in
riferimento alla inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni del Bigoni, imputato
in procedimento connesso per il reato collegato di cui all’articolo 594 cod. pen.;
all’inutilizzabilità delle affermazioni contenute nella denuncia querela presentata
dalla persona offesa; all’inattendibilità dei testi Simoni Luciano e Fogli Andrea.
Viene inoltre dedotta la manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla
valutazione dei testi Bigoni Davide e Guerrini Stefano, i quali avevano escluso la
condotta minacciosa e che a giudizio del Tribunale, sulla base di una valutazione
congetturale, invece non l’avrebbero percepita.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettera e), cod. proc. pen., per manifesta illogicità della motivazione, in relazione
alla portata intimidatoria della frase di minaccia ascritta all’imputato, accertata in
grado di appello come” guardati le spalle, perché non sono più sindaco”, rispetto
alla più articolata espressione riportata al capo di imputazione.
Il Tribunale ha riconosciuto un contesto di reciproca tensione ed ha dato atto
che la persona offesa ha riferito in dibattimento di essersi consultato con il
fratello, prima di decidere se presentare querela, e di averlo fatto perché non
sapeva come sarebbe andata a finire; tali due elementi sono manifestamente
inconciliabili con il percorso motivazionale seguito per affermare la natura
intimidatoria della frase, giustificata in ragione dei rapporti intercorrenti tra le
partì e delle modalità temporali del fatto.
Un ulteriore vizio motivazionale è individuato nel ricorso ad argomenti
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RITENUTO IN FATTO

presuntivi.
Ancora carente è giudicata la motivazione rispetto ad alcuni interrogativi
posti con i motivi di appello (da cosa e/o da chi la vittima si sarebbe dovuta
guardare le spalle? Perché la cessazione dalla carica di sindaco avrebbe dovuto
costituire un pericolo?).
Infine si denuncia un travisamento della deposizione del teste Menegatti, le
cui parole non avrebbero confermato quelle riferite da altri testi.
2.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1,

manifesta illogicità della motivazione, in relazione al diniego dell’attenuante della
provocazione, rappresentata dalla frase “sei un disonesto”, pronunciata dal
Bigoni l’8 giugno 2009.
2.4 Con il quarto motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettera e), cod. proc. pen., per mancanza della motivazione, in relazione alla
conferma delle statuizioni civili, non avendo il Tribunale precisato in base a quali
criteri abbia ritenuto equa la somma di euro 250,00.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato.
1.1 Le doglianze di carenza motivazionale oggetto del primo motivo sono
infondate, poiché la sentenza fornisce una congrua e logica risposta a tutte le
doglianze segnalate dal ricorrente: la deposizione del Gadda è stata ritenuta
corroborata da quelle di Simoni Luciano, Bigoni Monica, Rolfini Antonio e
Menegatti Alessandro; il giudice di appello non fa uso nella motivazione del
contenuto della querela; le dichiarazioni dei testi Simoni Luciano e Fogli Andrea
sono state valutate, ma appare logica la considerazione del giudicante, secondo
cui per il contesto acceso e violento ed i toni concitati essi potevano non aver
ascoltato le esternazioni minacciose riferite agli altri.
1.2 Manifestamente infondata è poi la doglianza di travisamento delle
dichiarazioni di Menegatti Alessandro, poiché la sentenza impugnata le riporta
correttamente e formula un giudizio di sostanziale identità del narrato del teste
con quello degli altri, in considerazione del significato della frase riportata,
contenente la prospettazione di un male e la cessazione dalla carica istituzionale;
le residue doglianze sono generiche.
2. Anche con riferimento alla sussistenza della minaccia, devono escludersi
vizi motivazionali, dedotti con il secondo motivo. È del tutto coerente con i
principi della logica, oltre che conforme ai principi pacificamente affermati da
questa sezione, l’affermazione dell’esistenza del reato di minaccia, poiché in quel
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lettera e), cod. proc. pen., in relazione all’articolo 62, n. 2, cod. pen., per

reato è essenziale la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione
del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato alla vittima. Non è
invece necessario che uno stato di intimidazione si verifichi in concreto, bastando
– poiché si tratta di reato di pericolo – la mera attitudine della condotta ad
intimorire ed essendo irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato, purché
questo sia ingiusto e possa essere desunto dalla situazione contingente (Sez. 5,
n. 21601 del 12/05/2010, Pagano, Rv. 247762).
3. Quanto invece all’attenuante della provocazione, oggetto del terzo

tensione, per cui correttamente è stata esclusa la sussistenza dell’attenuante, la
cui applicazione postula: a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva
che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con
il “fatto ingiusto altrui”; b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato
dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole
giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata
collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni
dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità
psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione,
indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile
una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta (Sez. 1, n. 47840 del
14/11/2013, Saieva, Rv. 258454).
Ora è noto che la connotazione soggettiva, costituita dallo “stato d’ira” che
muove l’azione offensiva, giustifica il riconoscimento di una minore gravità del
fatto solo in presenza dell’ulteriore connotato tipizzante la circostanza attenuante
evocata, costituito appunto da un fatto ingiusto della vittima che abbia dato
causa alla reazione. La necessità di un legame in termini di stretta
consequenzialità tra fatto ingiusto e condotta dell’agente è dall’altra parte resa
manifesta nella formulazione normativa dall’uso rafforzativo dei predicati verbali
“reagito”, riferito all’azione, e “determinato”, riferito allo stato d’ira.
Perciò è principio consolidato che l’attenuante della provocazione è
inapplicabile, pur in presenza di un fatto apparentemente ingiusto della vittima,
allorché tale comportamento sia stato a sua volta determinato da un precedente
fatto ingiusto dell’agente o sia frutto di reciproche provocazioni (Sez. 1, n. 26847
del 01/07/2010, Rabita, Rv. 247720), tanto più quando si sia in presenza di una
reazione, qual è quella in esame, affatto inadeguata.
4. Infine deve giudicarsi inammissibile il quarto motivo, riguardante la
liquidazione del danno asseritamente priva di motivazione, poiché la
determinazione, come espressamente affermato nella decisione impugnata, deve
essere riferita ai danni morali, quantificati equitativamente con una cifra
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motivo, il Tribunale ha accertato in punto di fatto una situazione di reciproca

sostanzialmente simbolica (euro 250,00).
5. In conclusione il ricorso dell’imputato va rigettato.
5.1 Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il
ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento. Al rigetto consegue la condanna alle
spese sostenute dalla parte civile Bigoni Attilio, liquidate in euro 1.800,00 oltre

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte
civile che liquida in complessivi euro 1.800,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2014
Il consigliere estensore

Il Presidente

accessori di legge.

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