Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35456 del 21/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35456 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIGLIA SEBASTIANO N. IL 09/11/1963
avverso l’ordinanza n. 909/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di REGGIO
CALABRIA, del 24/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. e z , 3 c 44 t,/ é V E-Lei , cL Go_ c12-ec›t-e 0, let U VIA
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 21/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 24.7.2013 (dep. 29.7.2013), il Tribunale di Sorveglianza
di Reggio Calabria, per quel che qui rileva, rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio
sociale presentata nell’interesse di GIGLIA Sebastiano, in relazione all’espiazione della pena
detentiva di un anno e sei mesi di reclusione, di cui al provvedimento di cumulo emesso il
6.8.2012 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria,

con detrazione di tre anni di indulto.
Secondo il Tribunale, nonostante le positive note desumibili dagli atti acquisiti
(segnatamente, la vetustà dei fatti per oggetto del titolo in esecuzione, risalenti agli anni ’90),
la gravità dei reati che avevano contraddistinto la biografia del prevenuto e il suo recente
coinvolgimento in fatti commessi in un contesto di natura associativa imponevano il rigetto
della richiesta di concessione della più ampia misura alternativa, “per la minore portata delle
restrizioni e dei controlli a contribuire alla rieducazione del reo ed alla prevenzione del pericolo
di commissione di ulteriori reati”.
2. Ha proposto ricorso per cassazione GIGLIA Sebastiano per il ministero del suo
difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge per omessa comunicazione della
data di rinvio dell’udienza camerale del 10.7.2013 al difensore, che, pur aderendo
all’astensione dalle udienze, aveva congiuntamente dedotto sopravvenuto legittimo
impedimento a comparire, costituito da concomitante impegno professionale da assolvere
davanti al Tribunale del riesame di Milano in favore di detenuto agli arresti domiciliari.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia violazione di legge con riferimento all’art. 47 Ord.
Pen. per avere il Tribunale di Sorveglianza disatteso le indicazioni positive provenienti dalla
relazione dell’U.E.P.E. senza fornire adeguata motivazione.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha
concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata in relazione al secondo motivo
di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, di carattere procedurale, è infondato.
1.1. È noto che l’art. 678, comma 1, cod. proc. pen., mediante il rinvio all’art. 666 cod.
proc. pen., prevede in via generalizzata quale modello procedimentale, per le materie di
rispettiva competenza del Tribunale e del Magistrato di Sorveglianza, quello dell’udienza
camerale partecipata; la disposizione dell’art. 666, comma 3, cod. proc. pen., infatti, stabilisce
che la trattazione del procedimento avvenga in camera di consiglio con la partecipazione delle
parti e, analogamente a quanto si verifica in tutti i casi nei quali il legislatore, nel prescrivere
1

che aveva determinato la pena complessiva espianda in quattro anni e sei mesi di reclusione,

che si proceda “in camera di consiglio”, senza aggiungere una regolamentazione specifica,
ometta di richiamare testualmente le prescrizioni dell’art. 127 cod. proc. pen., il procedimento
e le formalità stabilite da detta norma sono applicabili “per relationem”.
1.2. Ciò posto, dalla natura camerale partecipata del giudizio discende l’inapplicabilità
della disciplina di cui agli artt. 484 cod. proc. pen., comma 2-bis, e 420-ter cod. proc. pen.,
comma 5, così come introdotti dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, secondo le quali, a fronte di
legittimo impedimento del difensore, prontamente comunicato e documentato, il procedimento

estensibile ai giudizi di appello, di cassazione, di revisione ed al procedimento minorile in forza
dei richiami disposti da specifiche norme.
Per contro, in mancanza di una esplicita disposizione legislativa che operi analogo
richiamo per il procedimento in camera di consiglio e soprattutto per quello di sorveglianza,
così come per quelli di esecuzione e di applicazione di misure di prevenzione, tutti sottoposti
alla regolamentazione degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., la richiesta di differimento
dell’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza per concomitante impegno professionale o per
adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze non impone il rinvio ad altra
udienza, atteso che non è prescritta a pena di nullità la presenza del difensore, sentito soltanto
se comparso e comunque sostituibile mediante un patrocinatore, designato d’ufficio tra quelli
prontamente reperibili.
È dunque sufficiente per la corretta instaurazione del contraddittorio che l’istante ed il
suo legale abbiano ricevuto notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, mentre
l’eventuale assenza del difensore non assume rilievo pregiudizievole per la validità degli atti
processuali compiuti.
In tal senso si è espresso autorevole orientamento, cui si ritiene di dover aderire, delle
Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia n. 31461 del 27/6/2006, Passamani, rv. 234146
(in senso conforme, tra le tante, Sez. 1, n. 5722 del 20/12/2013, dep. 5/2/2013, Morano, Rv.
254807; Sez. 6, n. 14396 del 19/2/2009, PO in proc. Leoni, Rv. 243263).
Deve, pertanto, rilevarsi, che l’omessa considerazione da parte del Tribunale di
Sorveglianza del legittimo impedimento a comparire all’udienza del 10.7.2013 per
concomitante impegno professionale è coerente con l’insegnamento giurisprudenziale ora
richiamato, mentre costituisce espressione di eccesso di zelo il disposto rinvio all’udienza del
24.7.2013 per l’adesione del difensore all’astensione dalle udienze, che, per quanto affermato
dallo stesso legale, era stata “superata”, quale motivo di rinvio, dal sopravvenuto
concomitante impegno professionale a difesa di un detenuto agli arresti domiciliari.
2. E’, invece, fondato il secondo motivo di ricorso.
Deve premettersi che l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art 47
Ord. Pen. rappresenta una misura alternativa alla detenzione, prevista nel caso di pena da
scontare non superiore a tre anni, intesa a contribuire alla rieducazione del reo, assicurando

2

va sospeso o rinviato, disciplina che è prevista per il solo giudizio di cognizione di primo grado,

contemporaneamente la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati (Corte cost., 5
dicembre 1997, n. 377).
In relazione alla peculiare finalità dell’affidamento, la giurisprudenza di questa Corte è
uniformemente orientata nel senso che, ai fini della concessione della misura, non possono, di
per sé soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per
cui è intervenuta condanna e i precedenti penali, né può richiedersi, in positivo, la prova che il
soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente

stato almeno avviato (Sez. 1, 6 febbraio 1996, Tron; Sez. 1, 19 novembre 1995, Fiorentino).
In particolare, è stato chiarito che, per il giudizio prognostico favorevole, la natura e la
gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione deve costituire, unitamente ai
precedenti (Sez. 1, 4 marzo 1999, Danieli), alle pendenze e alle informazioni di P.S. (Sez. 1,
11 marzo 1997, Caputi), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui
compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere, tuttavia, dalla condotta tenuta
successivamente dal condannato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali
ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della
prevenzione del pericolo di recidiva (Sez. 1, 13 dicembre 1996, Occhipinti; Sez. 1, 5 febbraio
1998, Cusani; Sez. 1, 12 marzo 1998, Fatale; Sez. 1, 15 novembre 2001, Chifari; Sez. 1, 9
luglio 2009, Gobbo).
Dai principi testé indicati deve inferirsi che la motivazione dell’ordinanza impugnata
risulta inadeguata e non rispondente alle linee della legge penitenziaria, in quanto nel giudizio
sintetico finale ha avuto un ruolo assorbente e preponderante il riferimento alla “gravità dei
reati che si evincono dalla biografia giudiziaria del prevenuto e il suo coinvolgimento in un
procedimento penale per fatti commessi in un contesto di natura associativa.. .fino ad epoca
recente”, mentre manca del tutto il richiamo al contenuto della relazione dell’U.E.P.E. di
Milano, che, “in ragione della stabilità lavorativa e sociale conseguita” dal GIGLIA , aveva
giudicato idonea la misura dell’affidamento in prova “a consolidare la situazione esistente”.
In proposito risultano puntuali e corrette le osservazioni contenute nella requisitoria
scritta del Procuratore Generale presso questa Corte, che, nel chiedere l’annullamento con
rinvio dell’ordinanza, ha precisato che il Tribunale di sorveglianza non ha adeguatamente
motivato il proprio dissenso dalla relazione di sintesi nella quale è espressa una valutazione
prognostica favorevole all’accoglimento dell’istanza.
Pertanto, gli accertati vizi logici e giuridici giustificano l’annullamento dell’ordinanza con
rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria, che dovrà nuovamente deliberare sulle
richieste di misura alternativa adeguandosi ai principi sopra richiamati.

P.Q.M.

3

che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga che un siffatto processo critico sia

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di
Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il 21-22 marzo 2014

ensore

Il Consig

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