Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3552 del 15/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3552 Anno 2015
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAGONE GIOVANNI N. IL 15/06/1951
MAZZUOLO ANGELO N. IL 26/08/1960
avverso la sentenza n. 772/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
28/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 15/10/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha
concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio in relazione alla condanna al
risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese di costituzione di parte civile;
rigetto nel resto;
per il ricorrente è presente l’avv. Giuseppe Mandarino, il quale ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Salerno confermava,
nella parte di interesse, la sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore del 2
ottobre 2009, con la quale era dichiarato non doversi procedere nei confronti di
Ragone Giovanni e Mazzuolo, per i reati di porto di detenzione in luogo pubblico
di arma e sequestro di persona in danno di Severino Simone.
2. Propone ricorso per cassazione il difensore degli imputati, avv. Giuseppe
Mandarino, il quale deduce violazione dell’articolo 606, lettera e), cod. proc.
pen., per vizio di motivazione, consistito nell’errata considerazione delle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gennaro Brasiello, che scagionano
completamente gli imputati.
La Corte territoriale ha ritenuto di non poter pervenire a una decisione di
assoluzione, poiché le dichiarazioni della persona offesa, che aveva accusato gli
imputati, riconoscendoli a distanza di tempo grazie alle foto pubblicate su un
giornale, non potevano essere superate da quelle del Brasiello, imputato in
procedimento connesso, non corroborate da riscontri esterni.
A giudizio del ricorrente, invece, la Corte avrebbe dovuto valutare le
dichiarazioni sotto il profilo della attendibilità intrinseca e, solo in caso di positiva
delibazione, avrebbe potuto verificare il riscontro esterno; in ogni caso avrebbe
dovuto ritenerle prevalenti su quelle della persona offesa, che riconobbe gli
imputati in circostanze dubbie, solo grazie ad alcune foto riportate su un
quotidiano locale in occasione di un articolo di cronaca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
1.1 La decisione impugnata richiama la motivazione della nota sentenza
delle Sezioni Unite 17179 del 2002 (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv.
221403) che affronta il tema dell’obbligo per il giudice di declaratoria di
determinate cause di non punibilità, sancito dall’art. 129 cod. proc. pen., rispetto
alla sussistenza di una nullità processuale assoluta e insanabile.
2

RITENUTO IN FATTO

In tale decisione si è sostenuto che nel giudizio di cassazione va data
prevalenza alla prima, salvo che l’operatività della causa estintiva non
presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel
qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla
necessaria rinnovazione del relativo giudizio; in particolare, il principio
dell’immediatezza della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione,
anche se in apparenza può confliggere con l’interesse dell’imputato ad una più
ampia possibilità di vedere proseguire l’attività processuale in vista di un

mortifica tale interesse (che può trovare sempre la sua massima espansione,
attraverso la rinuncia alla prescrizione secondo la sentenza costituzionale
n.275/90) e lo contempera, alla luce della normativa vigente, con l’aspetto, non
meno rilevante, dell’exitus del processo quale obiettivo da perseguire, la cui
importanza non può certamente sottovalutarsi, posto che la disciplina d’impulso
alla sollecita definizione del processo tutela un fondamentale interesse di
carattere costituzionale (art 111, comma 2, Cost.: ragionevole durata del
processo) che non può essere considerato aprioristicamente di rango inferiore ad
altri interessi pur apprezzabili e, in ogni caso, sempre tutelabili.
1.2 Il principio dell’immediata operatività della causa estintiva, fatto salvo il
limite dell’evidente innocenza dell’imputato (art. 129, comma 2, cod. proc. pen.),
è frutto di una scelta legislativa che trova la sua ratio nell’intento di evitare la
prosecuzione infruttuosa di un giudizio e nella finalità di assicurare la pronta
definizione dello stesso, evitando così esasperati, dispendiosi e inutili formalismi.
1.3 Nel caso di specie gli imputati non hanno formulato rinuncia alla
prescrizione, per cui trova applicazione il criterio dell’evidenza probatoria,
prescritto dal comma 2 dell’art. 129 del codice di rito (‘Quando ricorre una causa
di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o
che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è
previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di
non luogo a procedere con la formula prescritta’).
Ciò significa che il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione soltanto
nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la
commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale
emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto
di ‘constatazione’, ossia di percezione ictu ocu/i, che a quello di ‘apprezzamento’
e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di
approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
1.4 Una simile evenienza deve sicuramente escludersi nel caso di specie;
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auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, in realtà non

infatti i giudici di merito hanno ritenuto che, a fronte delle dichiarazioni
accusatorie della persona offesa, non potevano ritenersi prevalenti quelle del
collaboratore di giustizia, per giunta non corroborate ai sensi dell’art. 192,
comma 3, cod. proc. pen..
A ciò deve aggiungersi che la valutazione delle dichiarazioni del Brasiello
richiede una verifica di attendibilità soggettiva e di credibilità, anche sul piano
comparativo rispetto alle altre prove acquisite, operabile solo dal giudice del
rinvio ed una pronuncia di annullamento che a ciò volgesse sarebbe inutile allo

presenza di una causa di estinzione del reato e in assenza di statuizioni civili,
non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza
impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe, comunque, l’obbligo di
procedere immediatamente alla dichiarazione della causa estintiva (Sez. U, n.
35490 del 28/05/2009, Tettamanti, 244275).
2. Per le ragioni esposte i ricorsi degli imputati confluiti nell’atto di
impugnazione congiunto sono inammissibili.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di
inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrenti: cfr.
Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in €1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2014

scopo, dato che – come già puntualizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte – in

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