Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35544 del 24/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35544 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ANDREANI MASSIMO N. IL 09/08/1969
avverso la sentenza n. 592/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
01/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 24/06/2014

R.G. 40496/2013

Considerato che:
Andreani Massimo ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Ancona del 1/3/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di Fermo sez.
dist. di Sant’Elpidio a Mare del 17/7/2009, con la quale è stato condannato alla
pena di mesi uno di reclusione per il reato di cui all’art. 635 cod. pen.,
chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod.

sussistenza dell’elemento soggettivo del reato nonché in relazione alla mancata
concessione delle attenuanti di cui agli artt. 62 bis e 62 n. 4 cod. pen. anche
sotto il profilo della manifesta illogicità.
Osserva la Corte che il ricorso è, da un lato, privo della specificità
prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art. 591 c.p.p. e, dall’altro,
manifestamente infondato: nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni
dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello. Deve,
infatti, a questo riguardo rilevarsi che nel ricorso per cassazione contro la
sentenza di appello non possono essere riproposte questioni che avevano
formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in
maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di
riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la
impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606, terzo
comma, ultima parte, cod. proc. pen. Con particolare riferimento alla valutazione
dell’elemento soggettivo del reato, dalla lettura della sentenza della Corte
territoriale non emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità,
risultando, invece, l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del
quale si è pérvenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento
alla responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittigli, evidenziandosi, sulla
base di circostanze di fatto non censurabili in questa sede, la volontarietà del
comportamento posto in essere.
Quanto poi al secondo motivo proposto, difatti il giudice di appello ha
ritenuto adeguata la pena determinata dal giudice di primo grado considerandola
bene perequata rispetto al reale disvalore del fatto, avendo preso in
considerazione, a tal fine, le modalità della condotta, non potendo considerarsi di
lieve entità il danno cagionato alla PA e la personalità dell’imputato. Nel ricorso si
prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle
cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazione sintetica, ma congrua ed
esaustiva, previo specifico esame degli argomenti difensivi attua! ente
riproposti.

proc. pen.; deduce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla

Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di
legittimità ((Sez. U n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289
del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074). Ne consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 24 giugno 2014

in C 1000,00.

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