Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35528 del 11/08/2014


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Penale Sent. Sez. F Num. 35528 Anno 2014
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da

PARA Liviu, nato a Ungheni (Moldavia) il 29/04/1979,

avverso la sentenza in data 23 giugno 2014 della Corte di appello di Venezia nel
proc. n. 31/2014.

Letti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11 agosto 2014 dal
consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
sentito il pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in persona del
sostituto procuratore generale, Giulio Romano, il quale ha chiesto il rigetto del
ricorso;
rilevato che il difensore del ricorrente non è comparso.

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 giugno 2014 la Corte di appello di Venezia ha
rifiutato la consegna alla richiedente Romania di Para Liviu, cittadino con doppia
nazionalità rumena e moldava, già sottoposto a misura coercitiva revocata, e ha

Data Udienza: 11/08/2014

disposto che la complessiva pena di anni tre e mesi due di reclusione, di cui al
mandato di arresto europeo (MAE) emesso il 27 febbraio 2014 dall’Autorità
giudiziaria di Bucarest, in esecuzione di due sentenze di condanna n. 1905 del
2014 e n. 1206 del 2013, per frode, falsificazione di documenti e contrabbando,
contestualmente riconosciute dalla Corte di appello, fosse eseguita in Italia
conformemente al diritto interno.
A sostegno della decisione, è stato addotto che il Para, il quale non aveva

chiesto di poter espiare la pena in Italia, aveva dimostrato, con la produzione di
idonea documentazione, di essere residente nel territorio nazionale, dove viveva
da diversi anni, insieme alla moglie e al loro figlio, con stabile e lecita fonte di
reddito.
Rilevato, dunque, che il Para era stato giudicato nel rispetto dei principi del
giusto processo e che i fatti per cui era stato condannato nello Stato rumeno
erano punibili anche in quello italiano, la Corte di appello, tenuto conto della
sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 2010, dichiarativa di illegittimità
costituzionale dell’art. 18, comma 1, lett. r), legge n. 69 del 2005, nella parte in
cui non prevedeva il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro paese
membro dell’Unione europea, legittimamente ed effettivamente residente o
dimorante nel territorio nazionale, al fine di consentirgli, così come previsto per il
cittadino italiano, l’esecuzione della pena detentiva in Italia secondo il diritto
interno, ha disposto che la pena di anni tre e mesi due di reclusione, inflitta con
le sentenze rumene contestualmente riconosciute, fosse espiata dal Para in
Italia, previo apprezzamento di congruità e adeguatezza di essa ai fatti, non
ravvisando i presupposti di un adattamento secondo la legislazione interna.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Para tramite il
difensore, il quale deduce l’illegittimità della decisione per le seguenti ragioni:
a) la richiesta di consegna avrebbe dovuto essere rifiutata ai sensi dell’art. 19,
comma 1, lett. a), legge n. 69 del 2005, perché le sentenze di condanna indicate
nel MAE erano state pronunciate in absentia e l’interessato non era stato citato
personalmente, non era stato altrimenti informato della data e del luogo delle
udienze che avevano portato alle decisioni pronunciate in sua assenza, né il
giudice italiano aveva richiesto a quello rumeno assicurazioni circa la possibilità,
per le persone destinatarie di mandato d’arresto europeo, di richiedere un nuovo
processo nello Stato membro di emissione; b) sussisteva il vizio di ultrapetizione
nella decisione della Corte di appello di rifiutare la consegna ai sensi dell’art. 18,
comma 1, lett. r), anziché dell’art. 19, comma 1, lett. a), della medesima legge
2

prestato il consenso alla consegna all’Autorità giudiziaria rumena, mentre aveva

n. 69 del 2005, nonostante l’eccepita celebrazione dei processi

in absentia del

Para; c) in ogni caso, i titoli di condanna trasmessi in semplice fotocopia e privi
di qualsiasi attestazione di conformità all’originale non erano idonei a suffragare
la richiesta di consegna e invalidavano la sentenza emessa; d) illegittimamente
la Corte di appello avrebbe proceduto d’ufficio al riconoscimento delle sentenze
emesse dal giudice rumeno, senza osservare le disposizioni di cui al d.lgs. n. 161
del 2010, in tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano

segnatamente, avrebbe violato la disposizione che postula, ai fini del
riconoscimento, una espressa richiesta da parte dello Stato estero da
trasmettere al Ministro della Giustizia unitamente al “certificato” (contenuto
nell’allegato I della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio dell’Unione
europea del 27 novembre 2008) tradotto in lingua italiana, con tutte le
informazioni ivi prescritte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono, secondo l’ordine in cui
sono state dedotte dal ricorrente.
1.1. In tema di giudizio contumaciale, relativamente al quale viene in
questione la previsione di cui alla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 19, comma 1,
lett. a), corrispondente a quella di cui all’art. 3 del Secondo Protocollo
Addizionale alla Convenzione Europea di estradizione, va osservato che, in base
all’art. 522 cod. proc. pen. rumeno, comma 1, la persona estradata per essere
sottoposta ad una pena derivante da una sua condanna in absentia, può, su sua
richiesta, essere giudicata nuovamente dalla stessa Corte che ha emesso il
giudizio nella precedente fase; e tale previsione appare conforme alle esigenze di
garanzie implicate dalla citata norma (v. Sez. 6, 07/04/2006, Miculas; Sez. 6, n.
29993 del 31/05/2007, Holenda; Sez. 6, n. 46224 del 26/11/2009, Prodan, Rv.
245452; Sez. 6 n. 9151 del 21/02/2013, dep. 26/02/2013, Amoasei).
Segue l’infondatezza del primo rilievo sollevato dal ricorrente in punto di
mancata verifica della suddetta garanzia da richiedere allo Stato membro di
emissione, costituente peraltro una condizione cui è subordinata l’esecuzione del
MAE, a norma dell’art. 19, comma 1, lett. a), legge n. 69 del 2005, e non un
caso che legittima il rifiuto della consegna, ai sensi del precedente art. 18 della
stessa legge, come erroneamente dedotto dal ricorrente, donde anche la sua
carenza di interesse a sostenere la censura, essendo stata esclusa l’esecuzione
della condanna in Romania.
3

pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, e,

1.2. Palesemente infondato è l’eccepito vizio di ultrapetizione in cui sarebbe
incorsa la sentenza impugnata, posto che, come riconosciuto dallo stesso
interessato, all’udienza del 15 maggio 2014, egli chiese di poter eseguire la pena
in Italia e la trattazione del procedimento fu aggiornata all’udienza del successivo
23 giugno proprio al fine di consentire alla difesa di produrre la documentazione
attestante la legittima ed effettiva residenza del Para in territorio italiano.
1.3. Priva di pregio è anche l’ulteriore censura difensiva circa la nullità dei

di conformità agli originali, e, come tali, inidonei a fondare la decisione emessa
che, perciò, sarebbe radicalmente nulla.
Questa Corte ha già avuto modo di sancire, nella sua più autorevole
composizione, che, in tema di mandato di arresto europeo, non costituisce
presupposto per l’ammissibilità di una pronuncia positiva alla consegna
l’acquisizione in copia autentica del provvedimento cautelare (o di ogni altro atto
proveniente dall’autorità estera), essendo sufficiente a garantire la conformità
all’originale che la copia sia stata trasmessa in via ufficiale dall’autorità
giudiziaria emittente al Ministero della giustizia, organo deputato alla ricezione
amministrativa dei mandati d’arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad
essi relativa (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, dep. 05/02/2007, Ramoci, Rv.
235347.
1.4.

Infondata,

infine,

è la dedotta

illegittimità dell’automatico

riconoscimento delle sentenze straniere operato dalla Corte di appello nella
decisione che ha disposto la loro esecuzione in Italia sulla base del consenso
prestato in via subordinata dal Para, istante in via principale per il rifiuto della
consegna.
Questa Corte ha già statuito che, in tema di mandato di arresto europeo,
quando la Corte d’appello dispone l’esecuzione nello Stato della pena inflitta nei
confronti del cittadino italiano, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. r), legge n. 69
del 2005, la sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria dello Stato di
emissione viene automaticamente riconosciuta e non può applicarsi la speciale
disciplina prevista dall’art. 13, comma 2, d.lgs. 7/09/2010, n. 161, che ha
attuato nel nostro ordinamento la Decisione quadro 2008/909/GAI del 27
novembre 2008, relativa al reciproco riconoscimento, a fini esecutivi, delle
sentenze penali emesse dagli organi giurisdizionali degli Stati membri dell’Unione
europea (Sez. 6, n. 16364 del 27/04/2012, dep. 03/05/2012, Magnoli, Rv.
252193).
L’automatico riconoscimento della sentenza di condanna emessa da uno
Stato membro dell’Unione europea, che esclude l’applicazione della disciplina in
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documenti trasmessi dall’Autorità rumena, perché privi di qualsiasi attestazione

tema di reciproco riconoscimento delle sentenze penali degli Stati membri ai fini
della loro esecuzione nell’Unione europea, di cui al d.lgs. 7/09/2010, n. 161, va
affermato, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 2010,
anche nel caso di cittadino di uno Stato membro, il quale, ai sensi dell’art. 18,
comma 1, lett. r), della legge n. 69 del 2005, richieda e ottenga di espiare in
Italia la pena inflittagli con sentenza pronunciata in un altro Stato dell’Unione per
la cui esecuzione sia stata richiesta la sua consegna con mandato di arresto

In tema di mandato di arresto europeo, infatti, la procedura prevista dalla
legge 22/04/2005, n. 69, implica di per sé, ove la consegna non sia rifiutata, il
riconoscimento della sentenza estera e rende, dunque, superflua l’applicazione
della specifica disciplina prevista dal d.lgs. n. 161 del 2010, attuativo della
decisione-quadro 2088/909/GAI sul reciproco riconoscimento delle sentenze
penali a fini esecutivi.
Nel caso di specie, va dunque affermato che la pronuncia la quale dispone,
ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. r), della legge n. 69 del 2005, cit.,
l’esecuzione in Italia, da parte di cittadino dell’Unione europea, della sentenza
deliberata nello Stato membro di emissione del MAE, comporta l’automatico
riconoscimento, nello Stato membro di esecuzione, del titolo straniero di
condanna ed esclude l’operatività della normativa di cui al d.lgs. n. 161 del 2010,
cit.
E ciò in coerenza col principio di azione comune in materia di cooperazione
giudiziaria penale posto dal Trattato sull’Unione europea e successive
modificazioni [articoli 31, paragrafo 1, lettere a) e b), e 34, paragrafo 2, lett.
b)], fermo il rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema
di diritti fondamentali nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo, che
non sono stati violati nel caso in esame.

2. Per tutte le anzidette ragioni il ricorso deve essere, dunque, respinto.
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69
del 2005.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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europeo.

Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge
n. 69 del 2005.

Così deciso, in Roma, in data 11 agosto 2014.

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