Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3548 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3548 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPPADONA IRENE N. IL 31/03/1988
CAPPADONA ANTONELLA N. IL 09/10/1982
avverso l’ordinanza n. 231/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
26/03/2013
senjlta la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
e/sentite le conclusioni del PG Dott. S

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 23/10/2013

t

FATTO E DIRITTO
Propongono ricorso per cassazione Cappadona Irene e Cappadona Antonella, avverso la ordinanza del
Tribunale del riesame di Messina, in data 26 marzo 2013, con la quale è stata disposta la applicazione, in
sostituzione della misura degli arresti domiciliari, di quella dell’obbligo di presentazione bisettimanale agli
uffici della PG.
Tale misura ha relazione alla imputazione provvisoria di truffa aggravata e continuata, per il conseguimento
di erogazioni pubbliche (articolo 640 bis cp), e alla ulteriore imputazione-elevata nei confronti della sola
Cappadona Irene- di falso in atto pubblico (articolo 479 c.p.).

Consorzio sociale Insieme, ha organizzato corsi di formazione professionale negli anni 2010 e 2011: corsi le
cui lezioni non si erano però regolarmente svolte, al pari degli stage previsti nel progetto di formazione e
degli esami finali che erano stati una mera formalità.
Del detto consorzio, Cappadona Irene era la legale rappresentante mentre la sorella Antonella svolgeva
funzioni di commissario esaminatore, senza averne i titoli.
Con istanza di riesame le indagate avevano censurato la misura coercitiva esclusivamente sotto il profilo
delle esigenze cautelari.
Il Tribunale del riesame analizzava la attuale situazione, caratterizzata dalla uscita delle due indagate dal
Consorzio menzionato, facendo presente che la stessa non era sufficiente per ritenere cessate le esigenze
cautelari, dal momento dell’azione criminosa aveva visto coinvolte differenti compagini giuridiche nelle
quali, di volta in volta, erano implicate, a diverso titolo, sia le indagate che altri componenti della loro stessa
famiglia, sicché era preventivabile la ripetizione di condotte analoghe, anche facendo ricorso a schermi
giuridici diversi.
Deducono la violazione dell’articolo 274 c.p. p.
Ed infatti, il pericolo di ripetizione di reati analoghi sarebbe stato affermato senza il requisito della
necessaria attualità e concretezza.
Contrariamente all’assunto del Tribunale, risulta che non vi sono più corsi di formazione e che l’attività
dell’indagate, sollevate da qualsiasi carica o ruolo all’interno del consorzio, ha formato oggetto di pubblicità
negativa da parte di tutti i mezzi di comunicazione locale.
Il ricorso cumulativo è inammissibile.
Il Tribunale ha dato conto delle ragioni di fatto per le quali ritiene che sia configurabile un attuale e
concreto pericolo di recidiva nei confronti delle indagate.
Ha infatti menzionato la rilevazione di una galassia di società interagenti fra di loro, e capaci di garantire
una gestione familiare dell’intero affare dei corsi di formazione, attraverso il coinvolgimento di altri
componenti della famiglia Cappadona.
Per tale ragione, ha, con argomento logico inoppugnabile, ritenuto assai verosimile che le indagate possano
ricorrere a nuovi schermi societari per lo svolgimento delle medesime attività criminosa, probabilità
rispetto alla quale, le contrarie osservazioni delle ricorrenti si atteggiano quali mere contrapposizioni di
fatti rispetto a quelli selezionati e valutati dal giudice del merito: in altri termini, censure volte a
rappresentare una alternativa ricostruzione degli elementi rilevanti per la formulazione la prognosi di
pericolosità, non prospettabile alla Corte di cassazione che non è giudice del fatto, ma soltanto della
legittimità.
1

La vicenda emersa è quella di una complessa attività fraudolenta posta in essere ai danni della Regione
Sicilia – fonte della erogazione di finanziamenti pubblici – da parte di un gruppo di persone che, attraverso il

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna di ciascuna delle ricorrenti al versamento, in
favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.

Il Presidente

il Cons. est.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2013

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