Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35488 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35488 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di:
MARANZANO GAETANO N. IL 29/01/1966
avverso l’ordinanza n. 15993/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
ROMA, del 28/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. E-

Udit i difensor Avv.;

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e

ci:AAA, –

Data Udienza: 04/06/2014

Ritenuto in fatto.

1.11 28 ottobre 2013 il Magistrato di sorveglianza di Roma accoglieva il reclamo
proposto da Gaetano Maranzano, detenuto sottoposto al regime previsto dall’art. 41
bis 1.n. 354 del 1975 e successive modifiche, avverso le modalità di svolgimento dei
colloqui visivi con i figli minori degli anni dodici stabilite nel provvedimento

non consentiva la presenza di altri familiari. Per l’effetto disponeva l’immediata
disapplicazione delle circolari ministeriali, nella parte in cui prevedono
l’allontanamento dei familiari maggiorenni per la durata dei colloqui fruiti senza
vetro divisorio con figli o nipoti minori di anni dodici, e annullava di conseguenza
FA gli ordini di servizio adottati dalla Casa Circondariale di Rebibbia N.C.
2.11 Magistrato di sorveglianza, premessa l’ammissibilità del reclamo, osservava

che la disapplicazione del provvedimento ministeriale in parte qua trovava la sua
giustificazione in molteplici parametri normativi.
La tutela della vita familiare è espressamente sancita dalla Costituzione (artt. 2,
29, 30, 31) e trova ulteriori significativi presidi nell’art. 8 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e nell’art. 3 della Convenzione dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite (ratificata con 1. n. 176 del 1991).
La Corte Costituzionale ha, a sua volta, più volte affermato la sussistenza del
diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della
vita familiare (sent. n. 341 del 1991 e 376 del 2000).
Tali principi sono recepiti anche dall’art. 28 ord. pen. che impegna
l’amministrazione penitenziaria a <>.
E’, inoltre, significativa la circostanza che anche i detenuti sottoposti al regime
di sorveglianza speciale previsto dall’art. 14 bis ord. pen. non possono subire
compressioni al proprio diritto ai colloqui con i familiari a causa del regime
restrittivo cui sono sottoposti.
Particolari e rigide modalità sono fissate per i detenuti sottoposti al regime
disciplinato dall’art. 41 bis ord. pen. per i quali è previsto un colloquio visivo al
mese in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti. I colloqui
devono essere videoregistrati e sottoposti a controllo auditivo, previa autorizzazione

z

ministeriale, che, in caso di assenza di vetro divisorio, li limitava a dieci minuti e

motivata da parte dell’Autorità giudiziaria (art. 41 bis, comma 2 quater, lett. d, ord.
pen.).
In tale contesto, il divieto di far presenziare l’altro genitore al colloquio senza
vetro divisorio tra il detenuto in regime di 41 bis ed il figlio (o il nipote) minore
degli anni dodici costituisce una grave compressione del rapporto familiare, incide,
menomandola, sull’esigenza di condivisione familiare, determina traumi e disagi

quotidianità e, per quanto riguarda i nipoti, di una relazione mediata dalle figure
genitoriali o tutorie che li accompagnano.
3.Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite
l’Avvocatura dello Stato, il Ministero della Giustizia in persona del Ministro protempore, che, dopo avere ripercorso le vicende della normativa primaria e
secondaria in tema di colloqui visivi dei detenuti con persone minorenni, lamenta
violazione ed erronea applicazione delle disposizioni contenute nella I. n. 354 del
1975 e successive modifiche. Osserva che, in materia di ordinamento penitenziario,
viene in rilievo la tutela dei diritti soggettivi del detenuto e non di soggetti terzi,
salvo che ricorrano situazioni incidenti di riflesso sulla posizione soggettiva del
detenuto. Tanto premesso, rileva che, nel caso di specie, non si versa in tale ipotesi,
atteso che l’allontanamento degli altri familiari dalla sala dove si svolge il
colloquio, senza vetro divisorio, tra il detenuto in regime di 41-bis e il minore degli
anni dodici non determina la lesione di posizioni di diritto soggettivo
giuridicamente rilevanti facenti capo al detenuto stesso. Una volta garantito il
diritto del minore a mantenere il rapporto con il familiare detenuto e salvaguardato,
al contempo, il diritto del detenuto a coltivare il rapporto con il minore, la mancata
presenza al colloquio con lo stesso dell’altro familiare che lo accompagna non
determina la lesione di una posizione soggettiva del detenuto, bensì di un interesse
giuridicamente rilevante a che si riproponga nella sala colloqui un clima di
familiarità. Si tratta di un interesse secondario e non di rilievo costituzionale che
non incide sulla sostanza del rapporto parentale nei suoi contenuti fondamentali ed
è destinato a soccombere di fronte ad esigenze di sicurezza, cui sono preordinate le
modalità del colloquio.

3

nel minore, tenuto conto del fatto che si tratta di un rapporto al di fuori della

Osserva in diritto.

11 ricorso del Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro-tempore, è
fondato.
1.11 Collegio è chiamato a stabilire se il colloquio tra il detenuto sottoposto al
regime previsto all’art. 41-bis ord. pen. e il minore di anni dodici che si svolga, su

assenza degli altri familiari.
2.0ccorre premettere che in sede giurisdizionale sono sindacabili, mediante
reclamo al Magistrato di sorveglianza, depositaria di una competenza esclusiva in
tema di trattamento penitenziario, soltanto quei provvedimenti
dell’Amministrazione penitenziaria che incidono sulle posizioni soggettive del
detenuto. Alla giurisdizione della Magistratura di sorveglianza va devoluta non solo
la tutela dei diritti, ma anche quella degli interessi legittimi scaturenti da un atto
dell’Autorità amministrativa, sempre che tali posizioni soggettive possano trovare
accesso nel regime del trattamento (Sez. U., 26 febbraio 2003, Gianni).
Il rimedio giurisdizionale da utilizzare per reagire alla supposta violazione di
un diritto o di un interesse legittimo da parte dell’Amministrazione penitenziaria è il
procedimento di reclamo, regolato dall’art. 14 ter ord. pen.
3.E’ indubbio che la materia dei colloqui rientra tra i <> a
fronte dei quali i poteri decisionali dell’Amministrazione penitenziaria si connotano
per una sorta di discrezionalità tecnica, vincolata nei presupposti e nei fini. I
colloqui costituiscono, infatti, elementari espressioni della vita di relazione, il
principale strumento di contatto con la società libera e sono orientati a preservare il
detenuto dagli effetti desocializzanti della detenzione. Essi costituiscono aspetti del
trattamento, insieme con l’istruzione, il lavoro, la religione, come si ricava dal
combinato disposto degli artt. 1, comma 6 e 15 ord. pen.
Nella prospettiva del mantenimento dei rapporti con la famiglia, i colloqui visivi
(e telefonici) si configurano come elementi connotati da peculiare valenza
trattamentale (si pensi, al riguardo, ai colloqui “premiali” che possono essere
concessi in numero ulteriore a quello previsto dall’art. 18 ord. pen.).
Il ruolo centrale dei colloqui non solo nella prospettiva trattamentale, ma anche
nel percorso rieducativo è desumibile, inoltre, dall’art. 61, comma 1, lett. a), d.P.R.
n. 230 del 2000, che consente al Direttore di concedere ulteriori colloqui in linea

i4

richiesta, negli ultimi dieci minuti senza il vetro divisorio debba svolgersi in

con i pareri forniti dal gruppo di osservazione, e dall’art. 73, comma 3, d.P.R. n.
230 del 2000 che svincola la sanzione disciplinare dell’isolamento dal divieto di
fruire colloqui (e corrispondenza telefonica) con familiari e conviventi.
4.L’art. 18, con-una 3, ord. pen. prevede espressamente che <> debba essere accordato <>, affinché, anche
attraverso questo strumento, sia possibile contribuire al mantenimento, al

con le famiglie>>, secondo quanto previsto, in linea generale, dall’art. 28 ord. pen.
in base al quale la famiglia costituisce per l’ordinamento un sicuro punto di
riferimento cui dedicare una <>. La scelta delle parole non è
casuale, in quanto delinea un impegno che coinvolge il presente, il passato e il
futuro delle persone in una tensione umana che riguarda non solo la famiglia nel
suo complesso, ma anche le relazioni tra il detenuto e i singoli componenti del
nucleo familiare, specie se minori (art. 94 d.P.R. n. 230 del 2000)
La legge e i regolamenti utilizzano in maniera promiscua i termini
<< o <> per aiutarli a far fronte al
trauma affettivo che si verifica nel periodo immediatamente susseguente alla
separazione dal congiunto detenuto (o internato).
Il complesso di tali disposizioni rende evidente che il legislatore, per mezzo (tra
l’altro) dei colloqui visivi intende, innanzitutto, garantire la continuità dei rapporti

scongiurare il pericolo che la separazione possa deteriore le singole relazioni con
evidenti prevedibili ricadute anche sul nucleo familiare nel suo complesso e, in
secondo luogo, promuovere ogni opportuna forma di relazione interpersonale quale
tramite con la società esterna e tappa di un più ampio percorso trattamentale che ha
come suo obiettivo finale il reinserimento sociale della persona. Sotto questo
profilo, pertanto, è erronea la lettura contenuta nel provvedimento impugnato,
incentrata esclusivamente sulla valorizzazione – nella prospettiva dei colloqui visivi
– del nucleo familiare in quanto tale, piuttosto che delle singole relazioni
interpersonali, espressione del mondo affettivo del detenuto e proiezione esterna
della sua personalità che in esse si esprime.
Una soluzione del genere, d’altronde, non confligge con le esigenze di tutela
della famiglia nel suo complesso, atteso che la possibilità di mantenere e coltivare
le singole relazioni rappresenta non solo un modo per arricchirle, ma anche lo
strumento che contribuisce a rinsaldare i vincoli dell’intero nucleo familiare.
In secondo luogo il Magistrato di sorveglianza ha omesso d’interpretare l’art. 28
ord. pen. alla luce del regime penitenziario previsto dall’art. 41 bis ord. pen. e di
effettuare il doveroso e ineludibile bilanciamento tra il diritto del detenuto a fruire
di colloqui visivi e l’esigenza di contenere la particolare pericolosità di cui è
portatore. E’ proprio quest’ultima a giustificare la disciplina differenziata,
rispondente ad evidenti esigenze di ragionevolezza, in quanto correlata ad una
valutazione già operata dal legislatore con l’introduzione del!’ art. 41-bis ord. pen.
Sotto tutti questi profili è, quindi, possibile affermare che, qualora il detenuto
richieda di effettuare, negli ultimi dieci minuti, il colloquio visivo con il figlio ( o il
nipote) minore di anni dodici senza il vetro divisorio, il colloquio deve svolgersi in
assenza degli altri familiari.
Ne consegue l’erroneità della disposta disapplicazione delle circolari
ministeriali che prevedono correttamente l’allontanamento dei familiari per la

affettivi tra il detenuto (o l’internato) e i componenti della famiglia, al fine di

durata dei colloqui fruiti senza vetro divisorio dal detenuto in regime ex art. 41 bis
ord. pen. e il figlio o il nipote minore degli anni dodici, nonché dei conseguenti
ordini di servizio adottati dalla Casa di Reclusione Rebibbia N.C.
L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso, in Roma, il 4 giugno 2014.

P.Q.M.

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