Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35502 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35502 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI SALERNO
nei confronti di:
BISOGNI ENRICO N. IL 28/07/1968
avverso l’ordinanza n. 181/2013 GIP TRIBUNALE di SALERNO, del
15/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;
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Data Udienza: 18/06/2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE

Ricorso n. 53.099/2013 R. G.

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Udienza del 18 giugno 2014

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del
dott. Giuseppe Volpe, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso per l’annullamento, senza rinvio, del provvedimento impugnato e della
ordinanza opposta del 15 luglio 2013.

1. — Con ordinanza, deliberata il 17 ottobre 2013 e pubblicata
mediante lettura nella stessa udienza in camera di consiglio, il
giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di
Salerno, decidendo sulla opposizione del Pubblico Ministero,
ha confermato la ordinanza 15 luglio 2013 di applicazione del
condono, in ragione di tre anni di reclusione e della intera pena
pecuniaria, a favore del condannato Enrico Bisogni in relazione alla pena (di anni tre, mesi due di reclusione ed C 1.400 di
multa) inflittagli giusta sentenza della Corte di appello di Salerno, 10 luglio 2012, per il delitto di estorsione tentata, aggravata ai sensi dell’articolo 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n.
152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203.
Il giudice a quo ha motivato: il delitto tentato, trattandosi di fattispecie autonoma rispetto al reato consumato,
deve ritenersi escluso dal novero dei reati per i quali il condono
è vietato dalla legge, essendo inammissibile la interpretazione
in malam partem.

2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Salerno, in persona del dott. Vincenzo Montemurro, sostituto procuratore della Repubblica, ha proposto ricorso per
cassazione mediante atto recante la data del 5 novembre 2013,
col quale ha denunziato, ai sensi dell’articolo 606, comma 1,
lettera b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione
della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 1 della legge 31 luglio 2006, n. 241.

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Rileva

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Ricorso n. 53.099/2013 R.G.

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Udienza del 18 giugno 2014

3. — Il procuratore generale della Repubblica presso questa
Corte suprema di cassazione, mediante atto recante la data del
27 febbraio 2014, osserva ad adiuvandum: «la previsione
normativa, a differenza di quella di cui alla lettera a) [dell’articolo 2, comma 2, della legge 31 luglio 2006, n. 241], relativa al divieto di applicazione del beneficio in funzione dei titoli di reato,
che non includono le autonome ipotesi di delitti tentati, concerne
[tutti i] reati — senza specificazioni, dunque, sia consumati,
che tentati — per i quali ricorre l’ aggravante dell’ art. 7»del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12
luglio 1991, n. 203; pertanto il legislatore ha inteso rendere inapplicabile il condono in considerazione della particolare aggravante in questione, indipendentemente dalla consumazione,
del reato.

4. — Il condannato ha resistito alla impugnazione, mediante
memoria di replica recante la data dell’i 1 giugno 2014, pervenuta il 12 giugno 2014, redatta dal difensore di fiducia, avvocato Luigi Gargiulo, il quale ha eccepito la inammissibilità del
ricorso, in quanto intempestivamente depositato dopo la scadenza del termine di quindici giorni decorso dalla pubblicazione della ordinanza impugnata letta dal giudice a quo nella udienza camerale partecipata con l’intervento del Pubblico Ministero e inserita nel relativo processo verbale.

5. — Il ricorso è inammissibile.

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Il ricorrente, con richiamo di pertinenti arresti di legittimità,
deduce: la ricorrenza della aggravante di cui all’articolo 7 del
decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12
luglio 1991, n. 203, comporta la esclusione del condono, secondo quanto dispone l’articolo 1, comma 2, lettera d), della legge
31 luglio 2006, n. 241, indipendentemente dalla consumazione
del reato.

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Udienza del 18 giugno 2014

5.1 Per vero il giudice a quo è incorso nella erronea applicazione della legge penale.
Questa Corte suprema di cassazione ha, infatti, fissato il principio di diritto — assolutamente pacifico nella giurisprudenza
di legittimità — secondo il quale «la non applicabilità dell’indulto elargito con legge 31 luglio 2006 n. 241 alle
pene inflitte per reati in relazione ai quali ricorre la circostanza aggravante di cui all’articolo 7 del decreto legge 13 maggio
1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203 (agevolazione o metodo mafioso) opera anche per i delitti tentati»
(Sez. 1, n. 43037 del 16/10/2008 – dep. 18/11/2008, Oliveri, Rv.
241835).
Nessun appiglio di tipo testuale o sistematico suffraga, per vero, il contrario assunto che l’articolo 1, comma 2, lettera d),
della legge 31 luglio 2006 n. 241 — a dispetto della generale previsione «L’indulto non si applica [..] per i reati per i quali ricorre
l’aggravante di cui all’articolo 7 del decreto legge 13 maggio 1991,
n. 152, convertito con modificazioni della legge 12 luglio 1991, n.
203, e successive modificazioni» — si riferisca esclusivamente ai
soli delitti consumati.
Né è pertinente il richiamo del giudice a quo (contenuto nella
ordinanza oggetto di opposizione) al principio di diritto affermato da questa Corte in relazione alla disposizione — di contenuto affatto differente — dell’articolo 3 del d.P.R. 22
dicembre 1990, n. 394, recante i casi di esclusione dell’indulto
concesso col citato decreto (Sez. 1, n. 2727 del 17/06/1991 – dep.
04/07/1991, Valpondi, Rv. 187686).
Tale disposizione — al pari di quelle delle lettere a) e b), dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 luglio 2006, n. 241 — escludendo l’indulto in funzione dei delitti specificamente indicati,
non è ovviamente estensibile ai casi delle corrispondenti fattispecie tentate, trattandosi di reati autonomi (non contemplati
dalla norma).
Mentre la previsione della lettera d), cit., esclude il beneficio in
relazione alla ricorrenza della aggravante in parola indipen-

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Ricorso n. 53.099/2013 R.G.

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Udienza del 18 giugno 2014

dentemente dallo specifico titolo del reato, sicché il divieto di
applicazione del condono si estende a ogni delitto in tal guisa
aggravato, consumato o tentato che sia.

Il ricorso, infatti, è stato tardivamente presentato il 5 novembre 2013, laddove il termine perentorio di quindici giorni, fissato dall’articolo 585, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. (in relazione all’articolo 666, comma 6, cod. proc. pen.), per la proposizione della impugnazione, era già spirato il 2 novembre
2013.
Il dies a quo della decorrenza coincide, infatti, ai sensi
dell’articolo 148, comma 5, cod. proc. pen., colla data della deliberazione della ordinanza impugnata, in quanto il giudice della esecuzione ha dato lettura del provvedimento al Pubblico
Ministero, presente alla udienza camerale partecipata, e ha fatto menzione espressa della formalità, siccome risulta dal processo verbale che, di seguito alla trascrizione della ordinanza
letta, reca la attestazione. «Presenti edotti».
5.3 — Consegue la declaratoria della inammissibilità del ricorso.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso, il 18 giugno 2014.

5.2 — Purtuttavia il rilievo della erronea applicazione della legge penale è precluso dalla inammissibilità della impugnazione,
esattamente eccepita dal difensore del condannato resistente.

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