Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35531 del 22/08/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 35531 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Diaconescu Octavian Ionut n. il 10.2.1982
avverso l’ordinanza n. 29/2007 pronunciata dalla Corte d’appello di
Venezia il 5.7.2013;
sentita nella camera di consiglio del 22.8.2013 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. E. Delehaye, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 22/08/2013

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 13.7.2013, a mezzo del proprio difensore,
Octavian Ionut Diaconescu ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 5.7.2013 con la quale la corte d’appello di Venezia ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere a carico del ricorrente ai fini dell’esecuzione del mandato di arresto europeo emesso nei relativi confronti dall’autorità giudiziaria di Oldenburg (Germania) in data 30.12.2004.
Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al difetto dei presupposti di cui all’art. 9, comma 4, della 1.
n. 69/2005, ai fini dell’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.
In particolare, il ricorrente si duole dell’erroneità, laconicità e
carenza della motivazione dettata dalla corte veneziana a sostegno
dell’applicazione della massima misura afflittiva ai danni del Diaconescu, avendo il giudice a quo omesso di dar conto delle ragioni che
imporrebbero di garantire l’esecuzione del mandato di arresto europeo con l’applicazione della più grave delle misure afflittive previste,
in palese violazione della disposizione di cui all’art. 9, comma 4, cit.
che pone a fondamento dell’applicazione della misura cautelare la sola esigenza di garantire che la persona della quale è richiesta la consegna non si sottragga alla stessa: esigenza nella specie del tutto
estranea alle carenti e generiche argomentazioni sul punto indicate
nel provvedimento impugnato, tenuto conto che lo stesso Diaconescu
ebbe ad esprimere illo tempore il proprio consenso alla consegna
all’autorità giudiziaria richiedente, a testimonianza dell’inesistenza di
alcuna intenzione dello stesso di sottrarsi all’esecuzione della pena
allo stesso inflitta in Germania.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, in tema di mandato di arresto europeo, l’unico rimedio esperibile avverso i provvedimenti relativi a misure cautelari personali è il
ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma degli artt. 9,
comma 7, della 1. n. 69/2005 e 719 c.p.p.; rimedio proponibile in relazione all’eventuale inesistenza della motivazione, ovvero in relazio2.-

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ne alla presenza di una motivazione solo apparente, ma non già per
mero vizio logico della stessa (Cass., Sez. 6, n. 10906/2013, Rv.
254418; Cass., Sez. 5, n. 35532/2010, Rv. 248129), neppure nella
forma della illogicità manifesta (cfr. Cass., Sez. Un., n. 5876/2004,
Rv. 226710.
Nel caso di specie, la corte veneziana — con motivazione da ritenere certamente esistente e non meramente apparente – ha evidenziato come la misura cautelare in concreto adottata nei confronti del
Diaconescu si fosse resa necessaria in ragione del “numero” e della
“gravità dei fatti allo stesso ascritti nel procedimento davanti
all’autorità giudiziaria tedesca”; elementi che lo stesso giudice territoriale ha ritenuto tali da indurre il riconoscimento di concrete esigenze cautelari suscettibili d’imporre l’adozione della misura de qua
al fine di garantire la consegna del Doaconescu all’autorità emittente
il mandato di arresto europeo.
Tali argomentazioni, nella misura in cui confermano
l’avvenuta sufficiente e idonea motivazione del provvedimento impugnato, valgono a destituire di alcun minimo fondamento le censure in
questa sede sollevate dal ricorrente avverso il provvedimento in questa sede contestato, con il conseguente rilievo dell’inammissibilità del
ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla condanna della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., ricorrendo la colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità
dell’impugnazione.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.8.2013.

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