Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35459 del 01/04/2014
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35459 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COSTANZO LUIGI N. IL 28/04/1966
avverso l’ordinanza n. 6/2012 CORTE ASSISE di SANTA MARIA
CAPUA VETERE, del 17/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
letta/sentite le conclusioni del PG Dott. Q.0.4,-Ge,
rt52, 9,12.-Cf o ,c,W2_ <1..< c,0 2J-0 Uditi difensor Avv.; Data Udienza: 01/04/2014 Ritenuto in fatto
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di Assise di Santa Maria
Capua Vetere, deliberando in funzione di giudice dell'esecuzione rigettava
l'istanza dell'odierno ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento in executivis
del vincolo della continuazione, ex artt. 81 cpv. cod. pen. e 671 cod. proc. pen.,
tra tutti i reati di cui alle sentenze definitive di condanna ivi indicate.
Rilevava invero detto giudice come, alla stregua della consolidata
giurisprudenza in materia, non fosse possibile ravvisare elementi da cui disegno criminoso, trattandosi piuttosto di esplicazioni di estemporanee spinte
criminose.
I fatti (tentato omicidio; omicidi) seppure omogenei e maturati nell'ambito
del medesimo contesto camorristico, risultavano distanti quanto agli essenziali
parametri temporali.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto condannato che motivava l'impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di
motivazione, così in sintesi argomentando :
- era stata incongruamente sottovalutata l'omogeneità dei fatti, trattandosi
di reati tutti aggressivi di uno stesso bene giuridico;
- le condotte criminose erano analoghe nelle loro modalità di commissione;
- vi era identità di contesto;
- i reati erano espressione della coeva partecipazione ad un'associazione
criminosa organizzata. Considerato in diritto
1. Il ricorso, infondato in tutte le sue deduzioni, deve essere rigettato con
ogni dovuta conseguenza di legge.
2. Occorre invero rilevare l'infondatezza dell'impugnazione nel merito, posti i
consolidati principi giurisprudenziali ai quali il provvedimento impugnato si è del
tutto correttamente attenuto.
La continuazione, che si sostanzia di un elemento intellettivo (preventivo
disegno complessivo) ed uno volitivo (concreta esecuzione), può essere
riconosciuta in base ad una serie di elementi sintomatici desumibili dalle
sentenze di condanna che, se non prodotte dalla parte, devono essere acquisite
d'ufficio (art. 186 disp. att. al cod. proc. pen.).
Va dapprima rilevato, però, come il medesimo disegno criminoso debba
consistere in una preventiva ideazione generale, nel senso che necessariamente
abbracci tutti i reati che di quella iniziale ideazione siano poi esecutivi, ma non
generica, nel senso che i singoli fatti devono essere sufficientemente prefigurati desumere che i vari fatti fossero esecutivi di un medesimo e dunque preventivo nella loro specificità, e cioè programmati almeno nelle loro linee essenziali,
altrimenti non può rilevarsi altro che una soggettiva tendenza a delinquere,
anche se focalizzata in un determinato tipo di reati, ovvero esplicata con
analoghe modalità. Perciò l'istituto della continuazione, non va confuso con il
diverso concetto dell'attuazione di uno stile di vita dedita al delitto (cfr. Cass.
Pen. Sez. 2°, n. 18037 in data 07.04.2004, Rv. 229052, Tuzzeo; ecc.).
Va rilevato invero come l'evidente occasionalità di una condotta, generata da
eventi non prevedibili ab origine, si pone concettualmente agli antipodi dell'istituito della continuazione rettamente inteso e quindi ne impedisce il riconoscimento.
Quanto ai pur importanti parametri spazio-temporali, va ricordato come essi
di per sé costituiscano solo alcuni degli elementi valutativi che occorre prendere
in esame, dovendosi però rilevare come quanto più gli stessi si dilatano (nel caso
in esame oltre due anni), tanto più è difficile ipotizzare un iniziale unitario piano
criminoso che comprenda anche fatti proiettati in un lontano futuro o collocati ad
una distanza tale da non consentire il preventivo controllo delle varie componenti
della condotta criminosa.
Quanto poi alla prospettata omogeneità delle azioni che è in sé caratteristica
troppo generica, perché comune anche a fatti consimili ma occasionali, ovvero
troppo distanti tra loro, e quindi necessita di essere corroborata da dati più
specifici e convergenti, nella fattispecie non rinvenibili.
In particolare, relativamente allo specifico tema della continuazione tra reato
associativo e reati fine ovvero tra questi ultimi tra loro, la giurisprudenza di
questa Core di legittimità è consolidata nell'affermare che non vi è astratta
incompatibilità, ma neppure automaticità, nel senso che spetta al giudice
valutare, in base a tutti i dati disponibili evincibili dalle sentenze di condanna, se,
nel caso concreto, il reato fine sia stato preventivamente ideato e voluto, con
l'anzidetta specificità, già al momento dell'inizio dell'attività associativa ovvero
dell'ingresso del soggetto nella cosca (cfr. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 8451 in data
21.01.2009, Rv. 243199, Vitale; ecc.) ovvero che tutti i reati fine siano sorretti
da una preventiva e unitaria progettazione, dovendosi così escludere dal vincolo
quei fatti che, come nel caso di specie, trovano la loro causale nell'insorgenza,
non prevista né prevedibile ab origine, di sopravvenuti ostacoli all'operatività
dell'associazione stessa ovvero alla esecuzione di alcuni di essi; la strumentalità
di un reato non va invero confusa con l'identità di un previo, unitario, disegno
criminoso (così Cass. Pen. Sez. 1°, n. 13609 in data 22.03.2011, Rv. 249930,
Bosti). 3. In definitiva il ricorso, infondato nelle sue prospettazioni, con le quali si
richiede, sostanzialmente, una nuova e diversa valutazione delle risultanze 2 processuali, rispetto a quella, logica e coerente, fornita dal giudice di merito
deve essere rigettato. 4. Al rigetto dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processua lì .
P.Q.M. processuali.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2014. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese