Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35495 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35495 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

Data Udienza: 04/06/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCARAMUZZINO GIOVANNI N. IL 15/09/1967
avverso l’ordinanza n. 936/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 03/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
kW/sentite le conclusioni del PG Dott.
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RITENUTO IN FATI-0
Con ordinanza del 3.12.2013 il Tribunale di Catanzaro, investito ai sensi
dell’art. 309 cod. proc. pen., in accoglimento dell’appello del pubblico ministero
applicava a Scaramuzzino Giovanni, già raggiunto dall’ordinanza di custodia
cautelare emessa dal G.I.P. di Catanzaro il 15/7/2013 per altri reati, la misura
della custodia cautelare in carcere anche con riferimento al capo 12 bis
dell’incolpazione provvisoria per il reato di cui all’art. 86 Testo Unico n. 570 del
1960 e 7 Legge 203 del 1991. Il Tribunale, dato conto dell’esistenza,

criminale denominato “COSCA GIAMPÀ”, e ricostruito il contesto associativo in
cui i reati erano stati commessi, ricostruiva l’episodio in contestazione.
I collaboratori Giuseppe Giampà e Cappello Saverio, esponenti di spicco
della cosca, avevano riferito che l’indagato aveva organizzato nel suo studio due
incontri al fine di procurare il voto elettorale a vantaggio di Aiello Pietro, già
assessore regionale alle politiche ambientali e candidato alle elezioni regionali
calabresi del 2010. Nel corso degli incontri essi avevano conosciuto il candidato
Aiello, cui erano stati presentati come amici che potevano aiutarlo nella
campagna elettorale. Dalle dichiarazioni dei collaboranti mentre emergevano le
finalità agevolative del sodalizio perseguite dall’indagato nell’organizzare e nel
dirigere l’incontro, non consentivano di ritenere integrato a carico dell’Aiello il
reato di corruzione elettorale contestatogli in quanto non provavano che costui,
nel partecipare alla medesima riunione, avesse promesso ai suoi interlocutori
benefici o altre utilità e che fosse stato effettivamente consapevole di partecipare
ad una riunione con esponenti della criminalità organizzata calabrese.
Entrambi i collaboratori avevano riferito che era stato solo Scaramuzzino, in
separata sede e in assenza del politico, a esplicitare che era necessario attivarsi
in favore dell’Aiello per ottenere appalti e commesse nel settore della sanità.
Condividendo la valutazione del G.I.P. in ordine alla insussistenza di gravi
indizi di reità in capo ad Aiello Pietro in ordine all’ipotesi di corruzione elettorale
contestata, ad avviso del tribunale il reato era configurabile a carico di
Scaramuzzino Giovanni. Ricollegandosi alla giurisprudenza formatasi in materia
di corruzione, in particolare quella che (Cass. n. 32825/2011) ritiene irrilevante
la riserva mentale del soggetto che assicura il sostegno elettorale, ad avviso del
tribunale la promessa di vantaggi da questi rivolta ai membri della cosca a
seguito alla vittoria di Aiello Pietro era apparsa credibile e aveva indotto i
promissari a raccogliere voti. Sussisteva anche all’aggravante contestata in
quanto il comportamento era stato posto in essere per avvantaggiare la cosca
‘ndranghetista.

giudiziariamente accertata con plurime sentenze definitive, di un consorzio

Sussistendo le esigenze di cautela previste dall’art.. 274 codice procedura
penale l’unica misura idonea appariva quella della custodia in carcere.
Avverso quest’ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione a
mezzo dei difensori di fiducia, denunciando l’erronea applicazione degli artt. 86
del Testo Unico n. 570/60 e 7 Legge n. 203/91. In particolare, ad avviso della
parte, la norma in contestazione realizza un reato a concorso necessario ed a
struttura bilaterale. È quindi impossibile che ne siano estranei sia il politico, sia il
destinatario e unico responsabile venga individuato l’intermediario. Nel reato a

sia che esso si realizzi nella forma ordinaria, sia che si realizzi in quella contratta.
La corruzione elettorale si distingue da quella ordinaria solo perché non vi è
necessità di un pubblico ufficiale e perché l’accordo costruttivo è solo
antecedente.
Non pertinente, ad avviso della difesa, è la sentenza richiamata dal tribunale
in tema di riserva mentale, che si limita ad affermare il principio pacifico,
secondo cui il reato di corruzione si cristallizza al momento della promessa
dell’offerta: il dato certo che deriva dalla norma in materia di corruzione
elettorale è che la realizzazione del reato richiede la presenza di almeno due
soggetti e che uno di questi deve essere il candidato alle elezioni, che promette
qualcosa al fine di ottenere l’illecito appoggio. Ne consegue che, essendo stato
escluso quale concorrente del reato il politico Aiello, il fatto era insussistente.
Comunque, anche se la norma specificava che la richiesta di voti poteva
essere fatta a proprio e ad altrui vantaggio, il coinvolgimento del candidato era
sempre necessario in quanto egli era l’unico che poteva consentire
“l’aggiudicazione di appalti per forniture e servizi all’interno di strutture
pubbliche”. Se il candidato non aveva offerto o promesso nulla, anche se
l’indagato si fosse impegnato in tal senso, ne sarebbe rimasta esclusa la norma
contestata.
Nella fattispecie, non esisteva nemmeno un reato tentato, in quanto il
tentativo punibile richiedeva che il candidato, con il suo intermediario, avesse
fatto una proposta ed il malavitoso non accettandola l’avesse rifiutata. Il fatto
che Aiello fosse rimasto escluso ad ogni trattativa faceva venir meno qualsiasi
ipotesi di reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione di diritto proposta nel ricorso consiste nello stabilire se il reato
previsto dall’art. 86 del d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, integrante una ipotesi di
cd. corruzione elettorale, possa essere commesso da un solo soggetto o se,
specularmente alla fattispecie ordinaria di corruzione che richiede la presenza del
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concorso necessario è indispensabile la presenza attiva di almeno due persone,

pubblico ufficiale, sia un reato plurisoggettivo a struttura bilaterale, per la cui
configurabilità sia necessaria la partecipazione di colui che si presenta come
candidato nella competizione elettorale.
Occorre partire dal dato normativo. L’art. 86 cit. stabilisce che “Chiunque,
per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di
presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o
promette qualunque utilità ad uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad
altre persone, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa
da lire 3000 a lire 20.000, anche quando l’utilità promessa sia stata dissimulata

sotto il titolo di indennità pecuniaria data all’elettore per spese di viaggio o di
soggiorno o di pagamento di cibi e bevande o rimunerazione sotto pretesto
di spese o servizi elettorali.
La stessa pena si applica all’elettore che, per dare o negare la firma o il
voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità”.
Secondo l’orientamento unanime della dottrina, il reato in commento ha
natura plurioffensiva, in quanto da un lato salvaguarda l’interesse dello Stato al
libero e corretto svolgimento delle consultazioni elettorali, fondamento
dell’ordinamento democratico, dall’altro tutela il diritto di ogni elettore alla libera
determinazione e manifestazione della propria preferenza elettorale.
Malgrado l’unicità del bene giuridico, la norma contempla due distinte ipotesi
criminose: l’una a carico del candidato o di chi agisca a suo vantaggio, il quale
per procurarsi il voto ovvero altro vantaggio elettorale, offre o promette agli
elettori utilità di qualsiasi natura; l’altra a carico dell’elettore il quale per rendere
favori elettorali, accetta denaro o altra utilità. Come è evidente dalla sua
formulazione, il reato rientra tra gli illeciti di pericolo astratto, in quanto è
sufficiente il compimento della condotta per determinare l’applicazione della
sanzione, indipendentemente dall’effettiva messa in pericolo del bene giuridico
protetto. Inoltre, la previsione come reato della semplice promessa anticipa in
maniera accentuata la soglia della punibilità, sanzionando ogni comportamento
che possa condizionare la libertà del voto.
In ordine al soggetto che pone in essere la cd. corruzione attiva, la necessità
di impedire qualunque interferenza nella formazione o manifestazione del voto
da parte dell’elettore ha fatto si che il reato sia stato configurato come delitto
comune, in quanto il fatto penalmente rilevante, come evidenziato dal termine
utilizzato “chiunque”, può essere commesso dal quivis de populo. Infatti, anche
se in molti casi può essere lo stesso soggetto politico candidato alle elezioni che
realizza personalmente la condotta criminosa, non è irragionevole ritenere che
l’intervento corruttivo sia posto in essere da un qualsiasi cittadino, che abbia un
interesse proprio ad influenzare la competizione elettorale. Nel primo caso, il
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candidato agirà “a proprio vantaggio”, nel secondo caso l’intervento sarà attuato
a vantaggio “altrui”. I punti di contatto con la corruzione prevista dal codice
penale riguardano solo l’aspetto esterno dei reati, perchè in entrambi i casi viene
realizzata una compravendita illecita: l’atto di ufficio nel primo caso, il voto nel
secondo, ma si fermano qui e non riguardano il soggetto attivo del reato (in
termini, in relazione all’art. 96 del d.P.R. 30/3/1957 n. 361 in materia di elezioni
politiche, che disciplina l’identica fattispecie v. Cass. Sez. III, n. 1035 del
9/12/1997, Colucci).

politico sarà sempre necessario per adempiere l’utilità promessa quando essa,
come nella fattispecie, consista nella “aggiudicazione di appalti per forniture e
servizi all’interno di strutture pubbliche”, cioè di favori che possono essere
realizzati da chi riveste cariche pubbliche. Si trascura di considerare che nella
struttura della norma per la realizzazione del reato è sufficiente la sola promessa
di utilità e che, comunque, quella del corruttore si atteggia come promessa del
fatto del terzo, che impegna solo chi la effettua. Su un diverso piano, che esula
dal processo, è il modo con cui l’indagato Scaramuzzino avrebbe potuto
adempiere agli impegni presi nei confronti degli elettori. Va solo osservato che,
come emerge dall’ordinanza cautelare, agli interlocutori la promessa apparve
talmente seria e credibile da convincerli a offrire il loro voto personale e a
impegnarsi perché tramite gli affiliati il candidato conseguisse un forte successo
elettorale nella zona del lametino.
Pertanto, atteso che non è contestato che Scaramuzzino aveva organizzato
nel suo studio due incontri con esponenti della cosca Giampà al fine di procurare
il voto elettorale a vantaggio di Aiello Pietro, candidato alle elezioni regionali,
promettendo in cambio utilità, la decisione del tribunale del riesame che ha
ritenuto configurabile il reato di cui all’articolo 86 d.p.r. 570 del 1960 è corretta e
va confermata.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso
al competente Tribunale Distrettuale del riesame di Catanzaro che provveda a
quanto stabilito nell’art. 92 Disp. Att. Cod. Proc. Pen. Manda alla cancelleria per
gli immediati adempimenti a mezzo fax
Così deciso in Roma, 4 giugno 2014
Il Consigliere estens

DEPOSITATA

Non coglie nel segno l’obiezione difensiva secondo cui l’intervento del

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