Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35484 del 30/07/2013


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Penale Sent. Sez. F Num. 35484 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Guida Antonio, nato a Maruggio il 9 aprile 1957,
avverso la sentenza emessa il 25 febbraio 2013 dalla corte d’appello di
Lecce;
udita nella pubblica udienza del 30 luglio 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Antonio Mura, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla decisione sulla sospensione condizionale della pena e rigetto nel resto;
udito il difensore avv. Antonio Almiento, in sostituzione dell’avv. Pasquale Annichiarico;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Lecce ridusse la pena ad
un anno di reclusione e confermò nel resto la sentenza emessa il 17 aprile 2012
dal giudice del tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana,
che aveva dichiarato Guida Antonio colpevole del reato di cui all’art. 2 d. lgs.
74/2000, per avere, nelle dichiarazioni annuali relative all’IVA ed alle imposte
sui redditi per i periodi di imposta del 2005 e del 2006, indicato elementi passivi fittizi certificati da fatture per operazioni inesistenti e registrate nelle scritture
contabili obbligatorie.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Pasquale Annichiarico, propone ricorso per
cassazione deducendo:
1) nullità dell’ordinanza emessa in primo grado il 6.3.2012 per violazione
del diritto di difesa e del diritto alla prova. Lamenta che il giudice, dopo avere
ammesso i testi indicati dalla difesa, rigettò la certificazione medica attestante
l’impossibilità a comparire del teste Balestra Franco, perché dalla stessa non si

Data Udienza: 30/07/2013

-2 capiva la tipologia della malattia. La inopinata revoca della prova a discarico ha
comportato lesione dei diritti di difesa. Il giudice non avrebbe potuto disattendere il certificato medico ma al più disporre visita fiscale.
2) violazione degli artt. 468, comma 4, 493, comma 3, 495, comma 4, cod.
proc. pen.; mancata assunzione di una prova decisiva. Osserva che la prova testimoniale era stata richiesta su circostanze a discarico rispetto a quelle di cui al
capo di imputazione. Nessuna disposizione impone la capitolazione di circostanze a discarico ex art. 493, comma 2. Era peraltro evidente che la prova addotta era destinata a supportare l’esistenza e l’effettivivà delle prestazioni effettuate dalle ditte in questione in favore della IBI. La testimonianza del teste Balestra era pertanto decisiva. Invero, proprio la irrilevanza delle deposizioni degli
altri due testi rendeva assolutamente necessario sentire questo teste.
3) manifesta illogicità della motivazione. Osserva che l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato la concreta realizzazione della struttura alberghiera commissionata alla IBI, la quale aveva sub appaltato ad altre ditte alcuni specifici
lavori. La corte d’appello ritiene credibile che, per poter subappaltare, l’Erario,
in proprio, avesse effettuato un ingente prestito all’imputato, legale rappresentante della IBI. Questa procedeva poi a versare i corrispettivi alle ditte sub appaltatrici, effettuando i pagamenti con assegni incassati dalle ditte medesime.
Una piccola parte di tali pagamenti veniva trasferita nuovamente all’Erario al
fine di estinguere il prestito contratto con costui dalla IBI. Da tutto ciò deriva
che è apodittica l’affermazione della totale fittizietà ed inesistenza del rapporto
della IBI con le ditte sub appaltatrici e la inesistenza dei lavori da queste svolte
sul cantiere.
4) erronea applicazione dell’art. 163 cod. pen. e vizio di motivazione. La
corte d’appello ha errato nel non concedere la sospensione condizionale della
pena ritenendo che l’imputato ne avesse usufruito già due volte. Infatti la sentenza del 14.3.2005 ha riconosciuto la continuazione con i fatti di cui alla sentenza del 29.5.2003 e rideterminato la pena complessiva. Il ricorrente poteva
pertanto giodere ancora una volta del beneficio.
In data 2.7.2013 l’imputato, a mezzo dell’avv. Antinio Almiento, ha depositato motivi aggiunti con cui deduce erronea applicazione dell’art. 163 cod.
pen. in ordine alla mancata concessione sospensione condizionale della pena.
Motivi della decisione
Il primo motivo — con il quale si deduce che il giudice non poteva disattendere (senza nemmeno disporre una visita fiscale) il certificato medico
attestante l’assoluta impossibilità di comparire del teste Balestra — è
inconferente. E difatti la corte d’appello ha appunto accertato e dichiarato che il
giudice di primo grado non avrebbe potuto disattendere, senza alcun
accertamento, «l’attestazione del medico che aveva indicato l’esistenza di una
“epigastralgia” e cioè dolore localizzato all’epigastrio, che può avere varie
cause (viscerali, riflesse, cardiache, vascolari)».
La corte d’appello ha invece ritenuto corretta l’esclusione del teste per due
diverse ragioni: a) perché la difesa non aveva presentato a suo tempo la lista testi e, quindi, non era noto su quali circostanze il Balestra avrebbe dovuto essere
sentito, essendosi la difesa limitata a dire che i testi sarebbero stati sentiti «ai fi-

-3 ni della decisione e a prova contraria»; b) perché comunque la deposizione del
teste sarebbe stata irrilevante ai fini della decisione.
Con il secondo motivo il ricorrente contesta appunto questa decisione.
Ora, la censura rivolta alla ragione sub a) è fondata. E difatti, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, «La parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a
prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici, considerato che il
termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di
inammissibilità, dall’art. 468, comma primo, soltanto per la prova diretta e non
anche per quella contraria, giacché diversamente, il diritto alla controprova
che costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa, ne risulterebbe
vanificato» (Sez. V, 3.11.2011, n. 9606 del 2012, Cazzador, m. 252158); «Il
termine perentorio previsto per il deposito della lista testimoniale vale unicamente per la prova diretta e non anche per quella contraria, potendo quest’ultima essere richiesta sino alla pronuncia dell’ordinanza di ammissione delle
prove, fatte salve le ipotesi di emersione dei relativi presupposti nel corso dell’istruzione dibattimentale» (Sez. III, 3.3.2010, n. 15368, Arseni, m. 246613).
Inoltre, «In tema di lista testimoniale, l’onere dell’indicazione delle circostanze
di esame è soddisfatto anche con il semplice riferimento ai ‘fatti del processo”
a condizione che si versi nell’ipotesi di un’unica contestazione di reato per fatti
storicamente semplici, non valendo invece ciò ove la vicenda processuale sia
complessa, gli imputati siano più di uno e molteplici siano i capi di imputazione» (Sez. III, 6.5.2010, n. 32530, H., m. 248221); «L’obbligo della indicazione
delle circostanze sulle quali deve vertere l’esame testimoniale, imposto dall’art.
468 cod. proc. pen., è necessario soltanto allorché le circostanze si discostino
dal fatto descritto nel capo di imputazione. Pertanto, l’obbligo deve intendersi
rispettato allorché sia possibile dedurre per relationem che il soggetto indicato
è in grado di riferire i fatti articolati nel capo di imputazione e le circostanze
sulle quali è chiamato a deporre sono ricomprese nello stesso o in altri atti noti
alle parti, stante la finalità del citato art. 468 di impedire la introduzione di
prove a sorpresa consentendo alle altre parti la tempestiva predisposizione di
proprie controdeduzioni» (Sez. III, 19.10.2005, n. 41691, Latini, m. 232369).
Nella specie si trattava appunto di teste indicato «a prova contraria» sicché era
evidente che le circostanze sulle quali era chiamato a rispondere erano le medesime oggetto della deposizione dei testi dell’accusa.
Ritiene invece il Collegio che sia fondata la ragione sub b), la quale peraltro è di per sé decisiva e sufficiente a supportare la decisione di non ammissione
del teste. Ed invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «Il diritto alla
prova contraria garantito all’imputato dall’art. 495, comma secondo, cod. proc.
pen. in conformità dell’art. 6, par. 3 lett. d) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e attualmente a livello costituzionale dall’art. 111, comma terzo Cost., può essere, con adeguata motivazione, denegato dal giudice solo quando le prove richieste sono
manifestamente superflue o irrilevanti (art. 190, comma primo, cod. proc.
pen.)» (Sez. VI, 24.9.2003, n. 44736, Mordeglia, m. 227322); e «Il diritto alla
prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere

-4di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di
legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi
logici e giuridici» (Sez. Un., 25.2.2010, n. 15208, Mills, m. 246585).
Orbene, il Collegio ha ritenuto appunto che sfugga al sindacato di questa
Corte, avendo formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e
giuridici, la decisione del giudice del merito di escludere il teste Balestra perché
la sua escussione sarebbe stata manifestamente superflua ed irrilevante, in
quanto anche questo teste avrebbe dovuto riferire sulle stesse circostanze riferite dagli altri due testi Galluzzo e Caniglia, ossia che avevano lavorato nel cantiere di Campomarino, circostanze che appunto erano assolutamente inutili ai
fini del decidere.
Il terzo motivo è anch’esso infondato, in quanto la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto che le fatture in questione avessero ad oggetto operazioni inesistenti. Ha
infatti evidenziato la sentenza impugnata che dalle dichiarazioni del mar. Zappatore era emerso: – che alcune delle imprese di cui si era avvalsa la IBI Costruzioni non avevano l’organizzazione necessaria per effettuare alcun tipo di lavoro; – che anche per le altre i rapporti erano comunque relativi ad operazioni inesistenti, tanto che le somme ad esse versate dalla IBI erano poi tornate in parte
alla committente Vento. Inoltre, anche il direttore dei lavori Pescatore, aveva
dichiarato che la ditta Sasso non aveva effettuato i lavori per il totale risultante
ma per un importo minimale e che le imprese erano oggettivamente inesistenti,
non avevano alcuna struttura né mezzi ed erano impossibilitate a fare alcun tipo
di lavoro. Era poi risultato che la IBI, ricevute le fatture per operazioni inesistenti, pagava con assegni le ditte emittenti, le quali li giravano alla Vento, ma i
titoli erano incassati dal rappresentante di questa Erario Gustavo sui suoi conti
personali e non su quello della società. La corte d’appello ha quindi osservato
che anche ritenendo che questo giro di denaro dalla IBI alle società sub appaltatrici e da queste ad Erario costituisse conferma di un prestito di denaro da Erario a Guida o alla Ibi, ciò però dimostrava anche che dette società non avevano
alcunché da pretendere nei confronti di Ibi, il che di per sé deponeva per la assoluta fittizietà delle operazioni indicate nelle fatture. In definitiva, secondo
l’opinione della corte d’appello — basata su una motivazione non manifestamente illogica — proprio il giro tortuoso escogitato da Guida per versare somme
all’Erario dimostrava in modo inequivocabile che si trattava di uno strumento
ideato per estinguere il suo debito e, nel contempo, per ridurre illegalmente il
suo carico fiscale.
E’ invece fondato il quarto motivo. La corte d’appello, invero, ha rigettato
la richiesta di sospensione condizionale della pena esclusivamente per il motivo che l’imputato aveva goduto già due volte del beneficio con sentenze anteriori ai fatti in questione, e precisamente con sentenza del tribunale di Brindisi
del 29.5.2003 e con sentenza della corte d’appello di Lecce del 14.3.2005.
Con il ricorrente l’imputato però eccepisce che la sentenza della corte d’appello del 14.3.2005 ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti in
essa esaminati «e quelli del tutto analoghi oggetto della pronuncia definitiva

emessa a carico dello stesso Guida in data 29.5.2003», rideterminando quindi la
pena complessiva in giorni 30 di reclusione ed € 200,00 di multa, sostituendo la
pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria di € 1.140,00 di multa ed
estendendo all’intera pena la sospensione condizionale della pena già concessa.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «La sospensione condizionale della pena può essere concessa – entro i limiti di legge – non solo a chi è
stato condannato con una unica sentenza per più reati uniti dal vincolo della
continuazione, ma anche a chi sia dichiarato colpevole con separate sentenze
per un unico reato continuato, atteso che, in tal caso, la pluralità di condanne è
assimilabile ad una condanna unica» (Sez. II, 13.11.2000, n. 1477 del 2001,
Panebianco, m. 217889; Sez. II, 20.11.1998, n. 8599 del 1999, Lo Dame, m.
212470).
Il ricorrente, pertanto, avrebbe potuto godere ancora una volta del beneficio della sospensione condizionale della pena.
In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente
alla statuizione concernente la sospensione condizionale della pena, con rinvio
ad altra sezione della corte d’appello di Lecce per nuovo giudizio sul punto. Nel
resto il ricorso va rigettato.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la sospensione condizionale della pena e rinvia ad altra sezione della corte d’appello
di Lecce per nuovo giudizio sul punto.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione il 30
luglio 2013.

-5

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