Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35461 del 14/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35461 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Renata Accardi, quale difensore di Statella
Filippo (n. il 04/09/1975), avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta,
in data 25/10/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Mario
Fraticelli, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 14/05/2013

Con ordinanza del 27/09/2012, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Nicosia rigettò la richiesta della misura cautelare della custodia
in carcere per Statella Filippo, indagato per il reato di rapina aggravata in
concorso.
Avverso tale provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Nicosia propose appello. Il Tribunale di Caltanissetta, con
ordinanza del 25/10/2012, lo accolse; annullò, quindi, l’ordinanza del G.I.P. di

Nicosia e dispose la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti
di Statella Filippo per il reato di rapina aggravata in concorso.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo la
mancanza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di rapina. Inoltre lamenta
la carenza di motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari, in
relazione al lungo periodo trascorso dalla commissione della rapina
(12.11.2008). Infine, il difensore dell’indagato si lamenta perchè il Tribunale
non ha fornito alcuna risposta al rilievo che eventualmente lo Statella poteva
rispondere del reato di favoreggiamento e non già di quello di rapina in
concorso.
Il difensore dell’indagato conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia —
come nel caso di specie – compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula
giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.

2

31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.
25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze sono
prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento
impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto

Tribunale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione,
evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato per il reato di cui sopra (esito intercettazioni; servizi di
o.c.p. e di localizzazione tramite sistema satellitare; incontro all’area di
servizio “Gelso Bianco” tra l’indagato e tal Privitera al quale lo Statella
consegna dei vestiti eguali a quelli usati da Argentino Francesco Giuseppe —
tratto in arresto per la rapina di cui si parla — per commettere la rapina di cui
si tratta; si veddno le pagine 2 e 3 dell’impugnata ordinanza).
A fronte di ciò la difesa del ricorrente contrappone solo generiche
contestazioni in fatto. In proposito questa Corte ha più volte affermato il
principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile il ricorso per cassazione
quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate
dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di
impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv
230634).
Per quanto riguarda, poi, la doglianza relativa alla motivazione sulla
sussistenza delle esigenze cautelari, si deve osservare che il Tribunale del
riesame ha correttamente valutato, per quanto riguarda il pericolo di cui
all’articolo 274 lettera C del c.p.p., il “tempo trascorso dalla commissione del
reato” (a norma dell’art. 292, comma primo, lett. c, cod. proc. pen.) ed ha
ritenuto — con motivazione incensurabile – che l’oggettiva gravità e modalità
di esecuzione dei fatti e la personalità dell’indagato – che ha in corso un
procedimento penale per gravi reati – fanno ritenere sussistente il pericolo di
reiterazione del reato nonostante il tempo trascorso dalla commissione del

di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti il

fatto per il quale si procede. A tutto ciò il difensore del ricorrente contrappone
solo che in relazione al procedimento penale in corso per gravi reati richiamato dal Tribunale – lo Statella è stato assolto dall’imputazione di cui
all’art. 416 bis del c.p. e che è stato condannato solo per estorsione tentata
con esclusione dell’aggravante dell’art. 7 L 203/1991. E’ evidente la
genericità di quanto sostenuto dal ricorrente. Infatti, si è addirittura arrivati ad

rafforza ulteriormente quanto osservato dal Tribunale – a pagina 3 – in ordine
al concreto pericolo di commissione di altri reati della stessa specie.
Sulla correttezza di tali considerazioni del Tribunale è sufficiente
richiamare il principio giuridico, più volte ribadito da questa Corte e condiviso
dal Collegio, che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del
reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra i quali
sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto, sicché non deve essere
considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere
valutate — come congruamente è stato operato nel caso di specie – situazioni
correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della
pericolosità dell’indagato. (Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. dep. 10/09/2007 – Rv. 237240).
Manifestamente infondata è, infine, la generica doglianza relativa
all’omessa motivazione in ordine alla eventuale sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in ordine al reato di favoreggiamento anziché a quello di rapina
(tra l’altro affermata apoditticamente nel ricorso senza fornire alcun elemento
probatorio sul quale si basa una tale richiesta). Si deve, infatti, evidenziare
che il Tribunale ha correttamente esposto tutte le ragioni per le quali ritiene
che l’indagato abbia commesso il reato di rapina ed è quindi evidente che
ogni altra qualificazione giuridica del fatto è stata esclusa. Si deve, in
proposito osservare, che il dovere di motivazione della sentenza è
adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale
delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo
necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed è
sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel
qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni

5z

una condanna per estorsione tentata a carico dell’imputato, circostanza che

difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata.
Si rileva, in proposito, che le valutazioni di merito sono insindacabili nel
giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di
specie (Sez. U, Sentenza n. 24 del 24/11/1999 Ud. – dep. 16/12/1999 – Rv.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod.
proc. penale.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende. Si
provveda a norma dell’art. 28 Reg. Esec. cod. proc. penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 14/05/2013.

214794).

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