Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35476 del 22/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35476 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
nei confronti di:
D’APICE VINCENZO N. IL 03/09/1963
avverso l’ordinanza n. 919/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
21/12/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
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[del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 22/05/2014

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 21.12.2011 la Corte d’appello di Napoli, in funzione di
giudice dell’esecuzione, in parziale accoglimento dell’istanza di applicazione
della continuazione in favore di D’APICE VINCENZO tra delitti giudicati con
separate sentenze irrevocabili, determinava in complessivi anni 30 di reclusione
la pena per il reato continuato comprendente i seguenti delitti:
-1)

partecipazione ad associazione per delinquere camorristica capeggiata da

Carmine Alfieri, militando nel gruppo facente capo a Cesarano Ferdinando, fino
all’agosto 1994 (sentenza Corte appello Napoli del 22.6.2005);

danno di Catello Saturnino commesso il 19.2.1989 (sentenza Corte assise
appello Napoli del 9.6.2004);
-3) omicidio in danno di Attianese Antonio commesso il 21.7.1990 (sentenza
Corte assise appello Salerno del 10.10.2000).
Il giudice dell’esecuzione descriveva l’ambiente in cui erano maturati i suddetti
delitti e riteneva che i tre omicidi suindicati, poiché rientravano nello scontro
all’epoca esistente tra il clan di cui faceva parte il D’Apice e quello contrapposto
che faceva capo a Raffaele Cutolo, fossero stati progettati, nelle linee generali,
nel momento in cui il D’Apice aveva aderito al sodalizio criminoso con il ruolo di
killer. Gli omicidi in questione avevano in comune la causale (eliminare membri
di spicco della compagine contrapposta) ed erano stati commessi avvalendosi
della forza di intimidazione del clan di appartenenza e con modalità tipiche dello
stesso clan.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale della
Repubblica di Napoli, chiedendone l’annullamento per erronea applicazione
dell’art.81 c.p..
La Corte d’appello, secondo il ricorrente, si era limitata a constatare che gli
omicidi di cui trattasi erano stati commessi nell’ambito dell’associazione
camorristica di cui il D’Apice faceva parte, ma non aveva considerato che, per

-2) omicidio in danno di Francesco Cavaiola commesso il 6.8.1986 e omicidio in

poter riconoscere la continuazione tra il delitto associativo e gli omicidi, questi
ultimi dovevano risultare programmati, o quanto meno programmabili, ab
origine, rispetto alla costituzione del sodalizio criminoso.
Invece gli omicidi erano stati decisi nel corso della guerra di camorra tra la
Nuova Famiglia, capeggiata da Carmine Alfieri, e la Nuova Camorra
organizzata, capeggiata da Raffaele Cutolo, per ragioni non prevedibili nel
momento in cui il D’Apice aveva aderito alla Nuova Famiglia.

1

f/5

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La Corte d’appello ha riconosciuto la continuazione tra il reato associativo per il
quale D’Apice Vincenzo è stato condannato dalla Corte d’appello di Napoli
(avendo fatto parte prima del gruppo capeggiato di Carmine Alfieri e poi del
gruppo capeggiato da Cesarano Ferdinando, strettamente collegato a quello
dell’Alfieri) e gli omicidi di Francesco Cavaiola e Catello Saturnino (commessi
rispettivamente il 6.8.1986 e il 19.2.1989 e già riuniti in continuazione dal
giudice della cognizione) nonché l’omicidio in danno di Attianese Antonio,

La Corte d’appello ha correttamente premesso che, qualora un determinato
sodalizio sia stato costituito anche in vista della perpetrazione di omicidi, ciò
non implica che ogni omicidio deliberato nell’ambito di esso sia
automaticamente riconducibile al programma criminoso ed eventualmente
suscettibile di essere considerato avvinto dal nesso della continuazione con il
reato associativo, dovendosi negare l’esistenza di tale vincolo “allorché non
emerga la prova che i reati fine siano stati tutti progettati nel momento della
costituzione della struttura criminosa”.
Nella motivazione dell’ordinanza, però, non sono stati indicati gli elementi dai
quali si doveva desumere che il D’Apice aveva progettato, almeno nelle linee
generali, già nel momento in cui è entrato a far parte del suddetto clan
camorristico gli omicidi sopra indicati, non essendo sufficiente affermare perché non supera la soglia della genericità – che gli omicidi in questione “si
inseriscono a pieno titolo nella sequenza caratterizzante la nota guerra di
camorra che ha visto contrapposti, da una parte gli esponenti del gruppo
criminale della Nuova Famiglia capeggiato da Carmine Alfieri e, dall’altra, i
seguaci del gruppo camorristico della N.C.O. facente capo a Raffaele Cutolo”.
Sono state descritte dal giudice dell’esecuzione le circostanze in cui sono stati
commessi gli omicidi di cui trattasi, ma non sono stati indicati gli elementi
sintomatici dai quali desumere che il D’Apice, già nel momento in cui era
entrato a far parte della Nuova Famiglia, era stato coinvolto nel progetto di
eliminare le suddette persone.
L’originaria risoluzione, quantunque non debba necessariamente prevedere le
modalità esecutive di ogni omicidio, deve essere dotata comunque di una certa
specificità, di tal che siano ravvisabili fin dall’inizio le ragioni dei programmati
delitti e, nel caso di specie, siano identificate o identificabili le persone che si
intendono eliminare.
Pertanto, l’ordinanza, che ha riconosciuto la continuazione tra il delitto
associativo ed i menzionati omicidi, deve essere annullata, con rinvio ad altra
sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo esame.
2

commesso il 21.7.1990.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della
Corte d’appello di Napoli.
Così deciso in Roma in data 22 maggio 2014

Il Consigliere estensore

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