Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3554 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3554 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUCCERI CONCETTO N. IL 13/10/1947
BUCCERI SARA N. IL 01/06/1979
BUCCERI VERONICA N. IL 14/12/1983
avverso il decreto n. 2/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
05/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. r-

Uditi difensor Avv.;,,.

-.—

Data Udienza: 26/11/2013

,

Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, dr. Pietro Gaeta,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

l’impugnazione proposta da Bucceri Concetto, Bucceri Sara e Bucceri Veronica
contro il decreto di rigetto dell’istanza di revoca della misura di prevenzione
patrimoniale, reso dal Tribunale di Messina il 19 luglio 2010.
1.1 I ricorrenti avevano chiesto la revoca del provvedimento di confisca del 1
dicembre 2004, emesso nei confronti di Bucceri Concetto, in considerazione del
suo coinvolgimento nella operazione cosiddetta Free Bank, nel cui ambito egli
era stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare per i reati di usura,
associazione a delinquere di stampo mafioso e detenzione di sostanza
stupefacente. All’esito del giudizio di merito, però, con sentenza del 18 marzo
2009, era intervenuta assoluzione per il reato associativo, per la detenzione di
sostanza stupefacente e per alcune ipotesi di usura, mentre per altre veniva
dichiarata la prescrizione del reato.
1.2 In particolare nel decreto impugnato si rileva che l’assoluzione è intervenuta
in seguito alla dichiarazione di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali
eseguite all’interno dell’autovettura in uso all’imputato, per carenza di
motivazione del decreto con il quale il pubblico ministero aveva disposto l’utilizzo
di impianti diversi da quelli istallati presso la Procura della Repubblica. Pur
tuttavia, in relazione a cinque capi di imputazione riguardanti l’usura in danno di
Pergola Nadia, il Tribunale ha ritenuto comprovata l’esistenza di un rapporto
usurario, pur a fronte della reticenza della vittima, ed ha dichiarato l’estinzione
del reato per decorso del termine prescrizionale.
A giudizio della Corte territoriale, tale ultima pronuncia risulta inidonea ad
incidere sulla misura ablativa, già disposta con provvedimento definitivo.
3. Con ricorso sottoscritto dal difensore, avv. Giovanbattista Freni, Bucceri
Concetto, Bucceri Sara e Bucceri Veronica censurano il provvedimento,
deducendo violazione dell’articolo 606 lettera A, B, C ed E in relazione agli artt.
125, comma 3, cod. proc. pen., 111, comma 6 della Costituzione, della legge
numero 575/1965, dell’art. 14 della legge 55/1990 ed infine del decreto

1. Con decreto del 5 dicembre 2012 la Corte d’appello di Messina rigettava

legislativo 159/2011.
3.1 I ricorrenti deducono che il procedimento penale si è concluso con
l’assoluzione dell’imputato e la dichiarazione di improcedibilità dei capi
riguardanti l’usura, per cui il decreto non risulta corroborato da concreti
elementi. Pur se la scelta di non impugnare la declaratoria di prescrizione è,

che il decreto impugnato fonda la dedizione del proposto alle attività di usura
sulle stesse intercettazioni telefoniche già dichiarate inutilizzabili nel
procedimento di merito; gli ulteriori elementi, indicati nella omessa
dimostrazione della legittimità della provenienza del denaro e nella
sperequazione tra tenore di vita e redditi dichiarati, sono giudicati insufficienti a
fondare la provenienza illecita dei beni. In conclusione, pertanto, la motivazione
è giudicata contraddittoria ed illogica.
3.2 Con riferimento ai singoli cespiti, i ricorrenti deducono che la quota del
fabbricato per civile abitazione proviene da successione ereditaria; i veicoli
sequestrati sono stati immatricolati in epoca remota; l’imbarcazione è
riconducibile ad una società cooperativa; le due polizze vita non depongono a
favore della tesi secondo cui il proposto disponeva di lucro parassitario
manteneva elevato tenore di vita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente va dato atto dell’istanza di rinvio proposta dal difensore, avv.
Giovanbattista Freni, per concomitante impegno professionale.
Poiché il ricorso è stato trattato nelle forme dell’udienza camerale non
partecipata, tale impedimento è stato ritenuto irrilevante.
2. Con riferimento alle posizioni di Bucceri Sara e Veronica, il ricorso è
inammissibile, in quanto proposto da difensore sfornito di procura speciale, come
eccepito dal P.G. nella requisitoria scritta.
2.1 La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, condivisibilmente
chiarito che, con riguardo al procedimento di prevenzione, il difensore del terzo
interessato, non munito di procura speciale, non è legittimato a ricorrere per
cassazione avverso il decreto che dispone la misura di prevenzione della
confisca. Si è, in proposito, osservato, che “per i soggetti portatori di un

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secondo il ricorso, riconducibile solamente alla volontà del difensore, si osserva

interesse meramente civilistico, come è il caso del ricorrente, vale
analogicamente la regola, espressamente menzionata dall’art. 100 c.p.p. per la
parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria”, secondo cui essi “stanno in giudizio coi ministero di un difensore
munito di procura speciale”, al pari di quanto previsto nei processo civile dall’art.

penale, sta in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di difensore
che, oltre ad assisterlo, lo rappresenta ex lege e che è titolare di un diritto di
impugnazione in favore dell’assistito per il solo fatto di rivestire la qualità di
difensore, senza alcuna necessità di procura speciale, imposta soltanto per i casi
di atti riservati espressamente dalla legge all’iniziativa personale dell’imputato.
La stessa regola per il soggetto assoggettato a misure di prevenzione,
estendendosi ad esso la posizione dell’imputato (v. L. n. 1423 del 1956, art. 4,
u.c.); invece il terzo interessato, quali sono i predetti ricorrenti, al pari dei
soggetti considerati espressamente dall’art. 100 c.p.p., è portatore di interessi
civilistici, sicché, in conformità a quanto previsto per il processo civile (art. 83
c.p.c.), non può stare personalmente in giudizio, ma ha un onere di patrocinio,
che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore (Sez.
6, n. 13798 del 20/01/2011, Bonura, Rv. 249873; Sez. 2, n. 27037 del
27/03/2012, Bini, Rv. 253404).
Nella specie non risulta agli atti che una simile procura sia stata rilasciata.
3. Anche il ricorso di Bucceri Concetto è inammissibile, poiché le doglianze si
concretizzano in censure alla motivazione dell’impugnato provvedimento ed in
parte riguardano beni non intestati al prevenuto, che non possono costituire
oggetto di ricorso in questa sede.
3.1 Questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che, nel procedimento di
prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di
legge, in forza della generale disposizione della L. 27 dicembre 1956, n. 1423,
art. 4, comma 11, applicabile anche nei casi di pericolosità qualificata di cui alla
L. n. 575 del 1965 (in forza del richiamo L. n. 575 del 1965, ex art. 3-ter,
comma 2): ne consegue che in sede di legittimità non è deducibile il vizio di
motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente o presenti difetti tali
da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, traducendosi perciò in
violazione di legge per mancata osservanza, da parte del giudice, dell’obbligo,

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83 c.p.c.; mentre solo l’indagato o imputato, che è assoggettato all’azione

sancito dal comma 9 del citato art. 4, di provvedere con decreto motivato (Cass.
pen., sez. 5, n. 19598 dell’8 aprile 2010, Palermo, rv. 247514; sez. 6, n. 35044
dell’8 marzo 2007, Bruno, rv. 237277; sez. 6, n. 15107 del 17 dicembre 2003,
dep. 30 marzo 2004, Criaco, rv. 229305; sez. 6, n. 34021 del 23 maggio 2003,
Largo, rv. 226331; più in generale, per l’affermazione che, nei casi in cui il

comunque deducibile la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso
che in tal caso si prospetta la violazione della norma costituzionale che impone
l’obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali, cfr. Sez. U, n.
25080 del 28 maggio 2003, Pellegrino, rv. 224611).
3.2 Tale assetto è già passato indenne al vaglio della Corte costituzionale: il
Giudice delle Leggi, premesso che la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4,
comma 11, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della
Corte d’appello che abbia applicato la misura di sicurezza della sorveglianza
speciale, esclude – secondo un consolidato orientamento del giudice di legittimità
– la sua ricorribilità in cassazione per vizio di manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha osservato che
tale presupposto interpretativo non si traduce tuttavia nella violazione dei
parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost., “posto che le forme di
esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione
alle caratteristiche di ciascun procedimento, allorché di tale diritto siano
comunque assicurati lo scopo e la funzione, con la conseguenza che i vizi della
motivazione possono essere variamente considerati a seconda del tipo di
decisione a cui ineriscono, non potendosi, al contrario, ritenere che il risultato
perseguito dal rimettente costituisca una soluzione costituzionalmente obbligata.
Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 1423
del 1956, art. 4, comma 11, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.”
(Corte cost., sentenza n. 321 del 2004).
3.3 II ricorso, senza denunciare alcuna specifica violazione di legge, ma
espressamente censurando la motivazione per contraddittorietà ed illogicità, si
limita ad una serie di argomentazioni in fatto (la provenienza del fabbricato per
civile abitazione da successione ereditaria; l’immatricolazione dei veicoli
sequestrati in epoca remota; la riconducibilità dell’imbarcazione ad una società
cooperativa; l’conferenza delle polizze vita) del tutto generiche, se non

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ricorso per cassazione sia ammesso esclusivamente per violazione di legge, è

addirittura irrilevanti (si pensi all’affermazione secondo cui la scelta di non
impugnare la declaratoria di prescrizione è riconducibile sostanzialmente ad un
errore difensivo).
3.3 Del resto, come anche osservato dal Procuratore generale, il venir meno, per
eventi successivi, dell’accertata pericolosità sociale del prevenuto, non può avere

prevenzione. Diversamente, ove in sede di impugnazione si accerti che la
condizione di pericolosità non esisteva al momento dell’applicazione di dette
misure, l’accertamento travolge anche la confisca per difetto dei presupposti che
ne legittimavano ab initio l’adozione (Sez. 1, n. 7636 del 24/01/2006, Gremito,
Rv. 233696); su tale punto la Corte territoriale ha specificamente motivato con
riferimento alle contestazioni dichiarate prescritte e rispetto a tale affermazione,
come si è detto, le censure proposte sono da ritenersi inammissibili.
4. In conclusione i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili; alla declaratoria
di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile
alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n.
186 del 7-13 giugno 2000) al versamento ciascuno di essi, a favore della cassa
delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro
1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013
Il consigliere estensore

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I Presi

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influenza alcuna in ordine alla confisca disposta nell’ambito del procedimento di

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