Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35446 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35446 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KOKOMANI LUAN N. IL 31/12/1971
avverso l’ordinanza n. 157/2012 TRIBUNALE di ASTI, del 20/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/g~ le conclusioni del PG Dott. —
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Uditi difensor Avv.;

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PL,c–rno;

Data Udienza: 18/03/2014

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Asti, rigettava l’istanza
dell’odierno ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento

in executivis del

vincolo della continuazione, ex artt. 81 cpv. cod. pen. e 671 cod. proc. pen., tra
tutti i reati di cui alle sentenze definitive dì condanna ivi indicate.
Rilevava invero detto giudice come, alla stregua della consolidata
giurisprudenza in materia, non fosse possibile ravvisare concreti elementi da cui

disegno criminoso, trattandosi piuttosto di esplicazioni di estemporanee spinte
criminose, o piuttosto espressioni di uno stile di vita dedito al delitto.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto
condannato che motivava l’impugnazione deducendo vizio di motivazione, così in
sintesi argomentando :
– era stata incongruamente sottovalutata l’omogeneità dei fatti, trattandosi
di reati plurioffensivi, contro il patrimonio e contro persona, commessi con
l’utilizzo di arma della stessa tipologia;
– i reati erano stati perpetrati nell’arco di breve spazio di tempo nonché,
parzialmente, dagli stessi autori.

Considerato in diritto
1. Il ricorso, manifestamente infondato in tutte le sue deduzioni, deve
essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
2.

Occorre invero rilevare la palese infondatezza dell’impugnazione nel

merito, posti i consolidati principi giurisprudenziali ai quali il provvedimento
impugnato si è del tutto correttamente attenuto.
La continuazione, che si sostanzia di un elemento intellettivo (preventivo
disegno complessivo) ed uno volitivo (concreta esecuzione), può essere
riconosciuta in base ad una serie di elementi sintomatici desumibili dalle
sentenze di condanna che, se non prodotte dalla parte, devono essere acquisite
d’ufficio (art. 186 disp. att. al cod. proc. pen.).
Va dapprima rilevato, però, come il medesimo disegno criminoso debba
consistere in una preventiva ideazione generale, nel senso che necessariamente
abbracci tutti ì reati che di quella iniziale ideazione siano poi esecutivi, ma non
generica, nel senso che i singoli fatti devono essere sufficientemente prefigurati
nella loro specificità, e cioè programmati almeno nelle loro linee essenziali,
altrimenti non può rilevarsi altro che una soggettiva tendenza a delinquere,
anche se focalizzata in un determinato tipo di reati,

ovvero esplicata con

analoghe modalità. Perciò l’istituto della continuazione, non va confuso con il

desumere che i vari fatti fossero esecutivi di un medesimo e dunque preventivo

diverso concetto dell’attuazione di uno stile di vita dedita al delitto (cfr. Cass.
Pen. Sez. 2°, n. 18037 in data 07.04.2004, Rv. 229052, Tuzzeo; ecc.).
Va rilevato invero come l’evidente occasionalità di una condotta, generata da
eventi non prevedibili

ab origine,

si pone concettualmente agli antipodi

dell’istituito della continuazione rettamente inteso e quindi ne impedisce il
riconoscimento.
Quanto poi ai pur importanti parametri spazio-temporali, va ricordato come
essi di per sé costituiscano solo alcuni degli elementi valutativi che occorre

dilatano, tanto più è difficile ipotizzare un iniziale unitario piano criminoso che
comprenda anche fatti proiettati in un lontano futuro o collocati ad una distanza
tale da non consentire il preventivo controllo delle varie componenti della
condotta criminosa.
Relativamente poi alla prospettata omogeneità delle azioni che è in sé
caratteristica troppo generica, perché comune anche a fatti consimili ma
occasionali, ovvero troppo distanti tra loro, e quindi necessita di essere
corroborata da dati più specifici e convergenti, nella fattispecie non rinvenibili.
3. In definitiva il ricorso, generico e manifestamente infondato in ogni sua
prospettazione, deve essere dichiarato inammissibile ex artt. 591 e 606, comma
3,cod. proc. pen..
4. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 Cpp, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta
congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende, non
esulando profili dì colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18 marzo 2014.

prendere in esame, dovendosi però rilevare come quanto più gli stessi si

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