Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35450 del 28/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 35450 Anno 2013
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di
Palermo, avverso la sentenza della stessa Corte di Appello, IV Sezione
penale, in data 13/06/2012, con la quale si dichiara il non doversi procedere
nei confronti di Calamusa Benedetto (n. il 21.12.1965) per il reato di cui
all’art. 416 bis del c.p. per ostacolo di precedente giudicato.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Roberto
Aniello, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 28/05/2013

Udito l’Avvocato Roberto Tricoli — difensore dell’imputato – il quale ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

OSSERVA:

Con sentenza del 21/07/2011, il Tribunale di Palermo dichiarò Calmusa

e lo condannò alla pena di anni 9 e mesi 6 di reclusione.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame. La Corte di appello
di Palermo, con sentenza del 13/06/2012, dichiarò il non doversi procedere
nei confronti di Calmusa Benedetto per il reato di cui all’art. 416 bis del c.p.
per ostacolo di precedente giudicato. In particolare la Corte di merito rileva
che il Calmusa con sentenza irrevocabile del 26.05.2010 è stato condannato
per il reato di favoreggiamento aggravato ex art. 7 L. 203/1991 in favore di
Raccuglia Domenico (latitante ed esponente di vertice dell’associazione
mafiosa Cosa Nostra). La Corte territoriale pone, allora, a confronto le
condotte descritte nell’imputazione per il reato di cui sopra e quella oggetto
dell’attuale procedimento e afferma che tali condotte sono eguali seppur in
alcuni punti sono descritte in modo diverso. Rileva, poi, quanto al tempus
commissi delicti che nell’odierno processo non viene in considerazione una
condotta ulteriore e successiva dell’imputato (che è stato arrestato in
relazione al favoreggiamento e non è stato scarcerato prima dell’elevazione
della nuova contestazione ex art. 416 bis del c.p.) rispetto a quella contestata
nel precedente processo per il favoreggiamento personale aggravato e
quanto agli elementi probatori che sono i medesimi posti a fondamento della
precedente condanna ma apprezzati in modo nuovo. La Corte territoriale
perviene quindi alla conclusione che il fatto di cui al presente processo è il
medesimo di quello già oggetto del giudizio conclusosi con sentenza
irrevocabile.
Ricorre per cassazione il Procuratore Generale deducendo che
erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che il Calamusa sia stato
sottoposto a giudizio due volte per lo stesso fatto. Sottolinea, poi, la
differenza che vi è tra le stesse fonti di prove e il medesimo fatto. Infine,
rileva che la preclusione dell’art. 649 del c.p.p. non opera nel caso — come

Benedetto responsabile del reato di partecipazione ad associazione mafiosa

quello di specie – di concorso formale tra reati; sostiene, infatti, che i beni
giuridici protetti dal favoreggiamento personale e quello di partecipazione ad
associazione mafiosa sono diversi.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Invero la Corte di appello
ha proceduto ad un corretto ed accurato raffronto tra le due contestazioni ed
ha ben evidenziato i motivi che portano a ritenere l’identicità dei fatti
contestati all’imputato sia in relazione alla condotta, all’evento e al rapporto di
casualità, sia in riferimento al tempo, al luogo e alla persona (si vedano le
pagine da 4 a 6 dell’impugnata sentenza; si vedano in proposito: Sez. U,
Sentenza n. 34655 del 28/06/2005 Cc. – dep. 28/09/2005 – Rv. 231799; Sez.
2, Sentenza n. 21035 del 18/04/2008 Ud. – dep. 27/05/2008 – Rv. 240106;
Sez. 2, Sentenza n. 26251 del 27/05/2010 Ud. – dep. 09/07/2010 – Rv.
247849). Valutazione che – sulla base dei precisi dati fattuali emergenti dagli
atti – è perfettamente condivisa dal questa Corte che — come è noto – nel
vaglio della censura di violazione di norme processuali, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. c) c.p.p., è Giudice anche del fatto e che, ai fini
dell’accertamento dell’error in procedendo, può accedere all’esame diretto
dei relativi atti processuali (Sez. U, Sentenza n. 39414 del 30/10/2002 Ud. dep. 22/11/2002 – Rv. 222553; Sez. U, Sentenza n. 42792 del 31/10/2001
Cc. – dep. 28/11/2001 – Rv. 220092; Sez. U, Sentenza n. 34655 del
28/06/2005 Cc. – dep. 28/09/2005 – Rv. 231799). Quanto sopra non è stato
neppure contestato nel ricorso del Procuratore Generale, che si limita, sul
punto, all’enunciazione di principi condivisi e che non contrastano affatto con
quanto sopra rilevato (si veda pagina 1 del ricorso). Il P.G., poi, richiama —
implicitamente — un principio di questa Corte Suprema secondo il quale ai fini
dell’applicazione del principio del “ne bis in idem”, per medesimo fatto deve
intendersi identità degli elementi costitutivi del reato e cioè condotta, evento
e nesso di causalità, considerati non solo nella loro dimensione storiconaturalistica, ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta

motivi della decisione

violare contemporaneamente diverse disposizioni di legge (Sez. 4, Sentenza
n. 15578 del 20/02/2006 Ud. – dep. 05/05/2006 – Rv. 233959; Sez. 5,
Sentenza n. 16703 del 11/12/2008 Ud. – dep. 20/04/2009 – Rv. 243330). In
forza di tale principio sostiene che nel caso di specie non opererebbe la
preclusione di cui all’art. 649 del c.p.p. poiché i beni giuridici protetti dal reato
di favoreggiamento personale e da quello di partecipazione ad associazione

applicarsi al caso concreto. Infatti, questa Corte ha affermato che il reato di
favoreggiamento di un associato per delinquere da parte di altra persona che
pure sia associata al medesimo sodalizio non può concorrere con il reato di
associazione mafiosa in danno di quest’ultimo quando l’aiuto abbia un
carattere generale e sistematico, come ritenuto dal Tribunale, ad esempio, a
pagina 7 della sentenza di primo grado. La solidarietà tra associati è un
elemento coessenziale al reato associativo e l’aiuto che un partecipe presti
ad altro appartenente al gruppo che sia latitante non può dar luogo a una
sovrapposizione di tali figure criminose (sovrapposizione che potrebbe
sussistere solo quando il favoreggiamento fosse posto in essere per la
copertura di un singolo reato fine ovvero per un reato totalmente estraneo
alle finalità dell’associazione; si vedano Sez. 6, Sentenza n. 40966 del
08/10/2008 Cc. – dep. 31/10/2008 – Rv. 241701; Sez. 1, Sentenza n. 54 del
11/12/2008 Cc. – dep. 02/01/2009 – Rv. 242577; Sez. 6, Sentenza n. 2533
del 26/11/2009 Ud. – dep. 21/01/2010 – Rv. 245703). Inoltre, questa Corte ha
più volte specificato che integra il delitto di partecipazione ad associazione
mafiosa (e non quello di favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 D.L.
n. 172 del 1991, conv. in I. 203 del 1991) l’aiuto prestato a favore del
massimo esponente di vertice di un’organizzazione di tal tipo (nella specie,
Cosa Nostra) durante la sua latitanza, consistito in interventi volti sia a
garantirgli le cure necessarie al suo stato di salute sia a consentirgli il
mantenimento della sua capacità gestionale, fungendo da canale per i
collegamenti epistolari con altri associati (si veda la pagina 5 dell’impugnata
sentenza dalla quale emerge che il caso oggi trattato è eguale a quello di cui
alla decisione di questa Corte del 2011, sotto specificata, e come la condotta,
di cui è oggi accusato il Calamusa, è identica — addirittura meno ampia – a
quella per la quale lo stesso è stato condannato in via definitiva; si veda Sez.

mafiosa sono diversi. Tale principio è, ovviamente, corretto, ma non può

6, Sentenza n. 5909 del 06/12/2011 Ud. – dep. 15/02/2012 – Rv. 252406). Da
quanto sopra emerge con chiarezza che all’imputato è stato contestato lo
stesso fatto per due volte, stesso fatto che nell’attuale procedimento è stato
diversamente qualificato; si deve in proposito rilevare che quanto al tempus
commissi delicti nell’odierno processo non viene in considerazione una
condotta ulteriore e successiva dell’imputato (che è stato arrestato in

della nuova contestazione ex art. 416 bis del c.p.) rispetto a quella contestata
nel precedente processo per il favoreggiamento personale aggravato e,
quanto agli elementi probatori, che sono i medesimi posti a fondamento della
precedente condanna, ma apprezzati in modo nuovo. E’ quindi evidente la
violazione dell’art. 649 del c.p.p., il quale stabilisce che l’imputato prosciolto o
condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può
essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto,
neppure se questo viene diversamente considerato per titolo, per il grado o
per le circostanze.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deliberato in camera di consiglio, il 28/05/2013.

relazione al favoreggiamento e non è stato scarcerato prima dell’elevazione

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