Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35454 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35454 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CACCIAPUOTI BARTOLOMEO N. IL 23/06/1973
avverso l’ordinanza n. 5728/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
23/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
ltEga/sentite le conclusioni del PG Dott. cu-kiLe_Q-L..
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Data Udienza: 18/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 23.7.2013, il Tribunale del Riesame di Napoli annullava l’ordinanza
emessa dal G.I.P. della stessa sede il 31.5.2013 nei confronti di CACCIAPUOTI Bartolomeo
relativamente ai reati di cui ai capi 8), 21) (limitatamente all’ipotesi di riciclaggio), 39), 40),
47) e 49), confermando il provvedimento in relazione ai capi 10) (concorrenza sleale
aggravata), 13) (i.c.s.), 17) (estorsione aggravata), 21) (limitatamente ai reati diversi dal

1.1.

Richiamati integralmente, quanto alla ricostruzione in fatto e alle vicende

dell’organizzazione criminale del “clan dei casalesi”, l’ordinanza impugnata e i provvedimenti
giudiziari allegati, il Tribunale del riesame rilevava che oggetto dell’indagine culminata nel
provvedimento cautelare in contestazione era l’analisi dei reticoli del clan nel settore
remunerativo e in continua crescita costituito dal gioco e delle scommesse.
Secondo la ricostruzione accusatoria, già dal 2004 i casalesi avevano iniziato a creare
numerosi locali nella terra modenese e in tutta la regione emiliana.
L’indagine attuale si occupava di un contesto temporale che giungeva al 2007/2008 con
riguardo al settore del gioco legato alle c.d. macchinette e ad epoche più recenti con
riferimento al settore delle scommesse legate al “bingo” e similari.
1.2. Quanto alla partecipazione del CACCIAPUOTI al predetto clan, e in particolare al
gruppo degli SCHIAVONE, il Collegio richiamava le emergenze investigative evidenziate
nell’ordinanza cautelare dell’8.6.2010, nonché nella sentenza emessa in data 16.12.2011 dal
G.U.P. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, prodotte dalla stessa difesa, nonché le
dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia AMODIO Pietro, CARRINO Anna, VINCIGUERRA
Antonio, DI CATERINO Emilio, PICCOLO Raffaele, LAISO Salvatore, DELLA CORTE Francesco,
che delineavano i contorni della figura del CACCIAPUOTI quale autista, factotum e braccio
destro di SCHIAVONE Nicola, referente per conto di quest’ultimo nella zona di Aversa e S.
Maria Capua Vetere, da sempre intraneo al “clan dei casalesi” e alla fazione degli SCHIAVONE,
e particolarmente dedito sia all’attività di riciclaggio e reinvestimento dei capitali illecitamente
prodotti dall’organizzazione, sia all’attività estorsiva finalizzata alla produzione a sua volta di
profitti illeciti: dichiarazioni che trovavano pronto riscontro in altre emergenze investigative e
nella storia criminale dell’indagato, rilevabile dalla scheda personale in atti.
1.2.1. Quale attività collaterale a quella di riciclaggio e reinvestimento di capitali illeciti
esercitata da SCHIAVONE Nicola e dai suoi più fidati luogotenenti tra i quali il CACCIAPUOTI
per il clan, le indagini avevano consentito di individuare un’organizzazione stabile e articolata
dedita al ramo dei giochi e delle scommesse e al reimpiego, nello specifico settore, dei proventi
illeciti del sodalizio, contestata al capo 51) della rubrica incolpativa.
Si trattava di un’organizzazione criminale diversa dal clan dei casalesi, ma che tuttavia
ne sfruttava il nome, le potenzialità intimidatorie e, in generale, la forza soggiogatrice che

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riciclaggio, ossia falsi e truffa aggravata) e 51) (art. 416 aggravato dall’art. 7 L. n. 203/91).

teneva sotto scacco le popolazioni dei territori interessati, al fine di imporre, in maniera
pressoché esclusiva, il marchio “Betting” sul tessuto economico d’area.
Come già sottolineato dal primo Giudice, la complessità della struttura, le dimensioni
delle risorse umane e strumentali impiegate, la diversificazione delle realtà geografiche
coinvolte nell’operazione, consentivano certamente di ritenere sussistenti tutti i requisiti
dell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p., aggravata dall’art. 7 L. n. 203/91, per
l’appartenenza del promotore e dei suoi affiliati (SCHIAVONE e i suoi luogotenenti)

metodo descritto; associazione che si distingueva da quella prevista e punita dall’art. 416 bis
c.p. contestata al capo 1) per una parziale differenza nella composizione soggettiva e per la
limitatezza dell’oggetto sociale.
Quanto alla partecipazione del CACCIAPUOTI al sodalizio di cui al capo 51), i gravi indizi
di colpevolezza emergevano, oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che lo
indicavano come braccio destro e factotum di SCHIAVONE Nicola, anche dal contenuto di
intercettazioni telefoniche, nonché dagli esiti dell’attività investigativa compendiata nella
scheda personale in atti; in generale, dalle risultanze investigative valorizzate in relazione alle
altre fattispecie di reato ascritte all’indagato.
1.2.2. Quanto ai reati di cui ai capi 10) (513 bis c.p.), 13) (513 bis c.p.) e 17) (629
c.p.), fondavano i gravi indizi di colpevolezza i risultati delle attività di intercettazione
telefonica, nonché dell’intercettazione ambientale realizzata all’interno dell’autovettura Renault
“Clio” targata CS656PY, in uso al CACCIAPUOTI, e i servizi di osservazione posti in essere dalla
P.G..
Le indagini avevano permesso di accertare, in particolare, che il clan SCHIAVONE aveva
tratto ingenti profitti da un’intesa criminale realizzata con una delle società concessionarie dello
Stato per la raccolta delle scommesse sportive, la “Betting 2000 s.r.l.”, riuscendo, al
contempo, a favorire un allargamento commerciale della stessa società tramite il controllo dei
propri territori di competenza, in un ambiente privato dei concorrenti, e a metterla nelle
condizioni di poter operare attraverso una rete capillare di “punti di commercializzazione”,
speso trasformati in punti di raccolta illegale delle scommesse nell’interesse del clan.
Le indagini avevano svelato l’intensa attività pianificatoria posta in essere dallo
SCHIAVONE, con distribuzione di ruoli a ciascun associato ed una periodica rendicontazione,
per versare nelle casse del clan gli ingenti guadagni che scaturivano dal controllo del settore
delle scommesse sportive.
Il ruolo svolto dal CACCIAPUOTI era quello di contattare i diversi associati, così
fungendo una importante funzione di collegamento con il capo clan, nonché quello di
raccogliere i proventi dell’attività esercitata dalle bische clandestine diffuse sul territorio e
versarle nelle casse del gruppo.
Con particolare riferimento alla vicenda relativa all’imprenditore DI PUORTO Salvatore di
cui al capo 17) ed al suo tentativo di disattendere le direttive del clan affidandosi per lo
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all’associazione camorristica denominata “clan dei casalesi”, nonché per l’utilizzazione del

svolgimento dell’attività in parola a società concorrente della “Betting 2000” (“Bet Shop”), i
gravi indizi emergevano dalla conversazione del 24.2.2006 ore 15.04 tra CACCIAPUOTI
Bartolomeo e BIANCO Massimo.
Intercettazioni e accertamenti bancari fondavano la provvista indiziaria per i reati di cui
al capo 21), riguardo ai quali il Tribunale del Riesame rinviava alla parte dell’ordinanza
cautelare in cui si dava atto che il CACCIAPUOTI figurava quale intestatario di fatto del c/c
8844/35 acceso presso la filiale di Casal di Principe del Banco di Napoli il 2.2.2005 ed estinto il

riportante la sua fotografia ma con dati anagrafici appartenenti a tale Cacciapuoti Bartolo nato
il 25.8.75, rivelatosi persona inesistente.
1.3. Quanto alle esigenze cautelari, la gravità dei fatti investigati ed il contesto di
criminalità organizzata in cui erano maturati imponevano, secondo i Giudici del riesame, la
misura della custodia in carcere.
Nella specie, mancavano elementi positivi capaci di superare la presunzione di
pericolosità sociale di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p..
2. Ha proposto ricorso per cassazione CACCIAPUOTI Bartolomeo per il tramite del suo
difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo, deduce nullità dell’ordinanza per vizio di motivazione e
violazione di legge ex art. 649 c.p.p. in relazione al capo 51).
Si contesta la distinzione operata dal Tribunale tra l’associazione denominata “clan dei
casalesi”, per l’appartenenza alla quale il CACCIAPUOTI era stato già condannato nel 2011, e
l’associazione contestata al capo 51), distinzione fondata sulla diversità della componente
soggettiva e sulla limitatezza dell’oggetto sociale.
Secondo il difensore del ricorrente, non era la mancata contestazione che poteva
differenziare dal punto di vista soggettivo i due reati; essa poteva solo significare che, o alcuni
concorrevano unicamente nei reati specifici, o che, pur non avendo uno stabile legame con
l’associazione mafiosa, concorrevano con essa in casi particolari e con la loro condotta
specifica.
La limitatezza dell’oggetto costituiva, poi, una contraddizione in termini, in quanto
l’oggetto sociale limitato non poteva che rientrare nel più vasto programma criminoso
dell’associazione mafiosa.
Quest’ultima, come ascritta al CACCIAPUOTI, conteneva l’accusa specifica di cui all’art.
416 bis c.p. comma 6: dunque, assumeva il difensore, se si potesse giustificare la compatibilità
tra un’associazione minore nell’ambito dell’associazione maggiore, della quale la minore è “una
sottostante entità deputata alla cura dello specifico settore economico”, si arriverebbe
all’assurdo di contestare un’associazione per ogni settore specifico costituente oggetto del
programma criminoso.
L’incompatibilità tra le due associazioni, quindi l’indebita duplicazione dell’accusa e la
conseguente violazione dell’art. 649 c.p.p. si coglievano ancora di più nell’esame
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23.6.2006: per l’apertura del conto, l’indagato usò una carta di identità falsa in quanto

dell’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91, consistente nella strumentalizzazione
dell’assoggettamento omertoso della popolazione dei singoli territori da parte delle associazioni
criminali facenti parte del clan dei casalesi”.
Nell’associazione per delinquere come configurata dall’art. 416 bis c.p. è contestata la
condizione di assoggettamento ed omertà derivante dalla forza di intimidazione del vincolo
associativo.
Inoltre, le associazioni criminali partecipanti all’associazione “clan dei casalesi” non

fa parte a titolo personale, non esiste una partecipazione di una entità collettiva come un’altra
associazione; esistono, semmai, alleanze tra diverse associazioni, ma ciascuna rimane
autonoma nell’ambito della propria struttura organizzativa e del proprio territorio.
Erano, quindi, evidenti la violazione dell’art. 649 c.p.p. e la motivazione illogica sul
punto.
2.2. Con il secondo motivo, denuncia violazione di legge e carenza di motivazione in
relazione agli artt. 513 bis c.p. e 273 c.p.p. (episodio di concorrenza sleale di cui al capo 10):
videopoker forniti da De Magistris Alfonso).
Né la contestazione, né l’ordinanza cautelare, né quella del Tribunale del Riesame
indicavano le ditte contro le quali sarebbero stati dispiegati atti di concorrenza sleale.
Il Tribunale aveva trattato congiuntamente i capi 10), 13) e 17), non uscendo dalla
genericità e confondendo le condotte contestate in ciascun reato.
Quanto al capo 10), in particolare, non emergeva l’esistenza di concorrenti di De
Magistris Alfonso nella fornitura di videopoker, sicché non poteva sussistere il reato.
2.3. Con il terzo motivo, eccepisce violazione di legge e carenza di motivazione in
relazione agli artt. 513 bis c.p. e 273 c.p.p. (episodio di concorrenza sleale in favore di “Betting
2000” di cui al capo 13).
Il motivo sviluppa censure sovrapponibili a quelle del motivo precedente.
La motivazione, ancora una volta generica, non faceva riferimento ad altre società
concessionarie dello Stato per la raccolta delle scommesse penalizzate dalla “Betting 2000”.
Tra l’altro, suonava contraddittoria la contestazione di raccolta illegale di scommesse
tramite una società concessionaria.
2.4. Con il quarto motivo, si contestano violazione di legge e carenza di motivazione in
relazione agli artt. 513 bis e 629 c.p. con riferimento all’art. 273 c.p.p. (capo 17: estorsione in
danno di Di Puorto Salvatore).
I gravi indizi di colpevolezza non potevano prescindere dalla dichiarazione della
presunta parte lesa, non escussa, sui punti costitutivi del reato. A tale riguardo, la motivazione
mancava del tutto.
Mancavano, inoltre, indizi che consentissero di ritenere qualificabile come estorsione e
non come concorrenza sleale l’episodio in questione.

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esistono e sono anch’esse una contraddizione in termini: infatti, di una associazione mafiosa si

2.5. Con il quinto motivo, ci si duole dei vizi di violazione di legge e carenza di
motivazione in relazione agli artt. 640 c.p. e 273 c.p.p. (capo 21).
L’apertura di un c/c bancario, sia pure usando documenti falsi, produce un profitto, ma
non ingiusto in quanto il rapporto economico finanziario si sviluppa secondo criteri stabiliti
dall’istituto bancario erga omnes, quindi nessuna incidenza su tale rapporto provoca l’uso del
documento falso per l’apertura.
Il danno, d’altro canto, è inesistente, poiché il conto aperto produce soltanto vantaggi

assegni se non sono coperti di provvista.
Vi è totale mancanza di motivazione sulla sussistenza della truffa.

2.6. Con il sesto ed ultimo motivo, si lamenta il vizio di violazione di legge in relazione
all’applicazione dell’art. 7 L. n. 203/91 a tutti i reati contestati.
L’aggravante in parola è incompatibile con l’attribuzione dei reati specifici ad associati
ex art. 416 bis c.p., potendo essere contestata a chi non è partecipe dell’associazione, quindi a
chi può aver commesso il fatto o avvalendosi della forza di intimidazione o al fine di agevolare
l’associazione stessa.
Quando la condotta è parte del programma associativo nel quale rientra anzitutto il
metodo intimidatorio e in secondo luogo il reinvestimento in attività imprenditoriali, finanziarie
e commerciali, essa può essere colpita una sola volta in quanto condotta partecipativa del
reato di associazione mafiosa e non una seconda volta con la contestazione dell’aggravante di
cui all’art. 7.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al primo dei motivi dedotti, con il quale il difensore
ha agitato il tema della preclusione processuale di cui all’art. 649 c.p.p. in relazione a
precedente sentenza di condanna irrevocabile – menzionata dalla stessa ordinanza impugnata
a pag. 15 (sentenza del G.U.P. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere in data 16.12.2011) subìta dal CACCIAPUOTI per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. come appartenente al “clan dei
casalesi”, organizzazione rispetto alla quale quella contestata al medesimo indagato al capo
51) del provvedimento censurato ai sensi degli artt. 416 c.p. e 7 L. n. 203/91 non poteva
considerarsi entità diversa.
1.1. Ciò posto, va, preliminarmente, rammentato che, secondo il coystante
orientamento di questa Corte, ai fini della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”,
l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella
configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso
causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. Un., Sentenza n.
34655 del 28/6/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 231799; Sez. 4, Sentenza n. 15578 del
20/2/2006, Mele, Rv. 233959; Sez. 2, Sentenza n. 21035 del 18/4/2008, Agate e altri, Rv.
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all’istituto bancario, specie considerando che quest’ultimo mai provvede al pagamento di

240106; Sez. 2, Sentenza n. 26251 del 27/5/2010, Rapisarda e altri, Rv. 247849; Sez. 5,
Sentenza n. 28548 de111/7/2010, Carbognani, Rv. 247895; Sez. 4, Sentenza n. 4103 del
6/12/2012, dep. 25/1/2013, Guastella, Rv. 255078; Sez. 2, Sentenza n. 292 del 4/12/2013,
dep. 8/1/2014, Coccorullo, Rv. 257992).
1.2. Va, in secondo luogo, ricordato che, in tema di associazione per delinquere di tipo
mafioso, ai fini dell’individuazione di un sodalizio ex art. 416 bis cod. pen., sono determinanti
l’elemento personale (con la distribuzione gerarchica dei ruoli), le strutture organizzative e

diversità, ai fini della preclusione dell’art. 649 cod. proc. pen., delle compagini, sempre che
ciascuna sia dotata di autonomia decisionale ed operativa rispetto all’altra (fra molte, Sez. 5,
Sentenza n. 5143 del 21/12/2010, dep. 11/2/2011, Nicoscia, Rv. 249696; Sez. 6, Sentenza n.
25161 del 7/2/2008 P.M. in proc. Mucaj Rv. 240320).
Va, ancora, rilevato che l’identità della condotta di partecipazione ad una stessa
associazione criminale non può escludersi solo perché la varietà delle vicende dell’organismo
delinquenziale, accertate a stregua di successive emergenze, ne abbiano importato più
contestazioni.
Trattandosi di associazione di stampo mafioso, perciò, al fine di escludere l’identità dei
fatti ascritti a taluno in diversi provvedimenti, non rileva né il termine finale che si desume
dalla data di contestazione, né che l’organizzazione sia intanto mutata per il numero dei
componenti o che, in talun periodo, essa sia entrata in guerra con altre organizzazioni rivali, o
che il programma di controllo socio – economico si sia esteso a settori in origine non previsti,
salvo che vi sia ragione di ritenere una successione di diversi organismi, sia pure con lo stesso
nome sullo stesso territorio, o lo scioglimento dell’imputato dal precedente vincolo associativo,
con assunzione di un vincolo nuovo pur con le stesse persone (Sez. 6, Sentenza n. 12263
de1111/2/2004, Lanzino Rv. 228470; Sez. 5, Sentenza n. 4380 del 10/10/1997, Latella ed altri,
Rv. 208825).
1.3. I suesposti principi non sono stati correttamente applicati dal Giudice a quo.
Il Tribunale di Napoli, invero, nell’escludere che i sodalizi criminosi posti a confronto
presentassero una sostanziale identità strutturale, si è limitato a richiamare “una parziale
differenza nella composizione soggettiva” e la “limitatezza dell’oggetto sociale”, affidandosi a
una terminologia puramente assertiva e sostanzialmente contraddittoria con il precedente
passaggio motivazionale, in cui aveva dato atto – per come evidenziato nella stessa
formulazione letterale del capo 51) della rubrica – dell’appartenenza di almeno sette indagati
(SCHIAVONE Nicola classe 79, CACCIAPUOTI, DELA CORTE, SCHIAVONE Armando, IOVINE,
CIERVO e NOVIELLO) al “clan dei casalesi” e della elevata contestazione della circostanza
aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91, evocativa dell’utilizzo del metodo mafioso appunto
derivante dalla conclamata appartenenza a quel clan.
Non solo, nel delineare la diversità del sodalizio descritto al capo 51), il Collegio

de

libertate ha affermato che, in ogni caso, detto gruppo criminale sfruttava del clan dei casalesi
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logistiche, l’ambito territoriale e la tipologia dei reati-fine, tratti distintivi che indiziano la

”il nome, la potenzialità intimidatrice ed in generale la forza soggiogatrice che teneva sotto
scacco le popolazioni dei territori interessati”.
Nessun riferimento è stato operato, quanto alla composizione soggettiva, alla genesi del
secondo fenomeno associativo, né è stato spiegato, quanto alla “limitatezza dell’oggetto
sociale”, per quale ragione tale ambito di operatività non poteva considerarsi “una sottostante
entità” del clan dei casalesi “deputata alla cura dello specifico settore economico” del gioco e
delle scommesse, come pure indicato, paradossalmente, nello stesso capo 51).

mafioso e nessun esame dedica per accertare se tale elemento fondante della fattispecie
criminosa in esame fosse lo stesso o fosse diverso nelle due associazioni.
Tali carenze e contraddittorietà motivazionali impongono l’annullamento in parte qua
dell’impugnata ordinanza, con rinvio al Tribunale di Napoli, perché provveda ad eliminare le
evidenziate carenze, rendendo chiaro il passaggio motivazionale in ordine alla esclusione della
identità dei due sodalizi.
2. Gli altri motivi di ricorso vanno rigettati perché infondati.
2.1. Non colgono nel segno le censure sviluppate con argomenti sovrapponibili in
relazione ai reati di cui all’art. 513 bis c.p. contestati al ricorrente ai capi 10) e 13) della
rubrica.
Va disatteso il rilievo, formulato con riguardo all’episodio sub 10), secondo il quale non
potrebbe ravvisarsi il reato per “l’inesistenza di fornitori di videopoker” concorrenti rispetto a
De Magistris Alfonso.
Va rammentato che l’articolo 513 bis c.p. è stato introdotta dalla L. n. 646 del 1982,
art. 8 con la finalità di reprimere la concorrenza illecita attuata con metodi violenti, ossia con
metodi tipici delle organizzazioni criminose.
La previsione, non limitata ad appartenenti ad associazioni criminali, ha di mira la
concorrenza che si manifesta con forme di intimidazione tipiche della criminalità organizzata, la
quale, con metodi violenti, tende a controllare le attività, commerciali, e produttive in modo da
condizionarle (v. n. 450 del 1995, n. 13691 del 2005, n. 46756 del 2005, n. 44169 del 2008).
L’interesse tutelato consiste, in primo luogo, nel buon funzionamento dell’intero sistema
economico e ciò perché, come è stato rilevato, con tale norma si è voluto più che reprimere
forme di concorrenza sleale impedire che tramite comportamenti violenti o intimidatori siano
eliminati gli stessi presupposti della concorrenza al fine di acquisire illegittimamente posizioni
di preminenza o di dominio; in secondo luogo, nella libertà delle persone di autodeterminarsi
nel settore (Rv. 232650).
Quindi, qualsiasi comportamento violento o intimidatorio idoneo ad impedire al
concorrente di autodeterminarsi nell’esercizio della sua attività commerciale, industriale o
comunque produttiva configura l’atto di concorrenza illecita prevista dalla norma in questione.
E’ stato, inoltre, chiarito che si ha concorrenza sleale, rilevante secondo la previsione
dell’art. 513 bis c.p., sia quando la violenza o la minaccia sono esercitate in maniera diretta
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Ma, soprattutto, l’ordinanza impugnata non contiene alcun cenno alla fedeltà al metodo

contro l’imprenditore concorrente, sia quando il fine del controllo o del condizionamento delle
attività commerciali, industriali o produttive sia perseguito indirizzando la violenza o la
minaccia su soggetti terzi comunque legati, come clienti o collaboratori, da rapporti economici
o professionali con l’imprenditore concorrente (Rv. 231968).
Il reato contestato è quindi, senz’altro, configurabile nel caso di specie, in cui l’attività
intimidatoria ascritta all’indagato e ai suoi concorrenti, tutti riconducibili al clan dei casalesi, è
consistita nell’imporre ai titolari e/o gestori di locali – ricompresi nei territori controllati dal

gli apparecchi forniti dal De Magistris.
E’ infondata anche la censura, peraltro dedotta in termini generici, sulla carenza di
motivazione, avendo i Giudici del riesame assolto all’onere motivazionale con la consentita
tecnica per relationem all’ordinanza cautelare esaminata, dando conto della scaturigine degli
indizi gravi dalle intercettazioni telefoniche, nonché da quelle ambientali realizzate all’interno
dell’autovettura Renault “Clio” in uso al CACCIAPUOTI.
Per le medesime considerazioni ora esposte, va giudicato infondato, poiché sorretto
dalle medesime argomentazioni, il motivo relativo al reato di cui all’art. 513 bis c.p. contestato
al capo 13).
2.2. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, afferente al reato di estorsione in
danno di Di Puorto Salvatore.
Non è aderente alla lettura del provvedimento il rilievo secondo cui i Giudici del riesame
non avrebbero indicato gli indizi a sostegno dell’imputazione.
A pag. 14 dell’ordinanza, invece, si fa esplicito riferimento alla conversazione prog. 239
registrata tra presenti (all’interno della menzionata vettura Renault “Clio”) alle ore 15.04 del
24.2.2006, tra il CACCIAPUOTI e BIANCO Massimo, come del resto contraddittoriamente
evidenziato dallo stesso difensore ricorrente nella parte iniziale del paragrafo dedicato al
motivo.
Il tenore dell’intimidazione è, del resto, riportato nello stesso capo d’imputazione, dove
viene specificamente indicata anche la denominazione della società (“Bet shop”) che, ove il Di
Puorto avesse potuto liberamente autodeterminarsi, avrebbe gestito il punto di raccolta delle
scommesse in luogo della “Betting 2000” imposta dai casalesi.
Di fronte a un quadro indiziario così composto, appare inconferente il rilievo circa la
mancata escussione della persona offesa, posto che la scelta degli atti d’indagine è prerogativa
autonoma del P.M..
Deve, infine, osservarsi, quanto al rilievo sul punto, che il delitto di illecita concorrenza
con violenza o minaccia concorre e non è assorbito nel reato di estorsione, trattandosi di
fattispecie preordinate alla tutela di beni giuridici diversi: la disposizione di cui all’art. 513 bis
cod. pen. ha come scopo la tutela dell’ordine economico e, quindi, del normale svolgimento
delle attività produttive a esso inerenti, mentre il reato di estorsione tende a salvaguardare

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sodalizio – deputati (anche) all’intrattenimento mediante “videopoker” e altro esclusivamente

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L.
8-8-95 n. 332
‘Roma, lì
prevalentemente il patrimonio dei singoli (Sez. 2, Sentenza n. 5793 del 24/10/2013, dep.
6/2/2014, Campolo, Rv. 258200).
Attesa la fluidità dell’imputazione nella fase delle indagini, sarà eventualmente compito
dell’organo dell’Accusa procedere anche alla contestazione del concorrente reato di cui all’art.
513 bis c.p..
2.3. Manifestamente infondato è il quinto motivo di ricorso, tenuto conto del costante
insegnamento giurisprudenziale, secondo cui, in tema di truffa, l’ottenimento con generalità

danno della banca costituito dalla sostanziale assenza della benché minima garanzia di
affidabilità del correntista, atteso che la disponibilità di un conto corrente bancario dà la
possibilità di emettere assegni oltre che di fruire di tutti gli altri servizi connessi all’esistenza
del rapporto in questione (fra molte, Sez. 2, Sentenza n. 44379 del 25/11/2010 Celano Rv.
249170).
2.4. E’ manifestamente infondato, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso, atteso che,
secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, la circostanza aggravante prevista dalli art.
7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, è configurabile
anche con riferimento ai reati-fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso (Sez. 6,
Sentenza n. 15483 del 26/2/2009, Marsala, Rv. 243576).
3. L’ordinanza impugnata, in conclusione, va annullata limitatamente al reato di cui
all’art. 416 c.p., con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Il ricorso va rigettato nel resto.
Seguono le disposizioni ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 416 bis c.p. e rinvia

su 3-1052)-,

per nuovo esameléll Tribunale di Napoli.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2014

Il Consigli

stensore

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