Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35525 del 22/08/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 35525 Anno 2013
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
ERCOLE Luciano, nato a San benedetto del Tronto il 27/11/1964
avverso la sentenza del 4/2/2013 della Corte di appello di L’Aquila, che, in
parziale riforma della sentenza del 24/11/2010 del Tribunale di Teramo, sez.
dist. di Giulianova, ha dichiarato prescritti i reati ex art.2, comma 1-bis, del d.l.
12/9/1983, n.463, convertito in legge 11/11/1983, n.638, modificata dal d.lgs.
24/3/1994, n.211, commessi nei mesi di novembre e dicembre 2004 perché
estinti per prescrizione e ha rideterminato in sette mesi e quindici giorni di
reclusione e 275,00 euro di multa la pena per i restanti reati relativi ai mesi di
ottobre-dicembre 2005 e di gennaio-dicembre 2006 (ad esclusione del mese di
marzo);
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Enrico
Delehaye, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4/2/2013 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale
riforma della sentenza del 24/11/2010 del Tribunale di Teramo, sez. dist. di
Giulianova, ha dichiarato prescritti i reati ex art.2, comma 1-bis, del d.l.

Data Udienza: 22/08/2013

12/9/1983, n.463, convertito in legge 11/11/1983, n.638, modificata dal d.lgs.
24/3/1994, n.211, commessi nei mesi di novembre e dicembre 2004 perché
estinti per prescrizione e ha rideterminato in sette mesi e quindici giorni di
reclusione e 275,00 euro di multa la pena per i restanti reati relativi ai mesi di
ottobre-dicembre 2005 e di gennaio-dicembre 2006 (ad esclusione del mese di
marzo)
2. Avverso tale decisione il Difensore del sig. Ercole ha proposto ricorso, in
sintesi lamentando:
Errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio
motivazionale ai sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. per avere la Corte di
appello erroneamente confermato la decisione di condanna sulla base
dell’unico elemento di prova rappresentato dai modelli M10 (ora UNIEMENS)
trasmessi all’Inps da parte del consulente del lavoro, documenti che nulla
provano in relazione all’effettivo pagamento delle retribuzioni ai lavoratori; si
versa, così, in ipotesi di motivazione fondata su mera presunzione, con
conseguenze esistenza di un ragionevole dubbio circa la sussistenza
dell’elemento costitutivo del reato;
b. Intervenuta prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La consolidata
giurisprudenza di questa Corte ha oramai da tempo chiarito che le indicazioni
provenienti dall’imputato e contenute nei modelli M10, coi quali si comunicano
all’amministrazione le retribuzioni versate ai dipendenti e le relative ritenute,
costituiscono elemento probatoriamente rilevante che può essere superato dalla
prova positiva che l’imputato fornisca in giudizio circa la non corrispondenza fra
quanto dichiarato e quanto effettivamente versato ai dipendenti. Ciò impone di
rigettare la lettura difensiva che vede nel ragionamento dei giudici di merito una
sorta di impropria inversione dell’onere probatorio e di concludere che, in
assenza di attivazione probatoria da parte della difesa, del tutto correttamente i
giudici di merito ritengono sussistere elementi sufficienti per giungere al giudizio
di responsabilità penale.
A fronte di questa consolidata giurisprudenza e della motivazione addotta
dalla Corte di appello, il motivo di ricorso si limita a riproporre l’esistenza di
incertezze ricostruttive che non trovano fondamento e vanno considerate
inammissibili.
2.

Alla inammissibilità originaria del ricorso consegue la non rilevanza in

questa sede dell’avvenuta maturazione dei termini massimi di prescrizione del

2

a.

reato in epoca successiva alla sentenza impugnata, nonché in epoca anteriore
alla sentenza di appello nei casi in cui la prescrizione stessa non sia stata dedotta
in quella sede e non sia stata rilevata (Sez.Un., n.32 del 22 novembre-22
dicembre 2000, rv 217266; n.33542 del 27 giugno-11 settembre 2001, rv
219531; n.23428 del 22 marzo-22 giugno 2005, rv 231164). Anche il secondo
motivo va, dunque, considerato inammissibile.
3. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/8/2013

dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

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