Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35461 del 01/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35461 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIMODUGNO GIUSEPPE N. IL 27/12/1980
avverso l’ordinanza n. 219/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
20/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
Cftc,RA. emtb
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 01/04/2014

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Ancona, pronunciando in funzione di giudice
dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’istanza dì
rideterminazione della pena per effetto della continuazione, proposta da
Dimodugno Giuseppe, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., con riferimento a
sette sentenze di condanna, ivi compiutamente indicate, divenute esecutive nei
confronti dell’istante.

inammissibile quanto alla richiesta di unificazione dei fatti giudicati con le
sentenze n. 6, 3 e 4, essendo stata esclusa la continuazione dal giudice di
cognizione (Corte di Appello di Bologna) con decisione divenuta irrevocabile – ha
infatti ritenuto che non poteva ravvisarsi identità di disegno criminoso fra i reati,
seppure omogenei, oggetto dell’istanza (rapine presso istituti di credito ed
imputazioni connesse) in quanto tali episodi delittuosi si collocavano in un arco
temporale di circa sette anni, risultavano commessi con la complicità di soggetti
diversi ed in luoghi tra loro anche molto distanti, sicché il solo allegato stato di
tossicodipendenza non poteva costituire circostanza sufficiente per ritenere, in
assenza di ulteriori e specifici elementi dimostrativi, che i diversi reati commessi
dal Dimodugno risultavano aver formato oggetto di un’originaria unitaria
programmazione criminosa, dovendo ritenersi, semmai, che tale reiterazione
criminosa era inquadrabile “nelle manifestazioni di spiccata capacità criminale del
soggetto”.
2.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il

Dimodugno, per il tramite del suo difensore, deducendone l’illegittimità per
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale – sostanziale e
processuale – e per vizio di motivazione, evidenziando che mancava
nell’ordinanza un valido e logico supporto argomentativo circa le ragioni
dell’esclusione dell’identità del disegno criminoso tra plurimi reati della stessa
indole e commessi in un arco di tempo relativamente breve gli uni dagli altri,
tenuto conto, in particolare, che da parte dei giudici della cognizione era stata
già ritenuta la continuazione tra alcuni di essi, e che l’istanza, poteva trovare
accoglimento, in via subordinata, con riferimento alle rapine oggetto delle
sentenze sub n. 6 e 7 (commesse a distanza di soli dodici giorni).

Considerato in diritto

1. L’impugnazione, è fondata e merita accoglimento, nei limiti indicati in
prosieguo.

cal/z-

1.1 Il giudice dell’esecuzione – oltre a rilevare che l’istanza doveva ritenersi

Premesso, infatti, che l’art. 671 cod. proc. pen. attribuisce al giudice il
potere di applicare “in executivis” l’istituto della continuazione e di rideterminare
le pene inflitte per i reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili,
secondo i criteri dettati dall’art. 81 cod. pen., e che tra gli indici rivelatori
dell’identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza
cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene
protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di
luogo, nel senso che anche attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti

riconoscimento o del diniego del vincolo in questione – il giudice deve accertare
se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni
(Cass., Sez. 1, 20 aprile 2000, n. 01587, rv. 215937), dalla motivazione
dell’ordinanza impugnata non emerge che il giudice dell’esecuzione abbia
proceduto ad un’approfondita e completa disamina di tali elementi, giacché, se
deve rilevarsi che per i fatti oggetto delle sentenze 6 – 3 e 4 sussiste la
preclusione rappresentata dalla decisione della Corte di Appello di Bologna e che
i fatti di cui alle sentenze 1 e 2 risultano già unificati tra loro e con quelli di cui
alla sentenza n. 5 commessi a distanza di soli dieci mesi, il mani accoglimento
dell’istanza con riferimento ai fatti oggetto delle sentenze emesse 1’8/1/2010
dalla Corte di Appello di Torino ed il 7/5/2010 dalla Corte di Appello di Bologna
non risulta sufficientemente motivato, risolvendosi l’apparato argomentativo
svoltosi sul punto, in affermazioni apodittiche che non illustrano, in particolare, le
effettive ragioni per cui la commissione di tali reati, tra loro omogenei e
commessi da soggetto tossicodipendente, deve ritenersi indicativa soltanto di di
spiccata capacità criminale del soggetto, senza in alcun modo apprezzare, in
particolare, come a ragione dedotto dal ricorrente, il dato che già in alcune delle
sentenze indicate nell’istanza vi era stato il riconoscimento della continuazione,
con riferimento ad alcuni dei reati contestati, elemento questo da ritenersi
certamente non irrilevante e immeritevole di valutazione, tenuto conto che la
possibilità di applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva ha
carattere sussidiario e suppletivo rispetto alla sede di cognizione, stante il
carattere più completo dell’accertamento e la mancanza dei limiti imposti
dall’art. 671 c.p.p. (in tal senso Sez. 6, sent. n. 225 dell’8 maggio 2000, ric. RG.
in proc. Mastrangelo e altri, riv. 216142).
1.1 Il giudice dell’esecuzione, inoltre, non sembra considerare, che in tema
di continuazione, come questa Corte ha già avuto occasione di precisare,
«l’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della spinta a
delinquere, e la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi,
singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di una
programmazione e deliberazione unitaria, e, però, ciascuno di questi fattori,

indici – purché siano pregnanti e idonei ad essere privilegiati in direzione del

aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento dell’esistenza di
un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente
all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli» (Sez. 1, n. 12905 del
17/03/2010 – dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838)
2. In presenza di tali rilevanti lacune motivazionali, il provvedimento
impugnato va quindi annullato con rinvio, per nuovo esame dell’istanza.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al punto concernente la
prospettata continuazione tra i fatti oggetto delle sentenze emesse 1’8/1/2010
dalla Corte di Appello di Torino ed il 7/5/2010 dalla Corte di Appello di Bologna e
rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2014.

P.Q.M.

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