Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35491 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35491 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARIATI GIOVANNI N. IL 13/04/1935
avverso l’ordinanza n. 81/2008 GIUD. SORVEGLIANZA di
PALERMO, del 14/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
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lette/seatite le conclusioni del PG Dott. 2
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 04/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza 14 ottobre 2013 il Magistrato di Sorveglianza di Palermo
rigettava l’istanza di Carioti Giovanni volta alla remissione del debito di euro
2448,61 per spese processuali, relativo alla condanna riportata con sentenza del
8/6/1999 della Corte d’appello di Palermo, perché in base alle indagini compiute
difettava il requisito delle disagiate condizioni economiche. L’istante era
pensionato, faceva parte di una società di commercio ed aveva un alto tenore di
vita, sicchè, in relazione all’ammontare esiguo del debito, non si creava uno
squilibrio nelle sue condizioni di vita.

Ricorre per cassazione la difesa, chiedendone l’annullamento per violazione
di legge e vizio di motivazione, per aver il giudice, ai fini della valutazione del
requisito delle disagiate condizioni economiche, non considerato che per
consolidata giurisprudenza il requisito delle disagiate condizioni economiche è
integrato, non solo quando il soggetto si trovi in stato di indigenza, ma anche
quando l’adempimento del debito determinerebbe per il debitore gravi difficoltà
nel far fronte alle elementari esigenze di vita ovvero, comportando un notevole
squilibrio, determinerebbe una compromissione della possibilità di recupero e del
reinserimento.
L’informativa di polizia da cui era stato ricavato che Carioti godeva di un alto
tenore di vita era arbitraria e risaliva al 20/4/2009. L’istante era solo percettore
di un reddito da pensione di € 11.381 annuo e sin dal 2006 aveva ceduto le
quote della società di cui era titolare ad altro soggetto per la cifra di euro
1291,14.
L’adempimento del debito avrebbe creato uno squilibrio e serie
compromissioni per il proprio bilancio domestico.
Nel suo parere scritto il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso, sul rilievo che i motivi proposti costituiscono
censura in punto di fatto della decisione impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza.
Questa Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini della remissione
del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere, il requisito delle
disagiate condizioni economiche richiesto sia dall’abrogata Legge n. 354 del
1975, art. 56, che dal vigente D.P.R. n. 115 del 2002, art. 6, è integrato non
solo quando il soggetto si trovi in stato di indigenza, ma anche quando
l’adempimento del debito comporti un serio e considerevole squilibrio del suo
bilancio domestico, tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze
vitali e compromettere quindi il recupero ed il reinserimento sociale. (Sez. 1,
1

T

Ordinanza n. 14541 del 24/01/2006 Cc. (dep. 27/04/2006) Rv. 233939,
Mangione).
A tal fine occorre avere riguardo all’entità del debito e all’impatto che il suo
assolvimento provocherebbe sulla situazione complessiva del condannato.
Come correttamente rilevato dal magistrato di sorveglianza, l’entità del
debito, pari ad euro 2448,61, non è elevato ed è adeguatamente sostenibile dal
condannato, anche mediante pagamenti rateali (art. 232 d.p.R. 30 maggio 2002,
n. 115 ), con il suo reddito personale, derivante da pensione di € 11.381 annuo.

economico e del tenore di vita del nucleo familiare.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento in favore della
Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1000,00,
tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che “la parte
abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”. (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, 4 giugno 2014
Il COnsigliere estensore

L’adempimento del debito non avrà rilevanti conseguenze negative sul piano

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