Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35471 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35471 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANTAFEDE MARIO N. IL 05/03/1953
avverso l’ordinanza n. 6813/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 05/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/s ite le conclusioni del PG Dott. A

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.)e
Uditi difensor vv.;

Data Udienza: 29/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5.7.2013 il Tribunale di sorveglianza di Roma
respingeva il reclamo proposto da Mario Santafede avverso il decreto ministeriale
del 15.10.2012 con il quale veniva prorogato il regime di cui all’art. 41-bis Ord.
Pen..
Premesso che il Santafede è detenuto in esecuzione della misura cautelare
applicata in relazione al reato di commercio di ingenti quantitativi di stupefacenti

in esecuzione di condanne definitive per la partecipazione, con ruolo di
organizzatore, ad associazione finalizzata al traffico internazionale di
stupefacenti, il tribunale rilevava che la motivazione del provvedimento di
proroga fonda sull’esame approfondito dell’allarmante quadro probatorio a carico
del Santafede ed, in specie, degli elementi di fatto indicati nei pareri della
Procura della repubblica di Roma, della Direzione nazionale antimafia e delle
forze dell’ordine.
Ha, quindi, ritenuto l’attuale operatività del sodalizio criminoso e la
mancanza di elementi che dimostrino il venire meno dell’elevata pericolosità
manifestata anche in epoca recente dal detenuto e, conseguentemente, della
(
/
capacità di mantenere i collegamenti con l’ambiente criminale nel quale ha
rivestito un ruolo di assoluto rilievo.

2. Ricorre l’interessato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo, in
primo luogo, la violazione dell’art. 127 comma 2 cod. proc. pen. con riferimento
al termine entro il quale è consentito alle parti di presentare memorie prima
dell’udienza camerale, rilevando che, nella specie, il rappresentante della
pubblica accusa ha provveduto al deposito di documentazione ritenuta rilevante
ai fini del giudizio (annotazioni trasmesse dal carcere di Opera afferenti i colloqui
intrattenuti dal detenuto con la figlia Vania ritenuti sospetti) soltanto all’udienza
del 5.7.2013, con conseguente pregiudizio del contraddittorio dal quale deriva la
inutilizzabilità.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge e,
sostanzialmente, il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata fondata su
presupposti fattuali errati e su affermazioni meramente apodittiche, come
dimostrato attraverso la produzione documentale allegata alla memoria
difensiva, depositata il 28.6.2013.
Secondo il ricorrente non sarebbe possibile verificare se vi sia, in concreto,
un’organizzazione criminale rispetto alla quale è doveroso scongiurare possibili
contatti, contestando l’esistenza della prova della perdurante operatività di
un’associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti che è stata
2

per il quale è stato condannato alla pena di anni ventidue di reclusione, nonché,

erroneamente individuata del tribunale nella capacità di far permanere in stato di
latitanza pericolosi elementi della consorteria. Rileva, quindi, che a differenza di
quanto accade per l’associazione di stampo mafioso, la prova della permanenza
di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti non può
essere desunta semplicemente dal ritorno in libertà dei soggetti che
originariamente ne avevano fatto parte.
Contesta, quindi, i singoli elementi di fatto che secondo il tribunale
denoterebbero lo spessore criminale del Santafede e la sua capacità di

nei confronti di un fornitore di stupefacenti; i quantitativi di stupefacenti
commercializzati; gli esiti del procedimento di prevenzione.

3. Con memoria del 7.4.2014 il ricorrente replica alle conclusioni del
Procuratore generale ribadendo le suddette doglianze.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, ad avviso del Collegio, deve essere rigettato.
1. Sulla dedotta inutilizzabilità della documentazione prodotta dal pubblico
ministero deve rilevarsi – in conformità con quanto evidenziato dal Procuratore
generale nelle sue conclusioni scritte, pur alla luce della replica contenuta nella
memoria del ricorrente – che la disposizione di cui all’art. 127 comma 2 cod.
proc. pen. non ha riguardo alla produzione documentale, sempre consentita nel
regolare contraddittorio (Sez. 1, n. 3679 del 19/05/2000, Di Bella, rv. 216280;
Sez. 5, n. 43382 del 19/09/2013, Punturiero, rv. 258661). Peraltro, nella specie,
il tribunale di sorveglianza, nella sostanza, ha disposto l’acquisizione di elementi
di prova indicati dal pubblico ministero, consentita, ai sensi dell’art. 665 comma
5 cod. proc. pen. (e art. 185 disp. att. cod. proc. pen.), dai poteri integrativi di
elementi utili per la decisione, attribuiti al giudice che procede secondo le regole
del procedimento di esecuzione.
Il motivo di ricorso, pertanto, non è fondato.
2. Quanto alla valutazione di legittimità del provvedimento ministeriale, il
provvedimento impugnato si è attenuto ai criteri indicanti dalla vigente
formulazione dell’art. 41- bis, comma 2 bis, legge 26 luglio 1975 n. 354, laddove
prevede che la proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere
collegamenti con l’associazione criminale non è venuta meno, tenuto conto
anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno
all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della
sopravvivenza di incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del
trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto; il mero
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mantenere i collegamenti con la criminalità organizzata: il proposito omicidiario

decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente ad escludere la
capacità di mantenere collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno
dell’operatività della stessa.
Il tribunale, quindi, in ossequio a detta disposizione era tenuto a porre in
risalto il duplice dato della biografia delinquenziale del detenuto e dell’attuale
operatività del sodalizio di appartenenza, accompagnando l’indicazione di indici
fattuali, anche non coesistenti, sintomatici dell’attuale pericolo di collegamenti
con l’esterno.

provvedimento di proroga è stato effettuato attraverso una verifica della
pericolosità criminale del detenuto, desunta da oggettive circostanze di fatto
indicate nel decreto ministeriale e desumibili in atti. Il tribunale ha proceduto ad
una corretta verifica in ordine alla possibile persistenza di collegamenti con il
gruppo criminale di appartenenza, tenendo conto delle prospettazioni e deduzioni
difensive.
Sul punto il tribunale si è uniformato ai criteri ermeneutici più volte ribaditi
da questa Corte che ha anche precisato come, ai fini della proroga è sufficiente
la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che
non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario
ordinario (Sez. 1, n. 47521, 02/12/2008, Rogoli, rv. 242071) ed ha evidenziato
le circostanze di fatto alle quali è stata ancorata la valutazione in ordine alla
attuale operatività del sodalizio criminale, indicando a fini esemplificativi la
attuale latitanza di altro sodale e la circostanza che alcuni partecipi sono tornati
in libertà.
Il tribunale ha dato atto dell’elevato profilo criminale del ricorrente
dimostrato da plurimi elementi di fatto fino ad epoca recente e coeva al decreto
ministeriale: la lunga latitanza (oltre quattro anni); gli elementi posti a
fondamento del decreto emesso il 18.1.2010 dalla sezione misure di prevenzione
del Tribunale di Roma; le circostanze di fatto tratte delle intercettazioni delle
comunicazioni tra la figlia del Santafede ed i familiari di alcuni coimputati; il
comportamento irregolare e la mancanza di rielaborazione delle condotte
criminose, come indicato nella relazione del carcere.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

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I

A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, il controllo del tribunale sul

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, il 29 aprile 2014.

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