Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3547 del 17/09/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3547 Anno 2015
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARTAMELLA FRANCESCO PAOLO N. IL 03/05/1953
PARTI CIVILI
avverso la sentenza n. 46/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
08/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/09/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO

e

Data Udienza: 17/09/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. G. Izzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito altresì
per l’imputato l’avv. F. Libori, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata, all’esito del giudizio abbreviato, in data
17/07/2012, il G.U.P. del Tribunale di Brescia, per quanto è qui di interesse,

1) bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione alla Gemox Italia s.r.l.
(d’ora in poi, Gemox) dichiarata fallita il 29/05/2008, perché, in concorso con
Vito Belli, Donato Pasquale e Donato Vincenzo e quale extraneus ideatore
gestore ed organizzatore della distrazione della merce proveniente dalla D.E.I.
New Electric s.r.l. (d’ora in poi, D.E.I.), distraeva merci (materiale elettrico) per
un valore complessivo di euro 3.592.893,90;
2) truffa pluriaggravata in danno di D.E.I. in concorso con le persone
indicate sub 1) e quale ideatore, istigatore, gestore e organizzatore della truffa;
7) e 8) in concorso con Daniele Fasana e Vito Belli e quale cointeressato,
socio occulto, amministratore e gestore di fatto della ditta individuale del primo,
omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali per gli esercizi 2007 e 2008;
9) in concorso con le persone e nelle qualità indicate per i reati sub 7) e 8),
occultamento e distruzione delle scritture contabili e della documentazione di cui
è obbligatoria la conservazione della ditta individuale di Daniele Fasana;
10)

in concorso con Daniele Fasana e Vito Belli e quale cointeressato, socio

occulto, amministratore e gestore di fatto, occultamento e distruzione delle
scritture contabili e della documentazione di cui è obbligatoria la conservazione
di Easy Electric s.r.I.;
11) in concorso con le persone e nelle qualità indicate per il reato sub 10),
omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali di Easy Electric s.r.l. per
l’esercizio 2008;
13) in relazione a Easy Electric s.r.I., dichiarata fallita il 10/05/2011, e in
concorso con le persone e nelle qualità indicate per il reato sub 10), bancarotta
fraudolenta documentale e per distrazione, per avere distratto beni e merci
ovvero il controvalore della loro cessione per un valore complessivo di euro
2.235.550,58 (di cui euro 371.591,92 di IVA percepita e non versata all’Erario);
14) truffa in danno di Irce s.p.a., in concorso con Daniele Fasana e con
Alessandro Steffan e agendo in nome e per conto della società rumena Eazy
Fasana Electric s.r.l.

2

aveva dichiarato Francesco Paolo Tartarnella colpevole dei seguenti reati:

4.

Esclusa la recidiva contestata, nonché l’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche, e riconosciuta la continuazione tra i reati, l’imputato era
stato condannato alla pena di sei anni e sei mesi di reclusione, nonché al
risarcimento dei danni in favore della parte civile fallimento Gemox (liquidato
nella misura complessiva di euro 3.592.893,90); nei confronti di Tartamella era
stata altresì disposta la confisca di un’autovettura Mercedes, di due unità
immobiliari site nel comune di Trapani, della nuda proprietà di due unità
immobiliari site nel comune di Perugia (intestate a Degli Angeli di Tartannella

(intestate a Barbara Tartamella e a Francesca Tartamella).

2. Con sentenza deliberata in data 08/03/2013, la Corte di appello di
Brescia, per quanto è qui di interesse, in parziale riforma della sentenza del
G.U.P. del Tribunale di Brescia, ha ridotto a cinque anni e sei mesi la pena
irrogata a Francesco Paolo Tartamella, ha limitato al valore di euro 639.044 la
confisca delle unità immobiliari site nel comune di Valderice, ha disposto che
sulla residua quota permanga il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell’art.
316 cod. proc. pen., confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Richiamata diffusamente detta sentenza, la Corte di merito rileva che le
dichiarazioni accusatorie dei tre coimputati Belli, Pasquale Donato e Fasana sono
di dubbia credibilità quando descrivono il ruolo dagli stessi rivestito, tendendo a
minimizzarne l’importanza e ad addossare agli altri imputati la responsabilità dei
fatti contestati, ma, a fianco di dichiarazioni del genere, ve ne sono altre non
riguardanti la loro posizione, che hanno trovato riscontro in elementi esterni. La
tesi difensiva di Tartamella secondo cui i tre coimputati avrebbero concordato
false accuse nei suoi confronti è smentita dal duplice rilievo che, dopo le iniziali
convergenze, le posizioni assunte da Belli e da Fasana si sono divaricate e che la
posizione di Donato è sicuramente antitetica a quella di Belli; né in senso
contrario può argomentarsi sulla base della considerazione che sia Donato, sia
Belli avevano inizialmente taciuto la posizione di Tartamella soprattutto nei
confronti di Ziglioli (amministratore di D.E.I.), atteggiamento, questo,
comprensibile, dovendo essi altrimenti rivelare la destinazione della merce
destinata a Gemox.
Il coinvolgimento di Tartamella, sottolinea la Corte di merito, non emerge
solo dalle dichiarazioni dei coimputati, ma anche da altri elementi afferenti alle
singole imputazioni; tale coinvolgimento non può comunque essere posto nel
nulla, in quanto le dichiarazioni sul punto dei coimputati trovano riscontri in
elementi esterni di elevato spessore.

Barbara & C. s.a.s.), di 23 unità immobiliari site nel comune di Valderice

2.1. Con riferimento ai capi di imputazione sub 1) e 2), la Corte di merito
osserva preliminarmente che a Tartamella non è contestata la gestione di fatto di
Gemox, ma il ruolo di concorrente nella distrazione di beni provenienti da D.E.I.
e, attraverso lo schermo di altre ditte, di fatto destinate a ABC Build Engeneering
s.r.l. (d’ora in poi, ABC). Lo stesso Tartarnella ha ammesso di essere intervenuto
per aiutare Giuseppe Steffan, gestore di ABC, di essersi incontrato casualmente
con Belli, che gli aveva proposto la fornitura da parte di Gemox, di avere messo
in contratto Belli con Steffan, di avere incontrato Donato, di avere contestato a

causa dell’oggetto sociale di quest’ultima): alla luce delle stesse ammissioni di
Tartamella, rileva la sentenza impugnata, è evidente il suo coinvolgimento
nell’accordo tra i gestori di Gemox e quelli di ABC (collaborando con Steffan,
come confermato da quest’ultimo e da Bonù, amministratore di Tibb s.r.I.,
cliente di ABC), laddove la preoccupazione del ricorrente che la ditta cedente ad
ABC avesse un oggetto sociale compatibile con la merce ceduta rende chiara la
preoccupazione di mascherare il reale fornitore della merce stessa, che egli, per
sua stessa ammissione, sapeva essere Gemox. Tartamella si è quindi accordato
affinché la ditta che sarebbe figurata come fornitore di ABC, avesse le carte in
regola dal punto di vista formale, preoccupazione, quella del ricorrente, per
soddisfare la quale venne attivata la ditta individuale Fasana, che, attiva solo nel
secondo semestre del 2007, formalmente ha ceduto i materiali ad ABC. Il
collegamento tra la truffa in danno di D.E.I. e la distrazione della merce fornita a
Gemox da D.E.I. e non pagata risulta chiaro alla luce del rilievo che presso ABC
sono state trovate fotocopie di documenti di trasporto e copie di “offerte di
forniture” inviate da D.E.I. a Gemox, che le fatture emesse dalla ditta individuale
Fasana nei confronti di ABC corrispondevano a quelle emesse da D.E.I. nei
confronti di Gemox, che il prezzo riportato sulle fatture emesse dalla ditta
Fasana era mediamente inferiore del 20% rispetto a quello indicato sulle fatture
emesse da D.E.I nei confronti di Gemox: pertanto chi, nella trattativa, operava
per conto di ABC, ossia Tartarnella, conosceva esattamente i prezzi praticati da
D.E.I., sapeva che il materiale da questa fornito a Gemox era fatto pervenire ad
ABC attraverso la ditta Fasana, che il costo del materiale scendeva del 20%
anziché aumentare come sarebbe stato ovvio se si fosse trattato di operazione
commerciale corretta, sicché il deprezzamento della merce poteva essere
unicamente giustificato, dal punto di vista logico, con l’intenzione di non pagare
la merce a D.E.I., posto che, altrimenti, l’operazione non avrebbe avuto alcuna
giustificazione dal punto di vista commerciale. I passaggi e il deprezzamento
della merce non potevano sfuggire a chi operava per conto di ABC, che
conosceva sia le offerte di D.E.I., sia i prezzi indicati sulle fatture della ditta

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Belli e a Donato che la fornitura ad ABC non poteva provenire da Gemox (a

Fasana, risultando immediatamente l’assurdo deprezzamento della merce;
inoltre, il passaggio attraverso la ditta Fasana mascherava il collegamento tra
Gemox e ABC, non risultando alcun passaggio tra Gernox e la ditta Fasana. Tali
elementi, osserva la Corte di appello, danno conto dell’esistenza dei reati
(peraltro non contestati) e riscontrano le chiamate di correo allorché coinvolgono
Tartamella nel meccanismo truffaldino; del resto, proprio su indicazione di
Tartamella si era optato per far pervenire la merce ad ABC attraverso la ditta
individuale Fasana all’uopo costituita. Ulteriori elementi correlano più

merce proveniente da Gemox ad ABC.
Rileva, in primo luogo, la Corte di merito che, pochi giorni dopo la
dichiarazione di cessazione di attività della ditta Fasana, Tartamella ha
acquistato con due assegni provenienti dal conto della ormai non operativa ditta,
un’autovettura Mercedes al prezzo di 54.800 euro. Incongrua è la giustificazione
fornita al riguardo da Tartamella, che ha sostenuto di non aver ricevuto nulla da
Steffan e che Belli lo ricompensò dell’attività svolta con l’acquisto
dell’autovettura: ammesso che questa sia stata pagata da Belli, se Tartamella
avesse ritenuto la regolarità delle operazioni, non avrebbe potuto pretendere da
Belli, ossia dalla sua controparte, un compenso – elevato – per l’attività svolta in
favore di Steffan, sicché l’unica spiegazione possibile è la sua consapevolezza del
meccanismo truffaldino messo in atto e degli illeciti guadagni prodottisi. Nessun
rilievo può essere riconosciuto all’argomentazione difensiva secondo cui se
l’imputato fosse stato a conoscenza della provenienza del denaro non si sarebbe
intestato l’auto, in quanto Tartamella poteva far affidamento sulle cautele
adottate per evitare di esporsi e, comunque, da una leggerezza compiuta
nell’ambito di un’attività criminale non può ricavarsi la buona fede dell’agente in
ordine all’attività stessa.
In secondo luogo, la sentenza impugnata osserva che la tesi difensiva è
smentita dalle dichiarazioni di Livio Michieli: tre assegni emessi sul conto della
ditta individuale Fasana sono stati incassati da Silvana Cremona, moglie di
Michieli, oltre ad altri sette assegni emessi sul conto personale di Fasana;
Cremona ha riferito di avere ricevuto gli assegni dal marito e di averli
monetizzati per fare un favore a un suo amico; Michieli ha riferito di avere
ricevuto tutti gli assegni da Fasana e di aver appreso da questi che si trattava di
assegni da monetizzare e che i contanti dovevano essere consegnati a
Tartamella, aggiungendo che, in una occasione, dopo che Fasana aveva ricevuto
il contante dalla moglie, si era diretto verso Tartannella, presente in banca, per
consegnargli il denaro. Tale elemento collega inscindibilmente Tartamella alla
ditta individuale Fasana, smentisce l’imputato laddove sostiene che Fasana era

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strettamente Tartamella alla ditta Fasana, utilizzata nella truffa per fatturare la

un prestanome del solo Belli e differenzia la condotta di Tartamella da quella
dello stesso Belli, in quanto mentre quest’ultimo agiva sui conti di Fasana
attraverso la delega ad operare, Tartamella, più astutamente, faceva cambiare
gli assegni da Fasana intascando il contante senza lasciare alcun traccia di sé.
In terzo luogo, la sentenza impugnata richiama le dichiarazioni di Franco
Novara, il quale, a proposito della truffa a D.E.I., ha riferito che Belli e
Tartamella erano soci in affari e che Fasana era il loro prestanome, utilizzando i
primi due la ditta individuale del terzo e poi la Easy Electric: tali dichiarazioni,

alla truffa in danno di D.E.I., smentendo il ruolo, dallo stesso delineato, di
soggetto ignaro degli illeciti altrui. La difesa ha contestato la credibilità di
Novara, in considerazione dei suoi rapporti non buoni con Tartamella, avendogli
inviato una missiva scritta da Belli ed essendo pertanto un emissario di
quest’ultimo; inoltre, Novara aveva inviato una lettera anonima agli inquirenti
narrando la vicenda truffaldina. Osserva al riguardo la Corte di appello che la
missiva, rinvenuta dagli inquirenti nella vettura di Tartamella, non è anonima,
essendo firmata da Novara, ed aveva un carattere strettamente personale, non
essendo certo destinata alla divulgazione: in essa Novara si lamenta di fungere
da prestanome di Tartamella dal 2003 e di non aver ricevuto quanto pattuito,
per le sue “prestazioni”, nemmeno quando Tartamella, unitamente ai suoi soci,
era riuscito ad ottenere somme elevate dalla truffa in danno di D.E.I.; lo stesso
Novara ha ammesso di aver inviato la missiva che gli era stata scritta da Belli,
ma, nelle sue dichiarazioni, non ha attribuito tutta la responsabilità della vicenda
a Tartamella delineando una società tra questi, Belli e Fasana, il che non si
concilia con la tesi difensiva avendo Novara messo sullo stesso piano Tartamella
e Belli. Il ruolo di Novara, inoltre, è stato riconosciuto dallo stesso Tartamella che
all’udienza del 03/04/2008 nel procedimento a carico di Vito Marino ed altro ha
dichiarato di essere stato imprenditore utilizzando una ditta individuale,
operativa fino al 2006, di cui Novara era formale amministratore. E’ dunque
Tartarnella che, per un verso, ha confermato quanto sostenuto da Novara nella
missiva in ordine alla circostanza che questi era stato suo prestanome e che, per
altro verso, nulla ha riferito nel 2008 in ordine al deterioramento dei suoi
rapporti con Novara. Da ciò, secondo la sentenza impugnata, emerge che anche
se negli ultimi tempi e comunque dopo i fatti contestati a Tartamella, Novara
aveva rotto i rapporti con l’imputato (giungendo a denunciarlo con una lettera
anonima che poi ha trovato conferma nelle indagini svolte), egli, almeno fino al
2008, era un “collaboratore” di Tartamella e non di Belli.
La sentenza di primo grado deve dunque essere confermata nella parte in
cui ha riconosciuto Tartamella responsabile, quale concorrente extraneus, del

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sottolinea la Corte di merito, confermano la piena partecipazione di Tartamella

reato di cui al capo 1), nonché del reato di cui al capo 2), essendo pienamente
consapevole del meccanismo truffaldino, del soggetto da cui proveniva la merce
poi rifatturata dalla ditta Fasana ed avendo concordato con gli esecutori materiali
della truffa (Donato e Belli) la fornitura della merce e le modalità con le quali
sarebbe stata fornita ad ABC.
2.2. Con riferimento ai capi 7), 8) e 9), la Corte di merito richiama le
argomentazioni svolte con riguardo ai capi 1) e 2), ritenendo le dichiarazioni di
Fasana e Belli – menzognere quanto al ruolo da essi svolto – credibili nella parte

quanto fortemente riscontrate dagli elementi indicati, ossia l’acquisto di
un’autovettura da parte di Tartamella con assegni provenienti dalla ditta Fasana,
la monetizzazione degli assegni provenienti dal conto intestato a tale ditta (come
dichiarato dì Michieli), la gestione della ditta da parte anche di Tartamella come
riferito da Novara.
2.3. Con riferimento ai capi 10), 11) e 13), osserva la Corte di appello che
se è vero che le dichiarazioni del commercialista Ridoli – invocate dalla difesa
nella prospettiva dell’attribuzione della gestione di Easy Electric s.r.l. solo a Belli
e a Fasana – coinvolgono maggiormente Belli, collocando Tartamella solo
all’inizio della costituzione della società, è anche vero che Ridoli ha riferito come
il vero gestore della società apparisse Tartamella, pur mantenendo egli i rapporti
quotidiani con Belli e con Fasana. Inoltre, rileva la sentenza impugnata, Gaetano
Bertoli, rappresentante legale di Bertoli s.r.I., ha riferito come, in occasione degli
accordi con la società per la fornitura di cavi, avesse parlato con Steffan e con
Tartamella, il quale si era presentato come proprietario/amministratore della
società stessa e con cui aveva concordato forniture e pagamenti. Analoga
vicenda è riferita da Corrado Balestrazzi, addetto alle vendite di Sada Cavi s.p.a.,
al quale Tartamella era stato presentato da Giuseppe Steffan come
amministratore della società, proseguendo con lo stesso Tartamella gli incontri,
sempre presso la sede di ABC, con gli accordi di fornitura di materiali. Né ha
pregio l’argomentazione difensiva che, con riferimento al capo 13), tende ad
escludere la responsabilità di Tartamella in quanto era Belli a gestire i conti della
società: come già visto per la ditta individuale Fasana, Tartamella era attento a
non comparire su documentazione formale delle ditte utilizzate e comunque,
quanto alla distrazione della merce, era stato lo stesso imputato a prendere
contatto con i fornitori per poi sparire dopo i mancati pagamenti, sicché la
formale gestione dei conti da parte di Belli non lo esime da responsabilità.
2.4. Con riferimento al capo 14), rileva la sentenza impugnata che le
dichiarazioni di Giorgio Grandi, responsabile commerciale di Irce s.p.a., non
pongono Tartamella in posizione di osservatore neutrale, in quanto lo stesso

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in cui coinvolgono Tartamella nella gestione della ditta individuale Fasana, in

Tartamella viene presentato come titolare di Eazy Fasana Electric s.r.I., ossia
proprio della società cui dovevano essere intestate le fatture e che si addossava i
pagamenti; successivamente si svolse un incontro tra Grandi, Steffan e
Tartamella nel corso del quale vennero presi gli accordi. Tartamella ha dunque
preso parte alla fase decisiva del raggiungimento degli accordi per la fornitura
della merce, non potendosi escludere la sua responsabilità in considerazione
dell’intervento di altri nella fase successiva della consegna della merce, né alla
luce della tesi difensiva secondo cui l’imputato si sarebbe presentato come

per le quali Grandi avrebbe dovuto discutere con lui circa la fornitura della
merce. L’affermazione di Tartamella secondo cui sarebbe estraneo a Eazy Fasana
Electric s.r.l. è poi smentita, oltre che da Fasana, da Belli e dallo stesso Grandi,
da Corrado Balestrazzi, il quale ha riferito che l’imputato gli aveva comunicato di
avere in Romania una società – appunto, Eazy Fasana Electric s.r.l. – alla quale,
su richiesta dello stesso Tartamella, furono effettuate alcune forniture.
2.5. In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte di appello conferma il
diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione
della pluralità dei reati commessi e dei precedenti dell’imputato, accogliendo,
invece, la richiesta di riduzione della pena, fissata in cinque anni di reclusione,
risultando, invece, congruo l’aumento per i reati in continuazione, con
conseguente individuazione della pena finale in cinque anni e sei mesi di
reclusione.
Quanto alla confisca dell’autovettura Mercedes, rileva la sentenza
impugnata che Tartannella operava in ambiti internazionali e aveva la necessità
di spostarsi per costituire le società utilizzate per i propri traffici illeciti, sicché il
possesso di un’autovettura di significativo valore, da un lato, favorisce gli
spostamenti e facilita la commissione di nuovi ulteriori reati e, dall’altro,
accredita l’immagine dell’imputato come persona facoltosa, favorendo la
commissione di nuove truffe.
In ordine alla confisca degli immobili, la Corte di merito, per un verso,
richiama la giurisprudenza di legittimità in ordine alla confisca per equivalente
del profitto dei reati tributari e, per altro verso, osserva che non sembrano
risultare altri beni nella disponibilità di Tatahella da sottoporre a confisca, né la
difesa ha offerto indicazioni al riguardo. Quanto alla confiscabilità dei beni
intestati alle figlie, a parte i profili di inammissibilità derivanti dalla carenza di
interesse, non avendo l’imputato diritto alla restituzione, la disponibilità in capo a
Tartannella trova conferma nel rilievo che al momento dell’acquisto le due
intestatarie erano prive di redditi e che il nonno materno (dal quale, secondo la
prospettazione difensiva, provenivano i fondi con i quali era stata pagata la

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rappresentante di altra società, non comprendendosi, in tale ipotesi, le ragioni

prima rata, laddove la differenza era stata versata utilizzando un mutuo acceso
sempre dal mutuo materno, in realtà intervenuto – secondo la sentenza
impugnata – solo a garanzia del mutuo stesso) non era nelle condizioni di
effettuare gli esborsi sostenuti, essendo titolare, insieme con il coniuge, di redditi
annui che non superavano i 30.000 euro. Per quanto riguarda l’immobile di
Perugia, di cui le figlie di Tartamella hanno acquistato la nuda proprietà, la
moglie dell’imputato gode dell’usufrutto sull’unità immobiliare, ove lo stesso
Tartamella è domiciliato, circostanze, queste, che, unitamente alle scarse

appello a ritenere che l’immobile sia stato intestato, nella nuda proprietà, alle
figlie per motivi fiscali e successori, essendo comunque nella disponibilità
dell’imputato. La somma indicata quale profitto deve essere rideterminata
escludendo dal conteggio la somma dovuta a titolo di Irap, mentre, quanto al
valore degli immobili, per quelli siti nel comune di Valderice la Corte di appello
assume il valore indicato nella perizia giurata prodotta alla difesa (pari ad euro
1.147.246,00), dovendo, pertanto, la confisca essere limitata alla somma di euro
639.044.
La Corte di appello, infine, ha accolto la richiesta del Procuratore generale e
delle parti civili di mantenimento del sequestro ai fini conservativi per la garanzia
delle spese del procedimento e delle somme dovute all’erario nonché delle
obbligazioni civili nascenti dal reato: infatti, vi è fondata ragione di ritenere che,
vista la capacità di Tartamella di servirsi di prestanomi e di occultare le proprie
risorse, la restituzione dell’immobile possa dar luogo ad azioni volte ad
occultarne la disponibilità.

3. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Brescia ha proposto,
con due distinti atti, ricorso per cassazione, nell’interesse di Francesco Paolo
Tartamella, il difensore avv. F. Libori, articolando complessivamente dodici
motivi di seguito enunciati – anche alla luce della memoria difensiva con motivi
aggiunti depositata il 15/07/2014 – nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp.
att. cod. proc. pen.
3.1. Violazione degli artt. 442, 544, 546, 598 cod. proc. pen. All’esito
dell’udienza ex art. 599 cod. proc. pen., la Corte di appello ha omesso di
redigere e depositare il dispositivo (depositando l’intero provvedimento solo il
03/05/2013): non potendosi ritenere che, come sostenuto dalla sentenza n.
12822 del 2010 delle Sezioni unite della Corte di cassazione, si sia in presenza di
mera irregolarità, la violazione in questione determina l’abnormità del
provvedimento, per la sua singolarità e stranezza, o, almeno, la nullità della
sentenza a norma dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen.

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capacità reddituali delle figlie al momento dell’acquisto, inducono la Corte di

3.2. Violazione degli artt. 407 e 191 cod. proc. pen. L’iscrizione nel registro
delle persone sottoposte ad indagini preliminari di Tartamella deve essere
retrodatata al 07/04/2011 (quando gli inquirenti entrarono in possesso di un
documento di identità dell’imputato), sicché il termine delle indagini preliminari
deve ritenersi esaurito il 07/11/2011; non potendosi condividere l’orientamento
della giurisprudenza di legittimità richiamato dalla sentenza impugnata, sono
inutilizzabili gli atti di indagini successivi a tale data (le sommarie informazioni
rese da Silvana Cremona, Livio Micheli, Franco Novara e Guido Garilli; le attività

atti la cui rilevanza ai fini dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato
è testimoniata dal riferimento ad essi nella sentenza impugnata in relazione a
vari capi di imputazione.
3.3. Violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., vizio di motivazione in relazione
alla valutazione di attendibilità frazionata delle dichiarazioni accusatorie dei
coimputati Fasana, Belli e Pasquale Donato, violazione dell’art. 597 cod. proc.
pen. La difesa ha dimostrato la falsità delle dichiarazioni accusatorie dei
coimputati, sulla base della disamina svolta nei motivi di appello rispetto alla
quale la Corte di appello ha omesso una puntuale valutazione.
3.3.1. Con riferimento alle dichiarazioni di Fasana (in data 01/02/2011,
09/02/2011, 29/03/2012), osserva il ricorrente che il coimputato, pur
attribuendosi il ruolo di prestanome per conto di Belli e di Tartamella, ha
riconosciuto che fu il primo (in quanto dichiarato fflifallito) a chiedergli di fare da
prestanome e che allo stesso Belli aveva consegnato la documentazione
contabile relativa a Easy Electric s.r.I., sicché le sue dichiarazioni accusatorie nei
confronti di Tartamella in relazione alla mancata regolare tenuta della contabilità
della ditta Fasana e della stessa Easy Electric s.r.l. sono espressione di una linea
difensiva comune a Belli e non possono essere ritenute attendibili. Fasana,
inoltre, ha smentito Livio Michieli in ordine ai cambi di assegni fatti presso la
Banca Popolare di Milano e alla consegna allo stesso dichiarante del denaro
contante frutto della negoziazione.
3.3.2. Il coimputato Belli ha reiteratamente reso dichiarazioni false (in data
27/05/2009, 31/01/2011 e 18/02/2011): già nel 2007 riferì a Ziglioli di non
conoscere le destinazione del materiale fornito avendo consegnato le relative
bolle a Pasquale Donato, circostanza smentita anche dallo stesso Donato, così
come le successive versioni prospettate in ordine alla destinazione della merce;
con riferimento alla destinazione del denaro provento della truffa in danno di
D.E.I., prima ha riferito di avere utilizzato 170 mila euro (il 5% della somma di
3.5000.00 euro) per costituire con Tartannella una società in Romania, poi ha
raccontato di avere impiegato la somma per l’acquisto di una casa; ha dichiarato

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di indagini svolte dalla Guardia di finanza su delega del p.m. del 07/12/2011),

di essersi rivolto a Fasana su richiesta di Tartamella, ma la Corte di appello non
ha valutato il frequente ricorso del coimputato a prestanomi (Mauro Baronchelli,
Andrea Miglio, Franco Novara, Guido Garilli); ha affermato di non conoscere la
destinazione dei soldi pagati da ABC alla ditta Fasana, ma l’affermazione è
smentita dal dettaglio delle uscite dai c/c della ditta, come ricostruiti dalla polizia
giudiziaria; ha riferito che circa 700 mila euro, corrispondenti alla prima fattura
di D.E.I., erano stati consegnati da Tartannella a Pasquale Donato e da questi, in
parte, versati sul conto di Gemox, ma tale racconto contraddice il ruolo di regista

aver prelevato somme dal c/c di Gennox e della ditta Fasana, di non essere mai
stato in E.Emme con Steffan e di non aver mai conosciuto persone ad essa
riferibili. Nessuna dichiarazione rilasciata da Belli – fin dalla prima resa al
curatore fallimentare di Gemox – è sovrapponibile a quelle successive e il relativo
contenuto è talora contrastante. La Corte di appello ha omesso di valutare la
credibilità soggettiva di Belli (condannato per bancarotta e indagato per frode
alimentare), che aveva già utilizzato Miglio e Baronchelli come prestanomi in
Gemox di cui era l’esclusivo titolare.
3.3.3. Il coimputato Pasquale Donato, nell’ottobre del 2007, ha riferito a
Ziglioli una ricostruzione della vicenda che attribuiva la responsabilità della truffa
al solo Belli, senza far riferimento al ruolo o alla ideazione da parte di Tartamella,
mentre nell’interrogatorio reso al curatore fallimentare sembra prospettare che
la richiesta di avviare un’attività di commercializzazione di materiale elettrico sia
partita dallo stesso Donato nei confronti del ricorrente. La personalità a
attitudine criminosa di Donato è descritta da Romano Perosi, che ha raccontato
del prestito ricevuto e dei toni minacciosi con i quali ne era stata chiesta la
restituzione. Pasquale Donato ha riferito di un accordo con Belli e Tartamella
secondo cui Gemox avrebbe dovuto fatturare – con un ricarico del 10% – ad
E.Emme la merce ricevuta da D.E.I. attribuendo falsamente detto accordo anche
a Tartamella, posto che la gestione illecita di E.Emme era di esclusiva
responsabilità di Belli e di Fasana (cui il capo di imputazione n. 5 ascrive il reato
di appropriazione indebita in danno di tale società). Il coimputato, inoltre, ha
escluso di conoscere l’esistenza della ditta ABC (in ciò smentito dagli stessi
inquirenti) e ha riferito di avere consegnato la documentazione contabile di
Gemox ad Andrea Malchiodi, che ha recisamente negato la circostanza.
Non è possibile accedere alla valutazione frazionata dei chiamanti in correità
ai fini della valutazione della loro intrinseca attendibilità e coerenza e, anche
nell’ottica della valutazione frazionata, la sentenza impugnata è contraddittoria e
non fornisce, a fronte della falsità dei fatti narrati, dai coimputati e della debole
valenza della loro attendibilità soggettiva, la compensazione con un più

11

occulto attribuito allo stesso Tartamella; ha falsamente dichiarato di non avere

consistente spessore di riscontro con elementi estrinseci di verifica della loro
attend i bilità.
La Corte di appello ha omesso di motivare in ordine alla credibilità
soggettiva dei coimputati e all’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni da essi
rese, prive delle caratteristiche della coerenza, della precisione, della costanza
nel tempo e della spontaneità richieste dalla giurisprudenza.
3.4. Violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., vizio di motivazione in relazione
all’assenza di riscontri esterni alle dichiarazioni accusatorie a carico del ricorrente

dichiarazioni dei testimoni Silvana Cremona, Livio Michieli, Franco Novara,
Massimiliano Ridoli, Corrado Balestrazzi e Giorgio Grandi quali riscontri esterni
delle dichiarazioni dei coimputati. I riscontri esterni individuati dalla Corte di
appello sono assolutamente equivoci e privi di idoneità dimostrativa in relazione
agli specifici fatti attribuiti all’imputato.
3.4.1. Con riferimento ai capi di imputazione nn. 1) e 2), la sentenza
impugnata ha seguito uno schema – opposto a quello imposto dalla
giurisprudenza di legittimità – incentrato su un riscontro esterno (semplice e non
con un più elevato e consistente spessore) e sul fatto narrato dai chiamanti in
correità coerente con il riscontro già individuato; così, da un lato, ha escluso il
ruolo di preminenza e di ideazione di Tartamella e, dall’altro, lo ha ritenuto
responsabile a titolo di extraneus istigatore e beneficiario delle operazioni illecite.
La sentenza impugnata ha travisato il primo riscontro individuato, ossia le
ammissioni fatte nel corso dell’interrogatorio di garanzia da Tartamella, che si è
limitato a far riferimento ad un accordo, per conto degli Steffan, con Belli e con
Donato in ordine ad una serie di transazioni lecite; Tartamella, inoltre, non ha
espresso la “preoccupazione” di mascherare il reale fornitore della merce, ma si
è limitato ad affermare che Gemox non aveva un oggetto sociale compatibile con
la vendita di materiale elettrico. La Corte di appello ha omesso di motivare in
ordine alla medesima obiezione che Ziglioli aveva mosso a Pasquale Donato.
Anche il secondo riscontro – relativo al ribasso del 20% tra il prezzo della
merce fatturato da D.E.I. a Gemox e quello relativo alla stessa merce fatturato
dalla ditta Fasana ad ABC – è stato travisato in quanto la Corte di appello non ha
preso atto di quanto dichiarato nella querela da Ziglioli, il quale ha spiegato che,
dopo l’offerta di vendita da parte di D.E.I., Donato chiedeva un ulteriore sconto
dl 4% e che talora gli ordini non venivano confermati, pur in presenza di grossi
sconti, il che convinse Ziglioli che il suo interlocutore aveva un ufficio acquisti
competente: si spiega, dunque, il rinvenimento presso ABC delle offerte di
fornitura che D.E.I. spediva a Gemox, offrendo una lettura alternativa a quella
indiziante a carico di Tartamella; l’offerta di fornitura può non coincidere con la

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da parte dei coimputati, contraddittorietà della motivazione in relazione alle

successiva fattura, emessa dopo la pattuizione sullo sconto indicata da Ziglioli.
La Corte di appello ha dedotto dal rinvenimento presso ABC di un’offerta di
fornitura emessa da D.E.I. nei confronti di Gennox la prova della consapevolezza
di Tartamella in ordine all’effettivo prezzo di acquisto della merce, ma, come
rilevato dal G.i.p. rigettando la richiesta cautelare nei confronti di Giuseppe e di
Alessandro Steffan si tratta di un dato neutro, né la sentenza impugnata ha
indicato le dichiarazioni dei chiamanti in correità riscontrate dalla circostanza.
Palese è il volo pindarico della motivazione laddove afferma che il

pagare la merce a D.E.I., risultando altrimenti assurdo il deprezzamento della
merce: la Corte di appello ignora l’esistenza di trattative tra le offerte e gli
acquisti, trattative evidenziate dallo stesso Ziglioli, e afferma che su indicazione
di Tartamella si era optato per far pervenire la merce ad ABC attraverso la ditta
Fasana allo scopo costituita, affermazione, questa, che non trova alcun riscontro
in atti.
In ordine al travisamento del terzo riscontro – relativo all’acquisto di una
Mercedes con due assegni provenienti da un conto della ormai non più operativa
ditta Fasana – Tartamella, che si lamentava di non aver ricevuto alcun
corrispettivo per l’opera di mediazione svolta, ha spiegato di essere stato
accompagnato dal concessionario da Belli che ha pagato con assegni circolari di
cui il ricorrente ignorava la provenienza, ma la Corte di appello non ha creduto a
tale versione presupponendo la responsabilità penale di Tartamella per i capi di
imputazione relativi alla truffa in danno di D.E.I.
Anche il quarto elemento di riscontro – relativo alle dichiarazioni di Livio
Michieli che ha riferito di aver ricevuto da Fasana assegni da monetizzare e di
aver saputo da questi che il contante doveva essere consegnato a Tartamella – è
stato travisato dalla Corte di appello che ha ritenuto credibili le dichiarazioni di
Michieli nonostante la smentita del loro contenuto fatta da Fasana (ritenuto
credibile su altri punti) e l’acredine mostrata dal dichiarante nei confronti di
Tartamella dovuta a pregresse vicende giudiziarie.
In ordine al quinto elemento di riscontro, rappresentato dalle dichiarazioni di
Novara, la Corte di appello ha ignorato la testimonianza di Guido Garrilli e
quanto dichiarato dallo stesso Novara sul fatto di essersi recato presso D.E.I. per
consegnare una busta contenente un assegno per un pagamento ritardato,
consegna, secondo quanto riferito da Bernizzoni (impiegata nel settore
amministrativo di D.E.I.) avvenuto per conto di Belli; la Guardia di finanza ha
relazionato circa i rapporti di E.Emnne con una serie di società quali la Selfor
s.p.a., i cui rapporti ricalcano quelli della prima con Ife s.r.l. e D.E.I. Travisando,
se non ignorando, tali elementi, la Corte di appello non fornisce alcuna

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deprezzamento della merce poteva essere giustificato solo dall’intenzione di non

giustificazione logica di come si possa ritenere che Novara non fosse alle sole
dipendenze di Belli e che le sue dichiarazioni siano riscontro qualificato alle
chiamate in correità.
3.4.2. Con riferimento ai capi di imputazione nn. 7), 8) e 9), la motivazione
è basata su riscontri quali l’acquisto della Mercedes, le dichiarazioni di Michieli e
quelle di Novara già esaminati con riguardo ai primi due capi di imputazione.
Inoltre, Fasana ha esplicitamente affermato che la costituzione della ditta
individuale era avvenuta per mano esclusiva di Belli e la Corte di appello non ha

3.4.3. Con riferimento ai capi di imputazione nn. 10), 11) e 13), la Corte di
appello si è basata, oltre che sulle dichiarazioni di Fasana e di Belli, su quelle di
Ridoli, di Bertoli e di Balestrazzi. La testimonianza di Ridoli, che si è limitato a
dichiarare che Tartamella gli sembrava il vero interessato alla costituzione della
società, esclude la responsabilità del ricorrente, avendo riferito che nel 2007 era
stato contattato da Fasana e da Belli, interessati a costituire una società di
capitali operante nel settore della commercializzazione del materiale elettrico, e
che aveva appreso che Belli era solito effettuare cambi assegni per importi
notevoli su un conto della società sconosciuto allo stesso Ridoli, il cui successivo,
più accorto, atteggiamento aveva verosimilmente indotto Fasana e Belli ad
interrompere i rapporti con lui. La Corte di appello, inoltre, ha omesso di valutare
la volontà di fusione tra ABC e Easy Electric s.r.l. riferita da Tartamella, da
Giuseppe Steffan, da Bonù e da Bertoli. Belli prima ha riferito di aver
amministrato Easy Electric s.r.I., costituita su spinta di Tartamella, poi che questi
era il vero amministratore e gestore della società; Fasana ha poi escluso i
contatti con Ridoli da questi riferiti. La Corte di appello ha valorizzato le
dichiarazioni di Bertoli, secondo cui Tartamella gli si era presentato come
proprietario/amministratore di Easy Electric s.r.I., e di Balestrazzi, secondo la
quale Steffan gli presentò Tartamella come amministratore di Easy Electric s.r.I.:
dette dichiarazioni dovevano essere valutate con cautela, per il tempo trascorso
dai fatti contestati (oltre quattro anni) e per la sostanziale divergenza sul punto
da parte dei due imprenditori; in ogni caso, l’essersi assunto una qualifica
rispondente o meno al vero, non può avere incidenza dimostrativa qualificata
circa la consapevolezza e volontà di Tartamella di gestire illecitamente la
contabilità della società.
3.4.4. Con riferimento al capo di imputazione n. 14), l’atto di appello aveva
prospettato la commissione di una – non contestata – frode fiscale conseguente
alla fatturazione del materiale acquistato da ABC da parte di un soggetto
societario estero, ma la sentenza impugnata ha omesso di valutare il punto e
non fa alcun cenno al profitto che sarebbe derivato a Tartarnella e alle modalità

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motivato in ordine all’inattendibilità di tali dichiarazioni.

attraverso le quali questi avrebbe potuto conoscere gli accordi intercorsi via mali
tra Grandi e Alessandro Steffan. I motivi di appello avevano evidenziato che le
dichiarazioni di Grandi e di Salotto, autista della ditta che curò il trasporto della
merce, escludono la responsabilità di Tartamella e che gli atti relativi al
fallimento di Easy Fasana Electric erano stati rinvenuti nell’abitazione di Belli, ma
la Corte di appello non ha valutato tali censure.
3.5. Violazione degli artt. 216, 223, 219 I. fall. e degli artt. 40 e 42 cod.
pen., vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del nesso di causalità tra

ordine al capo di imputazione n. 1). Alla luce della giurisprudenza di legittimità
(Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012 – dep. 06/12/2012, Corvetta e altri, Rv.
253493), nella fattispecie andava provato che lo stato di insolvenza di Gemox
fosse stato causato dalla distrazione di materiale proveniente da D.E.I. e che
Tartamella fosse consapevole che la condotta distrattiva avrebbe causato lo stato
di insolvenza e il successivo fallimento di Gennox, profili, questi, sui quali la
sentenza impugnata omette di motivare.
3.6. Vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen. La
difesa aveva invocato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in
considerazione della lontananza nel tempo dei precedenti penali (una truffa
commessa nel 1982 e due sentenze di patteggiamento per bancarotta
fraudolenta per le quali si è verificato l’effetto estintivo di cui all’art. 445, comma
2, cod. pen.) e del comportamento processuale tenuto dall’imputato (che ha
immediatamente rilasciato dichiarazioni e ha offerto un ampio memoriale). La
Corte di appello ha reso una motivazione apparente sia a proposito del diniego
dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche (motivato sulla base dei
precedenti in contraddizione con l’esclusione della recidiva ed ignorando il
comportamento processuale), sia in ordine al trattamento sanzionatorio. La
sentenza impugnata ha omesso di indicare il reato per il quale è stata irrogata la
pena base e gli aumenti per ciascuno dei reati ritenuti in continuazione, non
potendo, sul punto, essere richiamata per relationem la sentenza di primo grado;
in quest’ultima ipotesi, la motivazione sarebbe contraddittoria, poiché, a fronte
della significativa riduzione della pena base non ha invece effettuato alcuna
riduzione per le pene relative ai reati in continuazione.
3.7. Violazione dell’art. 240, primo comma, cod. pen. e vizio di motivazione
in ordine alla confisca dell’autovettura Mercedes. Nessun atto di indagine
evidenzia la relazione di asservimento dell’autovettura alle ipotesi di reato
ascritte all’imputato, sicché non sussiste il rapporto di strumentalità tra il bene
oggetto di confisca e i reati contestati, laddove la motivazione sul punto della
sentenza impugnata è meramente congetturale.

15

la condotta distrattiva e lo stato di insolvenza di Gemox e alla prova del dolo in

3.8. Violazione dell’art. 1, comma 143, I. n. 244 del 2007 e dell’art. 322 ter,
secondo comma, cod. pen. Il rinvio operato dall’art. 1, comma 143, della legge
n. 144 del 2007 all’art. 322 ter cod. pen. riguarda solo il primo comma della
disposizione codicistica, in quanto il secondo comma è riferito al solo delitto del
corruttore, ossia specificamente ad altra e peculiare fattispecie delittuosa, come
è confermato dall’art. 19 d. Igs. n. 231 del 2001, che fa espresso riferimento alla
confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato e non potendosi
estendere la portata della norma in violazione del divieto di analogia in malam

profitto del reato tributario non è ammissibile.
3.9. Vizio di motivazione in ordine alla disponibilità dei beni confiscati in
capo a Tartamella, mancata assunzione di una prova decisiva in relazione alla
documentazione di cui era stata chiesta l’acquisizione. La Corte di appello ha
confermato la confisca dell’immobile di Valderice e della nuda proprietà di quello
di Perugia ritenendo erroneamente fittizia l’intestazione dei beni alle figlie
dell’imputato, in considerazione del vincolo parentale con gli intestatari formali e
dell’assenza di redditi in capo ad essi al momento dell’acquisto.
3.9.1. Con riferimento alla confisca dell’immobile di Valderice (la cui prima
rata fu corrisposta dal nonno materno delle figlie, mentre la differenza fu pagata
grazie a un mutuo garantito dalla fideiussione sempre del nonno), non spetta
alla difesa spiegare con quali fondi il nonno delle figlie – non coinvolto nelle
“traversie” di Tartamella – abbia versato la prima rata, né sussistono atti di
indagine che depongano per un coinvolgimento dell’imputato quale finanziatore
occulto del suocero, laddove la garanzia personale da questi prestata depone per
la sua capienza patrimoniale. La documentazione indicata dall’appellante non è
stata acquisita in quanto successiva all’acquisto del bene, laddove l’onerosità del
mutuo consiste nel pagamento delle rate successivamente all’acquisto; acquisito
il diritto al riscatto delle polizze assicurative del nonno, le figlie dell’imputato
hanno estinto anticipatamente il mutuo acceso per l’acquisto e la ristrutturazione
dell’immobile, sicché la valutazione della Corte di appello è assolutamente
illogica e in contrasto con l’art. 603, comma 2, cod. proc. pen.
3.9.2. Con riferimento alla confisca dell’immobile di Perugia, la sentenza
impugnata incorre in un travisamento del fatto laddove riferisce la nuda
proprietà dell’immobile alle figlie dell’imputato e non a Degli Angeli s.a.s. di
Tartamella Barbara & C.; dalla documentazione già acquisita agli atti si evince
che detta società aveva ottenuto affidamenti bancari per complessivi 70 mila
euro; la documentazione di cui la Corte di appello ha escluso l’acquisizione
evidenzia poi che le figlie dell’imputato hanno ricevuto dalla nonna materna
somme pari a 35 mila euro. Su tali aspetti la Corte di appello ha omesso di

16

partem in materia penale. Pertanto, la confisca per equivalente dell’ipotizzato

motivare, limitandosi a far riferimento all’impossidenza economica delle figlie
dell’imputato smentita dai dati indicati a fronte della cifra di euro 33.750 spesa
per la nuda proprietà dell’immobile.
Sussiste, in relazione alla confisca per equivalente, l’interesse di cui all’art.
568, comma 4, cod. proc. pen. anche con riferimento a beni appartenenti a terzi
che vantino un diritto alla restituzione degli stessi: rilevando l’assenza di un
elemento costitutivo della confisca per equivalente l’imputato è interessato alla
restituzione dei beni ai terzi danneggiati, impedendo, in questo modo, la

espoliare il reo dell’eventuale indebito arricchimento procacciatosi. Realizzando
un “artificiale” arricchimento patrimoniale dell’imputato, la confisca disposta in
sede penale relativamente a beni non appartenenti all’imputato provoca una
serie di riflessi extrapenali pregiudizievoli nei confronti dell’imputato stesso (sul
piano fiscale, nei rapporti patrimoniali con il coniuge, sotto il profilo risarcitorio
ed ereditario).
3.10. Violazione degli artt. 316, 317, 178, lett. a), 179 cod. proc. pen. La
sentenza impugnata ha disposto il sequestro conservativo richiamando le
richieste del Procuratore generale e delle parti civili: tuttavia, la richiesta del
Procuratore generale era limitata alla sola autovettura, mentre nessuna richiesta
era formulata con riguardo all’immobile di Valderice. All’udienza camerale del
08/03/2013, la Corte di appello non ha dato lettura del dispositivo, ma solo il
data 03/05/2013 veniva depositata l’ordinanza-sentenza: con il deposito della
sentenza si realizza la pendenza del giudizio di cassazione, sicché la Corte di
appello non poteva adottare la misura cautelare reale. La parte civile avrebbe
dovuto chiedere il sequestro conservativo almeno nelle conclusioni di primo
grado, ma la sentenza di primo grado nulla ha disposto in ordine a detta misura,
né la parte civile ha impugnato sul punto tale sentenza per poi riformulare le
conclusioni depositate nel grado di appello. Con la memoria depositata il
15/07/2014, la difesa ha dichiarato di rinunciare al motivo, in quanto il sequestro
conservativo è stato annullato dal Tribunale del riesame di Brescia con ordinanza
11-13/06/2013.
3.11. Violazione degli artt. 315 e 125 cod. proc. pen., vizio di motivazione in
ordine ai presupposti del sequestro conservativo. La Corte di appello non ha
compiutamente evidenziato “indicatori sintomatici” che depongano nel senso
della probabile dispersione delle garanzie patrimoniali qualora parte
dell’immobile di Valderice fosse restituita all’imputato; non sussiste una
situazione di potenziale depauperamento del patrimonio del debitore non
essendo concretamente percorribile la vendita di un immobile parzialmente
confiscato, il che, insieme con l’ottimo comportamento processuale dell’imputato

17

condanna ad un valore equivalente al prezzo o al profitto del reato finalizzata ed

e con la sua condotta di vita irreprensibile successiva all’instaurazione del
processo, depone per l’inconsistenza della prognosi della Corte di appello. Con la
memoria depositata il 15/07/2014, la difesa ha dichiarato di rinunciare al motivo,
in quanto il sequestro conservativo è stato annullato dal Tribunale del riesame di
Brescia con ordinanza 11-13/06/2013.
3.12. Violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 322

ter cod. pen.

(violazione del principio di proporzionalità) e omessa motivazione in relazione
alla necessità della confisca per equivalente dell’immobile di Perugia e delle unità

immobili, laddove, considerato il valore riconosciuto alla villa di Valderice, la
stessa sarebbe ampiamente capiente rispetto all’asserito profitto del reato;
vincolando più beni immobili attraverso lo scomputo del valore dei beni di
Perugia e di Trapani, la sentenza impugnata, in assenza di motivazione sul
punto, ha violato gli artt. 321 cod. proc. pen. e 322 ter cod. pen. e l’art. 1 del
Protocollo addizionale Cedu. Con la memoria depositata il 15/07/2014, la difesa
ha evidenziato che il punto era stato tempestivamente impugnato con l’atto di
appello al paragrafo 1.4.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Il primo motivo di ricorso non è fondato. La fattispecie dedotta è stata
compiutamente esaminata da Sez. U, n. 12822 del 21/01/2010 – dep.
02/04/2010, Marcarino, Rv. 246269, che è giunta alla conclusione, condivisa dal
Collegio, secondo cui la sentenza pronunciata in appello all’esito di giudizio
abbreviato deve essere pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza
camerale dopo la deliberazione, e non mediante deposito in cancelleria; tuttavia,
in caso di omessa lettura, la sentenza non è abnorme o nulla, verificandosi una
mera irregolarità, che produce però effetti giuridici, impedendo il decorso dei
termini per l’impugnazione di cui al terzo comma dell’art. 545 cod. proc. pen. Le
Sezioni unite, in particolare, hanno escluso che si attagli alla fattispecie in esame
la categoria dell’abnormità, evocata anche dall’odierno ricorrente, posto che
l’atto non provoca una stasi del processo non altrimenti superabile, né la
violazione processuale in esame può ritenersi integrare un provvedimento avulso
dall’intero ordinamento processuale.

3.

Il secondo motivo non è fondato. Del tutto consolidato, nella

giurisprudenza di questa Corte, è l’orientamento secondo cui l’inutilizzabilità

18

immobiliari ubicate a Trapani. La Corte di appello ha mantenuto la confisca su tre

prevista dall’art. 407, comma 3, cod. proc. pen., non è equiparabile a quella di
cui all’art. 191 cod. proc. pen., poiché l’una è riferita agli atti d’indagine, mentre
l’altra è riferita alle prove; di conseguenza, nei confronti degli atti d’indagine
compiuti dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari non
opera il principio della rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del
procedimento, bensì il diverso principio della rilevabilità su eccezione di parte, la
quale potrebbe anche trovarsi ad avere un interesse opposto all’inutilizzabilità,
sicché la scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo fa assurgere a dignità di

cod. proc. pen. e delle forme di rito: pertanto, la scelta del giudizio abbreviato
preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli atti di
investigazione compiuti dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari
(Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011 – dep. 30/03/2012, Inzitari, Rv. 252580;
conformi, ex plurimis, Sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011 – dep. 01/06/2012, P.G.,
Bianco e altri, Rv. 252853; Sez. 5, n. 38420 del 12/07/2010 – dep. 29/10/2010,
RG. in proc. La Rosa e altri, Rv. 248506). Alla luce di tale indirizzo, condiviso dal
Collegio in assenza di argomentazioni idonee a determinarne una rivalutazione, il
motivo non può essere accolto.

4. Il terzo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente,
riguardando la valutazione delle prove dell’affermazione di responsabilità
dell’imputato.
Al riguardo, rileva il Collegio come, in apertura dell’esame delle censure
proposte al riguardo dall’appellante, la Corte bresciana abbia sottolineato, su un
piano generale, che il coinvolgimento di Tartamella nei fatti in questione non
emerge solo dalle dichiarazioni dei tre coimputati (Belli, Fasana, Pasquale
Donato), ma anche da altri elementi afferenti alle singole imputazioni. La
premessa posta dalla Corte di merito all’esame, appunto, della singole
imputazioni (e dei relativi dati probatori) giova a mettere in luce come, in una
valutazione complessiva dell’apparato motivazionale posto a sostegno
dell’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine ai reati contestati, gli
ulteriori elementi evidenziati dalla sentenza impugnata non vengano in
considerazione solo sub specie di riscontri alle chiamate di correo dei coimputati,
ma quali dati probatori dotati – anche – di valenza dimostrativa autonoma
rispetto alle stesse chiamate di correo.
Esemplare dell’approccio valutativo seguito dalla Corte di merito è l’esame
delle imputazioni sub 1) e 2), esame nitidamente proiettato su un duplice piano:
in primo luogo, la sentenza impugnata richiama una serie di elementi (tra i quali,
l’abbattimento del 20% del prezzo riportato sulle fatture emesse dalla ditta

19

prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto del termine di cui all’art. 407

Fasana nei confronti di ABC rispetto a quello indicato nelle fatture emesse da
D.E.I. nei confronti di Gemox) ritenuti, per un verso, idonei a dar corto
dell’«esistenza dei reati» e, per altro verso, a riscontrare, nei termini di seguito
messi in luce, le chiamate di correo coinvolgenti Tartamella; in secondo luogo, la
Corte di appello procede alla rassegna dei dati probatori idonei a correlare
Tartamella alla ditta individuale Fasana utilizzata per fatturare la merce
proveniente da Gemox ad ABC. Il percorso argomentativo seguito dalla Corte
bresciana mette in luce la duplice valenza attribuita agli elementi conoscitivi

dall’altro, confernnatrice degli unì rispetto alle altre, nonché la ricerca, nell’ambito
di tali ulteriori elementi, di dati probatori afferenti alla sussistenza dei reati e alla
loro attribuibilità a Tartamella, senza esaurire l’apprezzamento valutativo
nell’esclusiva valorizzazione dei primi.
In questo quadro devono dunque essere vagliate le doglianze del ricorrente.
4.1. A proposito delle dichiarazioni accusatorie rese nei confronti del
ricorrente dai coimputati, la Corte di appello, in primo luogo, ha motivatamente
escluso che le stesse siano state concordate al fine di accusare falsamente
Tartamella: la valutazione del giudice di appello è argomentata sottolineando la
divaricazione delle posizioni assunte – dopo un’iniziale convergenza – da Fasana
e da Belli e l’evidente contrasto di quelle di Belli e di Donato, antitetiche quanto
alla ricostruzione delle reciproche responsabilità. Il rilievo, del tutto congruo sul
piano logico-argomentativo, priva di fondatezza le censure di analogo tenore concentrate sulla prospettata “comunanza” di strategie difensive di Fasana e di
Belli – riproposte dal ricorso in esame: sotto questo profilo, la motivazione della
sentenza impugnata rende ragione dell’esclusione di artificiose consonanze nelle
dichiarazioni dei coimputati, ossia della circostanza che la loro convergenza
quanto al coinvolgimento di Tartamella sia l’esito di collusione o concerto
calunnioso o comunque il frutto di condizionamenti o reciproche influenze (Sez.
6, n. 6221 del 20/04/2005 – dep. 16/02/2006, Aglieri ed altri, Rv. 233084).
La Corte di appello ha altresì rilevato come risulti comprensibile il silenzio
mantenuto, soprattutto nei confronti di Ziglioli, da Belli e da Donato in ordine alla
posizione di Tartamella, il cui disvelannento avrebbe comportato la rivelazione
appunto all’amministratore di D.E.I. della vera destinazione della merce venduta
dalla società: anche sul punto, la motivazione della sentenza impugnata priva di
consistenza i rilievi del ricorrente incentrati sul contrasto tra quanto riferito dai
coimputati Belli e Donato a Ziglioli e le dichiarazioni successivamente rese, in
varie sedi, nel corso del procedimento.
Con riferimento a queste ultime, la Corte di appello – esclusa sia la
sussistenza di artificiose consonanze nelle dichiarazioni accusatorie dei

20

ulteriori rispetto alle chiamate di correo, una valenza, da un lato, autonoma e,

coimputati, sia la significatività delle versioni da essi prospettate post factum alla
persona offesa – ha ritenuto di recepire i rilievi critici proposti dall’atto di appello
e ha rilevato la dubbia credibilità delle dichiarazioni dei coimputati tendenti a
minimizzate il ruolo da ciascuno di essi rivestito, addossando agli altri coimputati
la responsabilità dei reati loro contestati. Tuttavia, osserva il giudice di appello, a
fronte di dichiarazioni del genere, ve ne sono altre non riguardanti la posizione
dei dichiaranti che hanno trovato riscontro in elementi estranei: tra queste
ultime, la Corte di merito include le dichiarazioni relative al coinvolgimento di

trovato riscontro in elementi esterni di elevato spessore. Così delimitato, quanto
all’oggetto, il contributo conoscitivo offerto dalle dichiarazioni dei coimputati ed
evidenziatone il deficit di attendibilità connesso al perseguimento di – personali,
non concordate – strategie processuali tese al ridimensionamento delle
responsabilità di ciascuno, il percorso argomentativo della sentenza impugnata
non è compromesso, ad avviso del Collegio, dalle censure del ricorrente, in
quanto, in tema di valutazione probatoria della chiamata di correo, l’esclusione di
attendibilità per una parte del racconto non implica un giudizio di inattendibilità
con riferimento a quelle altre parti che reggono alla verifica del riscontro
oggettivo esterno: in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che
rientri nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un “ragionevole equilibrio
di coerenza e qualità”, di ciò che viene riferito nel contesto di tutti gli altri fatti
narrati, dovendo avere ben presente che la debole valenza di attendibilità
soggettiva deve essere compensata con un più elevato e consistente spessore di
riscontro, attraverso il necessario minuzioso raffronto di verifiche di credibilità
estrinseca (Sez. 6, n. 20514 del 28/04/2010 – dep. 28/05/2010, Arman Ahmed e
altri, Rv. 247346). Fatta salva la necessaria, puntuale verifica dei riscontri
oggettivi esterni individuati dalla Corte di merito (oggetto del quarto motivo di
ricorso, di seguito esaminato) e, dunque, del raggiungimento, ad opera della
sentenza impugnata, di un “ragionevole equilibrio di coerenza e qualità”, la
valutazione delle chiamate di correo alla luce di elementi ulteriori valorizzati sia,
appunto, come conferma alle dichiarazioni dei coimputati sia come elementi
dotati di valenza dimostrativa autonoma rispetto alle stesse dichiarazioni integra
quel più elevato e consistente spessore di riscontro richiesto dalla giurisprudenza
di questa Corte. Pertanto, il terzo motivo non può essere accolto.
4.2. Anche il quarto motivo non merita accoglimento. Al riguardo, giova
precisare che le critiche articolate con detto motivo dal ricorrente fanno
riferimento ai vari elementi valorizzati dalla Corte di appello come meri riscontri
alle dichiarazioni accusatorie dei compiutati, mentre, come si è visto, detti
elementi assumono, nel percorso argomentativo dei giudici di appello, la più

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Tartamella, coinvolgimento rispetto al quale le dichiarazioni dei coimputati hanno

pregnante valenza indicata: lo schema interpretativo seguito dalla sentenza
impugnata, pertanto, non fonda – come prospettato dal ricorrente con una delle
doglianze – l’affermazione di responsabilità muovendo dai riscontri esterni e sulla
valutazione delle dichiarazioni accusatorie alla luce di detti riscontri, ma valorizza
gli elementi di seguito esaminati secondo quanto si è rilevato, ossia come dotati
anche di autonoma valenza dimostrativa.
4.2.1. Con riferimento ai capi di imputazione nn. 1) e 2), i rilievi della
sentenza impugnata in ordine a quanto “ammesso” da Tartarnella

Che le dichiarazioni dell’imputato non avessero natura confessoria, ma facessero
riferimento, per riprendere le espressioni del ricorso, a lecite transazioni è ben
evidenziato dalla sentenza impugnata, che, al riguardo, attribuisce a Tartamella
un atteggiamento analogo a quello dallo stesso contestato ai coimputati, ossia
l’attribuzione ad altri della responsabilità degli illeciti, minimizzando il proprio
ruolo. Da quanto riferito dall’indagato, invece, la Corte di merito ha tratto
elementi conoscitivi in ordine al coinvolgimento dello stesso Tartamella
nell’accordo tra i gestori di Gemox e quelli di ABC, accordo sullo sfondo del quale
si è sviluppata la vicenda: in questa prospettiva, la Corte ha rilevato, sulla base
del menzionato interrogatorio del 12/11/2011, che Tartamella è intervenuto per
conto dei gestori di ABC, con i quali collaborava (circostanza, questa, confermata
da varie fonti, oltre che dallo stesso imputato); che l’origine della vicenda si
ricollega ad un incontro (casuale nel racconto di Tartamella) con Belli, poi messo
in contatto con Steffan; che lo stesso Tartamella ha incontrato Donato e poi ha
contestato a questi e a Belli che, a causa dell’oggetto sociale di Gemox, la
fornitura ad ABC non poteva risultare come proveniente da detta società. Sulla
base di questi dati probatori, priva di cadute di conseguenzialità logica è, anche
alla luce della complessiva ricostruzione svolta sulla base degli elementi
valorizzati, la valutazione della Corte di appello circa la preoccupazione
dell’imputato di mascherare il reale fornitore della merce ad ABC, fornitore che,
per sua stessa ammissione, Tartamella sapeva essere Gemox (che aveva
acquistato la merce da D.E.I.). La prospettazione del ricorso, secondo cui
l’imputato si sarebbe limitato a registrare l’incompatibilità dell’oggetto sociale di
Gemox con la vendita di materiale elettrico, non rende ragione del complessivo
sviluppo della vicenda, che ha visto seguire alla “segnalazione” di Tartamella
l’attivazione della ditta individuale Fasana (rimasta attiva, sottolinea la Corte di
merito, solo nel secondo semestre del 2007). E’ proprio l’intervento della ditta
individuale Fasana – e il ruolo svolto dalla stessa nella vicenda – ad evidenziare
la manifesta infondatezza dell’ulteriore rilievo del ricorrente incentrato su quanto
rappresentato nella sua querela da Ziglioli: a fronte dell’obiezione di questi circa

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nell’interrogatorio del 12/11/2011 non sono viziati dal denunciato travisamento.

l’oggetto sociale di Gemox, Donato ha tranquillizzato l’interlocutore fornendogli
assicurazioni circa le modalità “regolari” di gestione del rapporto (richiesta di
offerta a D.E.I. da parte di Gemox; successiva offerta di D.E.I. confermata con
ordine di acquisto di Gemox), senza tuttavia dare indicazioni sulla successiva
fase dell’operazione, ossia sulla fornitura ad ABC (“mediata” dalla ditta
individuale Fasana) invece ben nota a Tartamella, che, dunque, diversamente
dalla persona offesa Ziglioli, per sua stessa ammissione, conosceva, nella
ricostruzione della sentenza impugnata, il reale fornitore della merce ad ABC.

argomentazioni sviluppate dalla sentenza impugnata circa la ricostruzione dei
rapporti tra D.E.I. e Gemox, da un lato, e la ditta Fasana ed ABC, dall’altro. Gli
elementi valutati al riguardo, che, come si è anticipato, nell’economia del
percorso motivazionale della Corte di appello «da un lato danno conto della
esistenza dei reati, peraltro non contestati, e, dall’altro, riscontrano le
dichiarazioni dei correi allorché coinvolgono il Tartamella quale emissario di ABC
(ruolo da lui stesso ammesso) nel meccanismo truffaldino» (laddove il ricorrente
mostra di prenderli in considerazione solo come elementi di riscontro delle
dichiarazioni accusatorie dei coimputati), sono molteplici: la corrispondenza tra
le fatture emesse dalla ditta Fasana nei confronti di ABC rispetto a quelle emesse
da D.E.I. nei confronti di Gemox, il rinvenimento presso ABC di documentazione
relativa alle forniture di D.E.I. a Gennox (copie di documenti di trasporto e di
offerte di forniture), la riduzione in media del 20% del prezzo riportato sulle
fatture emesse dalla ditta Fasana nei confronti di ABC rispetto a quello indicato,
per la stessa merce, nelle fatture emesse da D.E.I. nei confronti di Gemox,
elemento, quest’ultimo, dal quale la Corte di merito trae un argomento logico in
forza del quale il deprezzamento della merce poteva essere giustificato solo
dall’intenzione di non pagare la merce a D.E.I., posto che, in caso contrario,
l’operazione sarebbe stata priva di alcuna giustificazione dal punto di vista
commerciale. Le critiche articolate sul punto dal ricorso muovono, per un verso,
da una lettura alternativa del rinvenimento della documentazione indicata presso
ABC incentrata su quanto riferito da Ziglioli nella querela in ordine alle richieste
da parte di Gemox di ulteriori sconti rispetto a quelli offerti (con conseguente
convinzione maturata dallo stesso Ziglioli di avere quale interlocutore un ufficio
acquisti competente) e, per altro verso, dal rilievo dell’esistenza di trattative tra
le parti idonee a confutare la conclusione tratta dal giudice di appello circa il
deprezzamento della merce nel passaggio dalla ditta Fasana ad ABC. Entrambe
le censure non colgono nel segno: la vicenda ricostruita dai giudici di merito si
articola, in sintesi, in tre segmenti, relativi, rispettivamente, ai rapporti tra D.E.I.
e Gemox (ai quali si riferiscono i contenuti della querela di Ziglioli), al

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Né meritano accoglimento le censure del ricorrente in ordine alle

”passaggio” della merce da Gemox alla ditta Fasana (passaggio di mero fatto,
non risultando in alcun modo formalizzato, come rilevato dalla Corte di appello),
ai rapporti tra la ditta Fasana ed ABC (caratterizzati dalla cospicua riduzione del
prezzo riportato nelle fatture). Le censure del ricorrente prendono in
considerazione solo il primo dei tre segmenti, trascurando la complessiva
ricostruzione della vicenda delineata dalla sentenza impugnata: alla luce di tale
ricostruzione, la lettura alternativa prospettata dal ricorrente è del tutto priva di
correlazione con le ragioni argomentative della Corte di merito, posto che le

imprese ben diverso da quello evidenziato dai giudici di merito – non rendono
ragione né del rinvenimento presso ABC della documentazione relativa al primo
dei segmenti indicati (al quale, sulla carta, ABC non sarebbe stata interessata,
avendo avuto formalmente rapporti solo con la ditta Fasana), né – a fronte della
corrispondenza della merce (sostanzialmente non contestata dal ricorrente) nello
sviluppo del «meccanismo truffaldino» ricostruito dalla Corte di merito – della
giustificazione, sul piano della razionalità economica, del consistente
abbattimento dei prezzi praticati dalla ditta Fasana ad ABC. In linea con i dati
probatori richiamati e del tutto congrue sul piano logico-motivazionale, le
conclusioni raggiunte sul punto dalla sentenza impugnata non sono
compromesse dalle censure proposte dal ricorso, che, del resto, non svolge alcun
rilievo critico in ordine al secondo dei segmenti indicati, rispetto al quale la Corte
di appello ha evidenziato come il passaggio attraverso la ditta Fasana, del tutto
«non formalizzato», mascherasse, in realtà, il collegamento tra Gemox e ABC,
collegamento che rappresenta il fulcro del «meccanismo truffaldino». Alla luce
degli elementi fin qui ripercorsi, la sentenza impugnata ha rilevato che
Tartamella, che nella vicenda ha operato per conto di ABC, conosceva
esattamente i prezzi praticati da D.E.I., sapeva che il materiale da questa fornito
a Gemox era fatto pervenire ad ABC attraverso la ditta Fasana, che il costo del
materiale scendeva del 20% anziché aumentare come sarebbe stato ovvio in una
normale relazione commerciale: il ricorrente critica tale rilievo, denunciando che
detta conclusione non può derivare dal mero rinvenimento presso ABC di una
semplice offerta di fornitura da D.E.I. a Gemox, ma la censura (anche laddove
richiama, in termini carenti della necessaria specificità del ricorso, un
provvedimento cautelare nei confronti degli Steffan) svilisce (oltre al dato
oggettivo di quanto acquisito presso ABC, che, come si è visto, non era una
semplice offerta di acquisto) il quadro complessivo dei rapporti tra le varie
società che – anche alla luce di quanto riferito, sia pure nei termini sopra
precisati, dallo stesso Tartamella – la Corte di merito ha ricostruito collocando
l’imputato in un ruolo che lo affiancava ai gestori di ABC e lo vedeva presente e

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richieste a D.E.I. della controparte Gemox – fisiologiche in quadro di relazioni tra

attivo fin dalla genesi della vicenda. Analoghe considerazioni valgono per i rilievi
della sentenza impugnata circa l’indicazione da parte di Tartamella di far
pervenire la merce ad ABC attraverso altra ditta (la ditta Fasana) all’uopo
costituita: il rilievo, che si rinviene già nella sentenza di primo grado, deve
essere inserito nel quadro più ampio dei rapporti tra Tartamella e la ditta Fasana,
oggetto dei passaggi motivazionali di seguito esaminati.
Infatti, la Corte di appello passa in rassegna gli elementi ritenuti idonei a
correlare più strettamente Tartamella alla ditta individuale Fasana utilizzata nella

rappresentati al) dall’acquisto di una Mercedes con due assegni provenienti da
un conto della ormai non più operativa ditta Fasana, a2) dalle dichiarazioni di
Livio Michieli, che ha riferito di aver ricevuto da Fasana assegni da monetizzare e
di aver saputo da questi che il contante doveva essere consegnato a Tartamella,
e a3) dalle dichiarazioni di Franco Novara che, a proposito della truffa alla D.E.I.,
ha riferito che Belli e Tartamella erano soci e che Fasana era il loro prestanome,
utilizzando la ditta individuale Fasana e la Easy Electric s.r.l. Nessuna delle
censure proposte dal ricorso in ordine a tali elementi merita accoglimento.
Le doglianze relative all’elemento sub al) – incentrate sull’affermazione
dell’imputato secondo cui non sarebbe stato a conoscenza della provenienza
degli assegni versati per l’acquisto dell’auto da Belli a seguito della sua lamentela
per non essere stato pagato né dagli Steffan, né da Donato per l’attività di
intermediazione prestata – sono manifestamente infondate. La Corte di appello
ha messo in luce l’incongruenza della giustificazione fornita dal ricorrente, in
quanto, anche a voler ammettere che il pagamento dell’auto sia stato effettuato
da Belli, se Tartamella avesse ritenuto la regolarità delle operazioni, non avrebbe
potuto pretendere da Belli, ossia dalla sua controparte, un compenso – elevato per l’attività svolta in favore di Steffan: di qui la conclusione, esente da cadute di
conseguenzialità logica, che l’unica spiegazione possibile è la consapevolezza in
capo al ricorrente del meccanismo truffaldino messo in atto e degli illeciti
guadagni che erano stati realizzati. Lungi dal dar conto del travisamento
denunciato, la censura è, in realtà, non correlata alle ragioni argomentative della
sentenza impugnata.
Anche le doglianze relative all’elemento sub a2) – che fanno leva sulla
smentita delle dichiarazioni di Michieli proveniente da Fasana e sull’acredine di
cui Michieli stesso sarebbe portatore nei confronti di Tartamella, nonché
sull’inverosimiglianza di alcune sue propalazioni – non possono essere accolte.
L’argomentare della sentenza di appello muove dal dato oggettivo della
negoziazione di alcuni assegni della ditta Fasana (tre) e di altri emessi sul conto
personale dello stesso Fasana (sette) da parte di Silvana Cremona, coniuge di

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truffa per fatturare la merce proveniente da Gemox ad ABC, elementi

Michieli e, sulla base delle convergenti dichiarazioni dei due testi, ha accertato
che gli assegni erano consegnati a Michielí da Fasana e che i contanti dovevano
essere consegnati a Tartamella. Le dichiarazioni di Fasana riportate dal ricorrente
escludono in radice qualsiasi operazione di cambio assegni svolta dai coniugi
Michieli – Cremona per contro dello stesso Fasana, non offrendo, tuttavia, alcuna
plausibile prospettazione in ordine a quanto documentalmente accertato, ossia la
negoziazione da parte di Silvana Cremona di un significativo numero di assegni
riconducibili a Fasana, tra i quale ben sette (per il consistente importo

Quanto alle censure che fanno leva sulle prospettate ragioni di acredine che
Michieli avrebbe nei confronti di Tartamella, esse sono, in parte, inammissibili in
quanto articolate in difetto di specifica correlazione con dati probatori acquisiti al
processo, e, in parte, comunque infondate, non essendo idoneo ad inficiare
l’attendibilità del teste quanto dallo stesso dichiarato a proposito del ricorrente a
fronte della valutazione svolta dalla Corte di merito sulla base di due
testimonianze a loro volta basate su elementi documentali obiettivi.
Manifestamente infondata è la doglianza che evoca l’inverosimiglianza di quanto
dichiarato da Michieli in ordine al fatto che Tartamella avrebbe nascosto del
denaro nel giardino della sua casa, posto che il teste si è limitato a riferire
quanto avrebbe appreso da altri, senza che tale circostanza assuma valenza
decisiva nella complessiva valutazione di quanto dichiarato dal teste.
Da ultimo, le doglianze relative all’elemento sub a3) – incentrate sul rilievo
che la Corte di appello non avrebbe fornito alcuna prova logica di come si possa
ritenere Novara non alle esclusive dipendenze di Belli – sono inammissibili in
quanto generiche. L’ampio apparato argomentativo esibito dalla Corte di merito
in ordine a quanto dichiarato da Novara circa il fatto che Belli e Tartamella erano
soci in affari e che Fasana era il loro prestanome ricostruisce puntualmente i
contenuti delle missive riconducibili allo stesso Novara e valorizza la circostanza
che il ruolo di quest’ultimo è stato riconosciuto dallo stesso Tartannella, il quale,
all’udienza del 03/04/2008 in altro procedimento, ha dichiarato di essere stato
imprenditore utilizzando una ditta individuale, operativa fino al 2006, di cui
Novara era formale amministratore: di qui la conclusione della Corte di merito
secondo cui è dunque Tartamella che, per un verso, ha confermato quanto
sostenuto da Novara circa il fatto di essere stato suo prestanome e che, per altro
verso, nulla ha riferito nel 2008 in ordine al deterioramento dei suoi rapporti con
Novara. Trascurando in toto i rilievi indicati, il ricorrente omette il puntuale
confronto con la motivazione della sentenza impugnata, sicché la doglianza è
carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla

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complessivo di 78 mila euro) erano tratti dal conto personale del coimputato.

decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n.
18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Le censure afferenti alla motivazione della Corte di appello in ordine ai capi
di imputazione nn. 1) e 2), pertanto, non possono essere accolte.
4.2.2. Alla medesima conclusione deve giungersi con riguardo alle censure
attinenti ai capi di imputazione nn. 7), 8) e 9), rispetto ai quali la sentenza
impugnata e, in buona sostanza, il ricorso richiamano argomentazioni e censure
prospettate con riguardo ai primi due capi di imputazione.

a Easy Electric s.r.I., non sono fondate. La Corte di merito ha valorizzato le
dichiarazioni del commercialista Ridoli (delineandone correttamente la portata,
sicché non sussiste al riguardo il travisamento denunciato dal ricorrente) e le
dichiarazioni dei testi Bertoli, che ha riferito di avere incontrato, alla presenza di
Steffan, Tartamella il quale gli si era presentato come
proprietario/amministratore di Easy Electric s.r.I., e Balestrazzi, al quale
Tartamella era stato presentato da Steffan come amministratore della medesima
società: le due testimonianze riferiscono vicende non occasionali, ma connesse
allo svolgimento dell’attività di impresa, tanto è vero che Bertoli ha raccontato di
aver concordato con Tartamella forniture e pagamenti, mentre Balestrazzi ha
riferito di aver proseguito gli incontri con l’imputato per gli accordi di fornitura di
materiali. A fronte del compendio probatorio posto a sostegno della conferma
della sentenza di primo grado, le doglianze del ricorrente fanno leva, innanzi
tutto, sulle dichiarazioni dei coimputati Fasana e Belli e sulla volontà di fusione
tra ABC e Easy Electric s.r.l. riferita da varie fonti: fermo restando che quanto
alle dichiarazioni dei coimputati i limiti della relativa valenza probatoria e i
rapporti con gli ulteriori elementi conoscitivi valutati sono stati compiutamente
delineati dalla Corte di merito secondo quanto in precedenza evidenziato, le due
censure non incidono sulla congruità della motivazione della sentenza
impugnata, posto che le dichiarazioni dei coimputati non hanno alcuna influenza
sulle testimonianze indicate e la prospettata volontà di fusione non inficia la
considerazione del ruolo in concreto svolto da Tartamella rispetto Easy Electric
s.r.I., ruolo, questo, appunto messo in luce dalla sentenza impugnata attraverso
le testimonianze in questione e, in particolare, quelle di Bertoli e di Balestrazzi.
Quanto a queste ultime, le doglianze del ricorrente si limitano a denunciare la
maggior cautela con la quale dovevano essere valutate in considerazione del
tempo trascorso e la loro sostanziale divergenza: mentre il primo rilievo è del
tutto generico, il secondo svilisce la sostanziale convergenza delle testimonianze
circa il ruolo gestorio in concreto esercitato da Tartannella (che aveva preso
contatto con i fornitori, per poi sparire dopo i mancati pagamenti),

27

4.2.3. Le censure attinenti ai capi di imputazione nn. 10), 11) e 13), relativi

considerazione, questa, che esclude la fondatezza anche dell’ulteriore rilievo
difensivo circa la ritenuta mancanza di incidenza dimostrativa dell’assunzione, da
parte dell’imputato, di qualifiche attinenti alla società.
4.2.4. Le censure relative al capo di imputazione n. 14) sono inammissibili.
Mentre la prospettazione della commissione di una frode fiscale è assertiva,
risultando disancorata da qualsiasi riferimento a dati probatori, e la denunciata
mancanza di riferimenti al profitto conseguito dall’imputato (di cui non viene
evidenziata la deduzione con i motivi di appello) non inficia la ricostruzione della

ulteriori doglianze del ricorrente – tese ad escludere la partecipazione di
Tartamella agli accordi con Grandi, responsabile commerciale di Irce s.p.a., e,
più in generale, la sua responsabilità alla luce, in particolare, delle dichiarazioni
dello stesso Grandi e dell’autista della ditta che curò il trasporto della merce deducono sostanzialmente questioni di merito, sollecitando una rivisitazione,
esorbitante dai compiti del giudice di legittimità, della valutazione del materiale
probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione
coerente ai dati probatori richiamati (tra i quali, le dichiarazioni di Grandi circa la
partecipazione dell’imputato alla fase decisiva del raggiungimento degli accordi
per la fornitura della merce) ed immune da vizi logici (avuto riguardo, in
particolare, al rilievo che la responsabilità di Tartamella non può essere esclusa
dall’intervento di altri nella fase successiva della consegna delle merce).

5. Il quinto motivo non è fondato. Il denunciato vizio di motivazione in
relazione alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta distrattiva e lo
stato di insolvenza di Gemox e alla prova del dolo in ordine al capo di
imputazione n. 1) fa leva su un orientamento del tutto isolato nella
giurisprudenza di questa Corte, che anche successivamente alla pronuncia
richiamata dal ricorso ha ribadito il consolidato indirizzo secondo cui, per un
verso, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il
successivo fallimento (Sez. 5, n. 7545 del 25/10/2012 – dep. 15/02/2013,
Lanciotti, Rv. 254634; conf.: Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012 – dep. 07/01/2013,
Sistro, Rv. 254061) e, per altro verso, il delitto di bancarotta fraudolenta per
distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza non è
necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza
dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez.
5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep. 22/01/2013, Rossetto e altri, Rv. 253932).

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truffa in danno di Irce s.p.a. operata concordemente dai giudici di merito, le

6. Il sesto motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Quanto al diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche la
sentenza impugnata ha confermato la statuizione del giudice di primo grado in
considerazione, da un lato, della pluralità dei fatti commessi e, dall’altro, dei
precedenti dell’imputato: mentre il primo argomento è del tutto obliterato dal
ricorrente, il secondo è censurato richiamando la lontananza nel tempo dei
precedenti, il comportamento processuale dell’imputato e la contraddittorietà
della motivazione rispetto all’esclusione della recidiva. Le censure indicate sono

ex se l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, tanto che la stessa
riabilitazione non preclude la valutazione dei precedenti ai fini del trattamento
sanzionatorio (Sez. 6, n. 16250 del 12/03/2013 – dep. 09/04/2013, Schirinzi,
Rv. 256186); non sussiste la lamentata contraddittorietà, in quanto la recidiva è
stata esclusa per il perfezionamento dell’effetto estintivo di cui all’art. 445,
comma 2, cod. pen., laddove tale effetto non preclude la valutazione dei
precedenti ai fini delle valutazioni ex art. 62 bis cod. pen., in quanto, a tali fini, il
giudice può tener conto dei reati estinti (Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013 – dep.
24/09/2013, Paderni, Rv. 257200); quanto al comportamento processuale, nel
motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario
che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a
quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti
gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 – dep. 23/09/2010,
Giovane e altri, Rv. 248244). Del pari manifestamente infondate sono le ulteriori
censure: la violazione più grave è univocamente individuata nel reato di cui al
capo 1), rispetto al quale la sentenza di secondo grado ha accolto la richiesta
dell’appellante di riduzione della pena base irrogata dal primo giudice; quanto
alle pene disposte per i reati satelliti, la Corte di merito ha congruamente dato
atto della proporzionalità di quelle stabilite dalla sentenza di primo grado rispetto
alla indubbia gravità dei reati commessi.

7. Il settimo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. La
sentenza di primo grado ha disposto la confisca dell’autovettura Mercedes – non
in quanto cosa servita o destinata a commettere il reato, bensì – in quanto
provento del reato, nozione, questa, che la giurisprudenza di legittimità ritiene
riconducibile alla previsione normativa della confisca delle cose che siano “il
prodotto o il profitto del reato” contenuta nel primo comma dell’art. 240 cod.
pen. (Sez. U, n. 1811 del 15/12/1992 – dep. 24/02/1993, Bissoli, Rv. 192493),
mentre la sentenza di appello non ha affrontato il tema in quanto investita

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manifestamente infondate: la distanza temporale dei precedenti non comporta

dell’impugnazione della statuizione in esame sotto un diverso profilo: pertanto
sono manifestamente infondate le censure del ricorrente incentrate sulla
prospettata insussistenza del rapporto di strumentalità tra il bene oggetto di
confisca e i reati contestati e sul vizio di motivazione della sentenza impugnata.

8. L’ottavo motivo non è fondato. La tesi sostenuta dal ricorrente non è in
linea con il consolidato orientamento, condiviso dal Collegio, della giurisprudenza
di legittimità: infatti, «plurime e conformi decisioni di questa Corte hanno

della I. n. 244 del 2007, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca “per
equivalente”, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il
profitto del reato posto che l’integrale rinvio alle “disposizioni di cui all’articolo
322 ter del codice penale”, contenuto nell’art. 1, comma 143, della legge n. 244
predetta, consente di affermare che, con riferimento appunto a detti reati, trova
applicazione non solo il primo ma anche il secondo comma della norma
codicistica» (Sez. 3, n. 23108 del 23/04/2013 – dep. 29/05/2013, Nacci, Rv.
255446; conformi: Sez. 3, n. 25890 del 26/05/2010 – dep. 07/07/2010, Molon,
Rv. 248058; Sez. 3, n. 35807 del 07/07/2010 – dep. 06/10/2010, Bellonzi e
altri, Rv. 248618; Sez. 3, n. 1199 del 02/12/2011 – dep. 16/01/2012, Galiffo,
Rv. 251893). Il «rinvio all’art. 322 ter nella sua integralità» (Sez. 3, n. 23108 del
23/04/2013 – dep. 29/05/2013, Nacci, cit.) offre alla fattispecie in esame una
base legale idonea ad escludere la violazione del divieto di analogia in malam
partem evocata dal ricorrente.

9. Il nono motivo, attinente alla confisca dei beni intestati a terzi e ritenuti
dai giudici di merito nella disponibilità di Tartamella, è inammissibile per carenza
di interesse all’impugnazione. Come è stato autorevolmente affermato dalle
Sezioni unite di questa Corte, nel sistema processuale penale, la nozione di
interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza – a
differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo
contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma
va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità
negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di
svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella,
positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa
rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il
sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011 – dep. 17/02/2012, Marinaj,
Rv. 251693). Alla luce del parametro indicato, non può ravvisarsi un legittimo
interesse all’impugnazione sotteso al ricorso in esame. Infatti, fermo restando

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statuito che, con riguardo ai reati tributari considerati dall’art. 1, comma 143,

che il provvedimento di confisca della cosa sequestrata, contenuto nella sentenza
di condanna o di proscioglimento, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno
partecipato al procedimento di cognizione, sicché i terzi che non abbiano rivestito
la qualità di parte nel processo in cui sia stata disposta la confisca sono
legittimati a far valere davanti al giudice dell’esecuzione i diritti vantati su un
bene confiscato con sentenza irrevocabile (Sez. 1, n. 3311 del 11/11/2011 – dep.
26/01/2012, Lonati e altri, Rv. 251845), la giurisprudenza di questa Corte ha
affermato, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, che è inammissibile,

avverso il decreto di confisca di un bene immobile ritenuto fittiziamente intestato
a terzi, in quanto, in tal caso, la legittimazione ad impugnare spetta al terzo
apparente intestatario (Sez. 5, n. 6208 del 21/10/2010 – dep. 18/02/2011,
Bifulco, Rv. 249499; conf.: Sez. 2, n. 17935 del 10/04/2014 – dep. 29/04/2014,
Tassone, Rv. 259258); tale orientamento è stato ribadito anche con specifico
riferimento alla confisca per equivalente (Sez. 1, n. 7347 del 30/02/2013 – dep.
24/03/2013, Ignizio).
Né in senso contrario può argomentarsi evocando, sulla scorta della
memoria del 15/07/2014, riflessi extrapenali (sul piano fiscale, nei rapporti
patrimoniali con il coniuge, sotto il profilo risarcitorio ed ereditario)
pregiudizievoli nei confronti dell’imputato che deriverebbero dall'”artificiale”
arricchimento del suo patrimonio conseguente alla confisca di beni appartenenti
a terzi: infatti, i riflessi extrapenali indicati dal ricorrente non presentano i
caratteri della concretezza e della attualità necessari per la sussistenza
dell’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 6203
del 11/05/1993 – dep. 23/06/1993, P.M. in proc. Amato, Rv. 193743); in
particolare, le situazioni dedotte dal ricorrente hanno carattere astratto ed
ipotetico, laddove l’interesse all’impugnazione deve essere concreto e, dunque,
mirare a rimuovere l’effettivo pregiudizio che la parte asserisce aver subito con il
provvedimento impugnato (Sez. U, n. 7 del 25/06/1997 – dep. 18/07/1997,
Chiappetta ed altro, Rv. 208166).

10. Il decimo e l’undicesimo motivo sono inammissibili. Alla considerazione
della sopravvenuta carenza di interesse connessa all’annullamento, segnalato
dalla difesa, del sequestro conservativo disposto dal Tribunale del riesame di
Brescia con ordinanza 11-13/06/2013, deve aggiungersi il rilievo che, secondo il
consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, avverso il
provvedimento con il quale viene adottata la misura del sequestro conservativo
non è ammissibile il ricorso diretto in cassazione (Sez. 6, n. 39010 del
10/04/2013 – dep. 20/09/2013, Baglivo e altri, Rv. 256597; conf.: Sez. 5, n.

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per difetto di interesse, il ricorso per cassazione proposto dal sorvegliato speciale

9759 del 10/02/2009 – dep. 03/03/2009, Bellezza e altro, Rv. 243015; Sez. 4, n.
8804 del 06/02/2009 – dep. 26/02/2009, Tacconi, Rv. 243707).

11.

Il dodicesimo motivo è inammissibile. Diversamente da quanto

evidenziato dalla memoria del 17/07/2014, il motivo non è stato dedotto
nell’atto di appello che, al paragrafo 1.4., evocava il giudizio di proporzionalità
con riguardo al valore attribuito ai beni confiscati, mentre nessuna censura,
neppure in via subordinata, era stata articolata con riguardo alla diversa

12. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 17/09/2014.

questione oggi prospettata con il ricorso, sicché la doglianza è inammissibile.

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