Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35468 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35468 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CELLA MASSIMILIANO N. IL 28/05/1981
avverso il decreto n. 1/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
14/05/2013
sentita la r1azione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. e
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Data Udienza: 09/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 14.5.2013 la Corte di appello di Roma confermava il
provvedimento reso dal Tribunale della stessa sede in ordine alle richieste di
aggravamento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale della
pubblica sicurezza applicata a Massimiliano Cella per la durata di anni uno e già
precedentemente aggravata con due provvedimenti per un ulteriore anno.
Riteneva infondata la dedotta nullità del decreto di primo grado, rilevando

applicata per complessivi due anni tenuto conto dei precedenti aggravamenti,
era stato instaurato regolare contraddittorio ed il sottoposto aveva potuto
articolare la propria difesa relativamente alle contestate violazioni. Rilevando,
però, che il tribunale – con il provvedimento del 29.10.2012 (dep. 30.10.2012) aveva corretto l’errore nella indicazione della durata complessiva della misura
all’esito dell’aggravamento senza rispettare le forme di cui all’art. 130 cod. proc.
pen., provvedeva alla correzione.
Nel merito, concordando con la valutazione del primo giudice, dava atto
delle ripetute violazioni delle prescrizioni, non avendo il Cella rispettato gli orari
imposti per ben dodici volte ed essendo stato sorpreso alla guida di un
motoveicolo nonostante la revoca della patente.

2. Avverso il decreto di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il
Cella, a mezzo del difensore di fiducia.
Denuncia, in primo luogo, la violazione di legge in ordine alla correzione
dell’errore nella indicazione della durata complessiva della misura di prevenzione
disposta dalla Corte di appello, lamentando che, disattendendo la dedotta
violazione dell’art. 546 cod. proc. pen., è stata negata la natura giurisdizionale
del procedimento di prevenzione e la natura sostanziale di sentenza del decreto
applicativo della misura.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge ed il vizio
di motivazione in relazione alla valutazione della sussistenza dei presupposti per
l’aggravamento della misura di prevenzione in assenza di elementi ulteriori
rispetto a quelli già valutati e in mancanza di compiuto apprezzamento della
dedotta incompatibilità degli orari di lavoro con quelli imposti con le prescrizioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.
1. Quanto al primo motivo, l’applicazione ai provvedimenti in materia di
misure di prevenzione della procedura di correzione dell’errore materiale,

2

che, in ordine alla richiesta di aggravamento della misura di prevenzione già

laddove ne siano rispettate forme e presupposti, non comporta evidentemente la
negazione della natura giurisdizionale del procedimento funzionale
all’applicazione (o nella specie all’aggravamento) della misura, né della natura
del decreto motivato con il quale il giudice provvede, costituendo quello di cui
all’art. 130 cod. proc. pen. rimedio generale per effettuare correzioni o superare
omissioni senza modificare il contenuto essenziale del provvedimento.
Nella specie, è incontestabile che l’errore in dispositivo nel quale era incorso
il tribunale nella indicazione della durata complessiva della misura di

appunto, di mero

lapsus calami

in ordine alla somma del precedente

aggravamento.
La Corte di appello, investita con il ricorso della ritualità di tale integrazionecorrezione, ha ritenuto che, sotto il profilo procedurale, il tribunale fosse incorso
nella violazione dell’art. 130 cod. proc. pen.; ma, rilevando la sussistenza dei
presupposti di legge, ha operato la correzione, stante il regolare contraddittorio
sul punto in seguito alla devoluzione conseguente al gravame.
Quanto all’astratta applicabilità dell’art. 546 cod. proc. pen. la Corte di
appello non ha in alcun modo negato la assimilabilità del provvedimento alla
sentenza, ma ha rilevato come nella specie dovessero escludersi cause di nullità
di cui all’art. 546 comma 3 cod. proc. pen.; valutazione corretta, posto che il
dispositivo del decreto emesso dal tribunale il 15.10.2012 e depositato il
22.10.2012 non mancava di alcun elemento essenziale recando soltanto un
calcolo errato della durata complessiva della misura di prevenzione.
2. Si palesa infondato, altresì, il motivo di ricorso relativo alla valutazione
dei presupposti dell’aggravamento.
Come è noto, la valutazione del giudice della prevenzione in ordine
all’aggravamento della originaria pericolosità, come quella operata in sede di
applicazione della misura di prevenzione, fonda su elementi di fatto dai quali si
possa desumere, tenuto conto delle oggettive condotte del proposto, la
manifestazione di ulteriore pericolosità sociale anche prescindendo dalla
commissione di fatti penalmente rilevanti. E’ espressamente previsto dall’art. 7
legge n. 1423 del 1956 (oggi art. 11 d.lgs. n. 159 del 2011) che il
provvedimento con il quale è stata applicata la misura di prevenzione può essere
modificato su richiesta dell’autorità proponente quando la persona sottoposta
abbia ripetutamente violato gli obblighi imposti con la misura.
Nel specie, i giudici di merito hanno compiutamente valutato le condotte del
ricorrente successive a quelle oggetto di precedenti provvedimenti esaminando
anche le deduzioni difensive volte a dimostrare che il mancato rispetto degli orari
imposti con le prescrizioni fosse giustificato dalla incompatibilità con gli orari di

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prevenzione, all’esito dell’ulteriore aggravamento, fosse emendabile trattandosi,

lavoro. La Corte di appello ha, infatti, evidenziato che il sottoposto avrebbe
dovuto rappresentare le esigenze lavorative all’autorità preposta al controllo.
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso, il 9 aprile 2014.

processuali.

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