Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35445 del 04/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35445 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAZZEO ANTONINO N. IL 25/03/1967
avverso l’ordinanza n. 621/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
27/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
4ette/sentite le conclusioni del PG Dott. Ne.,/c ol,„eAyexj(;_, 2
(12 RA£4:52.2 (A,Q, Go ate.
Upprro—r.2;

Udit i difensor Avvto (0~-43 CzYUCR.A.-tn..z,)

Data Udienza: 04/03/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Messina, con ordinanza del 25 luglio 2013,
rigettava la richiesta di riesame proposta da Mazzeo Antonino avverso
l’ordinanza del G.i.p. della sede che aveva applicato nei confronti del predetto
indagato la misura della custodia cautelare, siccome raggiunto da gravi indizi di
colpevolezza in relazione al delitto di partecipazione ad un sodalizio mafioso
riconducibile a “Cosa Nostra” denominato “dei barcellonesi”.

riesame valorizzavano, per la gravità indiziaria, le dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia Bisignano Carmelo e Gullo Santo e quelle rese più di recente da
Campisi Salvatore e da Cuttone Salvatore, pervenendo alla conclusione, all’esito
di una approfondita disamina delle stesse, che la condotta dell’indagato
assumesse il profilo del “concorso esterno”.
Dalle dichiarazioni dei predetti collaboratori, ritenute, conformemente ad
una ormai consolidata lezione interpretativa di questa Corte (in termini, ex
multis, Sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010 – dep. 16/06/2010, Ribisi, Rv. 247585)
non assimilabili a pure e semplici dichiarazioni “de relato” allorquando riferiscono
notizie assunte nell’ambito associativo, costituenti un patrimonio comune, in
ordine ad associati ed attività proprie della cosca mafiosa, ed in particolare da
quelle rese dal Cannpisi, apprezzate nel loro complesso come provenienti da
soggetti credibili, come intrinsecamente attendibili quanto al loro contenuto
narrativo e munite di adeguati riscontri individualizzanti, in quanto, seppure non
perfettamente sovrapponibili, convergevano relativamente al loro nucleo
essenziale (valutazione frazionata) – emergeva, infatti, secondo i giudici del
riesame, la sicura stabile disponibilità dell’indagato, detto “Nino Piritta”, nei
confronti dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, famiglia “dei barcellonesi”, e la
sua particolare “vicinanza”, sin dagli anni ’90, a Barresi Filippo, elemento dì
vertice del sodalizio, anche dopo la sua latitanza, ciò desumendosi, tra l’altro,
anche nel coinvolgimento dell’indagato nella vicenda relativa al tentato omicidio
in danno del Giambò Carmelo, un aderente del sodalizio sospettato di essersi
appropriato di parte dei proventi delle estorsioni, avendo l’indagato fatto da
tramite tra il Barresi che ne aveva decretato l’eliminazione ed il Campisi,
dichiaratosi disponibile ad eseguire il mandato omicidiarío e fornito una delle
armi del fallito attentato e segnatamente quella utilizzata da Mazzeo Fabio,
nipote dell’indagato, nonché da una conversazione, oggetto di captazione,
intercorsa tra il defunto Perdichizzi Giovanni, già a capo di una cellula del
sodalizio, e Mazzù Carmelo e dalla frequentazione intercorsa tra l’indagato e
l’imprenditore Lanza Bernardino, che avendo subito il furto di alcuni motoveicoli,
si era rivolto ad alcuni soggetti legati alla locale criminalità mafiosa, tra cui il
1

1.3 Con riferimento alla suddetta imputazione associativa, i giudici del

Mazzeo, per tentare di recuperare quanto rubatogli, nonché quella,
particolarmente assidua, intercorsa tra l’indagato e molti dei coimputati.
Relativamente poi alle esigenze cautelari, la sussistenza a carico
dell’indagato di gravi indizi per l’imputazione associativa, in assenza di una prova
contraria, inducevano a presumere ex art. 275 comma 3 cod. proc. pen.
l’esclusiva idoneità della misura carceraria.
2. Il difensore dell’indagato, Mazzeo Antonino, ha proposto ricorso per
cassazione avverso detta ordinanza, prospettando due articolati motivi

2.1 Con il primo motivo, si contesta, sotto il profilo della violazione di legge
e del vizio di motivazione, l’affermazione dei giudici del riesame in merito alla
sussistenza di un grave quadro indiziario a carico del Mazzeo, relativamente
all’imputazione associativa, evidenziando, al riguardo: che le chiamate in correità
provenienti dai collaboratori Bisignano, Gullo e Campisi, si configuravano,
intanto, come chiamate de relato e non invece dirette, come ritenuto dai giudici
del riesame, che del tutto incongruamente le avevano ritenute esaustive ed
esaurienti, posto che dei summenzionati collaboratori il Bisognano si era limitato
a riferire, genericamente, di una vicinanza del ricorrente al Barresi, precisando di
non avere notizie dell’indagato dalla metà degli anni 90; che analoghe
considerazioni valevano per le propalazioni del Gullo, che nulla aveva specificato
circa il ruolo occupato dall’indagato; che il Campisi nulla di specifico ha riferito
sull’indagato; che il Cuttone non può neppure definirsi un intraneo alla famiglia
mafiosa, essendo lo stesso solo un intimo amico del Perdichizzi; che per
riconoscere alle chiamate in correità

de relato,

natura di gravi indizi

conformemente al più recente dictum delle Sezioni Unite (sentenza Aquilina) si
richiede un’approfondita valutazione delle stesse e l’acquisizione di adeguati
elementi di riscontro; che anche gli ulteriori elementi indizianti (la conversazione
tra il Perdichizzi ed il Mazzù; la intercessione svolta nell’interesse del Lanza in
relazione al furto di due motocicli; la conversazione relativa ai rapporti con
l’Aliberti) sono privi di effettiva valenza dimostrativa di un effettivo concorso
esterno dell’indagato, emergendo dal compendio indiziario, a tutto concedere,
una vicinanza dell’indagato al Baresi ma non certamente all’associazione
mafiosa.
2.2 Con il secondo motivo si censura, invece, sotto il profilo della violazione
di legge e del vizio motivazionale, la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari,
evidenziando che la stessa riqualificazione della condotta contestata in termini di
concorso esterno, renderebbe affatto certa l’adeguatezza della misura applicata ,
sotto il profilo del pericolo di reiterazione del reato.

Considerato in diritto
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d’impugnazione.

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Mazzeo Antonino è infondato e va
dunque respinto.
1.1 Al riguardo occorre precisare, in via preliminare, come ai fini
dell’emissione di una misura cautelare personale, per integrare il requisito dei
“gravi indizi di colpevolezza”, preteso dall’art. 273 cod. proc. pen., devono essere
acquisite emergenze probatorie, di natura logica o rappresentativa, che,
contenendo “in nuce” gli elementi costitutivi della fattispecie penale contestata,
non valgono di per sé a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato

consistenza, di prevedere che nel prosieguo delle indagini saranno idonei a
dimostrare tale responsabilità ed al tempo stesso giustificano una qualificata
probabilità di colpevolezza (Cass. sez. 6, n. 35671 del 06/07/2004, sez. 4, n.
37878 del6/7/2007, Cuccaro ed altri, rv. 237475;sez. 1, n. 20536 del
13/4/2011, Palmanova, rv. 250296). In particolare una recente pronuncia di
questa Corte con puntuali e condivisibili rilievi ha affermato: “in tema di misure
cautelari personali, la nozione di “gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273
cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo del termine analogo inteso quale
elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza.
Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono
essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art.
192 c.p.p., comma 1, come si desume dall’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, che
richiama l’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2, dello stesso articolo
che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche
precisi e concordanti)” (Cass. sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Fracassi e altri,
rv. 253511).
2. Ciò posto ritiene la Corte che legittimamente siano state considerate
gravemente indizianti per la posizione del ricorrente, attesa la fase processuale
in atto, le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Carmelo Bisognano e
Gullo Santo; il primo ha indicato il Mazzeo quale soggetto pienamente organico
alla famiglia barcellonese, essendogli stato presentato direttamente da Barresi
Filippo, figura apicale di quel sodalizio e dallo stesso utilizzato per assumere
informazioni e per predisporre attività propedeutiche alla commissione di azioni
delittuose. Il Gullo, dal canto suo, ha riferito di come lo stesso, sin dagli anni ’90,
aveva fornito un apporto determinante al gruppo, mettendo alcune abitazioni a
disposizione di persone resesi latitanti a seguito dell’emissione di ordinanze
custodiali nell’ambito del procedimento denominato “Mare Nostrum”.

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ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, ma consentono, per la loro

Il, Campisi, dal canto suo, ha

riferito anch’egli dello stretto legame

fiduciario che ha legato l’indagato al Barresi, di cui era il fidato braccio destro,
specie dal momento in cui costui si era reso latitante.
2.1 Tali informazioni sono state sottoposte ad attento vaglio e la verifica
positiva della credibilità delle rispettive fonti dichiarative è stata fondata sul
rilievo delle rispettive qualità personali dei collaboratori, soggetti stabilmente ed
a lungo inseriti nella consorteria mafiosa, il Bisognano col ruolo apicale di
reggente del clan dei mazzarrotì, riconosciutogli da plurime pronunce giudiziarie,

limitrofe, del fatto che costoro si erano resi entrambi autori di dichiarazioni, non
solo eteroaccusatorie, ma anche autoaccusatorie, in merito a reati gravissimi,
non ancora oggetto d’indagine e delle motivazioni della loro scelta della
dissociazione, il Bisognano per il timore di un’imminente soppressione, il Gullo
per un disagio personale e la consapevolezza dell’imminente incriminazione a
seguito della collaborazione del Bisognano e quindi per accedere ai benefici
premiali in un momento in cui si era trovato in stato di libertà dopo la
scarcerazione per assoluzione da procedimento per il medesimo delitto di cui
all’art. 416 bis cod. pen.. Inoltre, il Tribunale ha rilevato che le loro propalazioni
erano coerenti, dettagliate, reciprocamente autonome ed indipendenti, come
confermato, peraltro, dalla loro non perfetta sovrapponibilità, e prive di intenti
calunniosi, che in effetti nemmeno l’impugnazione rappresenta.
2.2 In presenza di un apparato motivazionale logico e coerente, tutte le
argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, secondo cui le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia sarebbero scarsamente attendibili e prive di adeguati
riscontri e tra loro scollegate, si risolvono sostanzialmente in una sollecitazione a
compiere una rilettura delle risultanze processuali in senso più favorevole agli
indagati. Di talché, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte
sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno
dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche
se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza
impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui
sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica
e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi
indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 cod. proc. pen. per l’emissione dei
provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca
consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
Ed invero, i rapporti di vicinanza con esponenti mafiosi quali il Barresi ed il
Campisi, tutti personaggi di spicco e di spessore criminale mafioso, lo
svolgimento di attività di assistenza in favore dei latitanti, la dimostrata
disponibilità a svolgere attività d’intermediazione per il recupero di alcuni beni
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il Gullo divenuto responsabile dei comuni di Falcone, Oliveri e delle zone

oggetto di furto, si configurano come condotte che il Tribunale ha correttamente
valorizzato quando ha concluso che il Mazzeo era persona vicina
all’organizzazione, che aveva accettato di relazionarsi con suoi membri
autorevoli, concludendo per la riconducibilità di tali comportamenti alla
fattispecie di concorso esterno.
3. Infine, in punto di esigenze cautelari, deve ricordarsi che la presunzione
di sussistenza delle esigenze cautelari, stabilita dall’art. 275 comma 3, cod. proc.
pen., opera anche nei confronti del concorrente esterno, che, in quanto tale, non

contributo alla sua permanenza in vita ed al perseguimento dei suoi obbiettiví
pur senza farvi parte; tali principi richiedono però un adattamento alla realtà
fenomenologica del contributo concorsuale, sicché la prova contraria, capace di
superare la presunzione relativa di pericolosità sociale, non deve vertere sulla
definitiva rescissione dell’affiliazione, in sé inesistente, quanto sulla pratica
irripetibilità della situazione che ha dato luogo al contributo, offerto
dalrextraneus” alla consorteria mafiosa, tenuto conto della ripetibilità della
situazione che ha dato luogo al contributo del concorrente, della sua attuale
condotta di vita e del permanere di interessi comuni con il sodalizio mafioso
(Cass. sez. 2, n. 48444 del 18/11/2004, Cozza, rv. 230512; sez. 6, n. 46060 del
14/11/2008, Verolla, rv. 242041; sez. 6, n. 42922 del 21/10/2010, Lo Cicero, rv.
248801; Sez, 6, n. 27685 del 08/07/2011, Mancini, Rv. 250360).
4. Ebbene, l’impugnazione, pur avendo richiamato tali principi di diritto,
risulta affetta da generica formulazione, perché non ha dedotto alcun concreto
argomento capace di dimostrare che il pericolo di reiterazione dì altre condotte di
concorso esterno sia scongiurato e di smentire il motivato rilievo del Tribunale
circa la riconducibilità dell’intera vicenda ad un contesto di relazioni con il gruppo
mafioso, ancora operante all’attualità.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp.
att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del
CD
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provvedimento al Direttore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp.
att. c.p.p., comma 1 ter
Così deciso in Rom

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è inserito organicamente ed in via stabile nell’associazione, ma offre un

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