Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35430 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35430 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERGAMO DAL PIAZ FRANCESCO N. IL 05/11/1976
DALPIAZ NATALINA N. IL 25/12/1943
BERGAMO VIRGILIO N. IL 19/02/1939
avverso la sentenza n. 235/2012 CORTE APPELLO di TRENTO, del
02/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
1,1 iSt-t.:

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

igeT_ec,

Data Udienza: 24/06/2014

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza del 2 ottobre 2013 la Corte di appello di Trento
confermava quella resa il 18 aprile 2012 dal tribunale della stessa
sede, nella sezione distaccata di Cles, con la quale Bergamo Dal
Piaz Francesco, Dalpiaz Natalina e Bergamo Vigilio, imputati in
concorso tra loro di due ipotesi delittuose di cui all’art. 22 co. 12 d.
lgs. 286/1998 e del reato di cui all’art. 12 co. 5 d.lgs. 286/1998,
meglio descritti in rubrica, erano stati condannati alla pena di anni
uno di reclusione ed euro 9000,00 di multa ciascuno, riuniti i reati
dal vincolo della continuazione e concesse a tutti gli imputati le
attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle contestate
aggravanti.
A sostegno della decisione di condanna la corte distrettuale
argomentava: quanto all’occupazione illegittima del lavoratore
extracomunitario Moussoui Mouradallah la condotta è stata provata
dalla testimonianza del brig. dei CC. Brivio Luigi, il quale recatosi
presso l’azienda agricola degli imputati, riscontrò la presenza
dell’operaio agricolo unitamente ad Et Thairi Abdessadeq, i quali
gli riferirono i fatti di cui alla contestazione, avvalorati dal
successivo reperimento presso l’azienda degli effetti personali, delle
valigie e degli indumenti dei due stranieri; lo stesso Et Thairi
Abdessadeq ha poi testimoniato nel corso del dibattimento
confermando ogni circostanza riferita ai CC., mentre come prova a
carico è stato acquisito il verbale di s.i.t. rese dall’altro lavoratore
straniero, Moussoui Mouradallah, privo del permesso di soggiorno
e nel frattempo resosi irreperibile; quanto invece alla occupazione
illegittima dei cinque lavoratori croati di cui al successivo capo di
imputazione, la condotta delittuosa è stata provata con l’attività di
sorveglianza dell’azienda agricola svolta, dopo l’episodio accertato
come innanzi, dai CC. in collaborazione con l’ispettorato del
lavoro, sorveglianza che ha consentito l’accesso aziendale del 10
ottobre 2009; in tale occasioni i lavoratori stranieri hanno anche
tentato la fuga, rendendo poi dichiarazioni accusatorie precise circa
l’attività lavorativa svolta per l’azienda degli imputati, l’orario di
lavoro e le condizioni lavorative e di vita (in una ex porcilaia) loro
riservate dai datori di lavoro; una successiva perquisizione
domiciliare ha portato poi al sequestro di passaporti, carte di
identità e di una ricevuta di pagamento della somma di euro 200,00,
documenti tutti riferibili agli occupati croati; gli accertamenti
processuali consentono di affermare con certezza la colpevolezza
degli imputati, nelle rispettive qualità di amministratore, Bergamo
1

Virgilio, e di soci proprietari della Azienda Agricola Blanca s.r.1., i
coimputati.

2. Ricorrono per cassazione i tre imputati, assistiti dal comune
difensore di fiducia, il quale nel loro interesse sviluppa due motivi
di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente la illogicità e la
contraddittorietà della motivazione, in particolare argomentando: il
processo ha trovato impulso in seguito all’intervento presso
l’azienda agricola della signora Dalpiaz dei CC. per questo chiamati
da Moussoui Mouradallah, sprovvisto di permesso di soggiorno, e
da Et Thairi Abdessadeq, viceversa regolarmente soggiornante in
Italia; il giudice dell’appello, nonostante la articolate difese, ha
ritenuto di privilegiare la testimonianza di Et Thairi Abdessadeq,
apertamente contraddette dal teste Hammouidi El Mokhtar,
regolarmente assunto presso l’azienda Bianca s.r.1.; la corte di
merito ha ritenuto di credere ai due marocchini secondo i quali era
stato proprio Hammouidi El Mokhtar a chiamarli per essere
occupati presso l’azienda dove egli stesso lavorava e non già che i
due si erano recati spontaneamente in quel luogo, per loro lontano,
nella speranza di trovare lavoro; la corte è incorsa in una manifesta
illogicità là dove non ha considerato che entrambe le ipotesi
prospettate, quella dell’accusa e quella della difesa, erano
perfettamente compatibili con la presenza in loco dei due lavoratori
marocchini, i quali giammai sarebbero passati inosservati in una
piccola località come quella di Terres, ove i fatti di causa si sono
svolti; il vero è che Et Thairi Abdessadeq, insieme al cognato, si
recò a Terres per fare visita allo zio Hammouidi El Mokhtar, nella
speranza che questi gli aiutasse a trovare lavoro; l’esito non
favorevole del tentativo ha innescato la vendetta del teste Et Thairi
Abdessadeq, il quale non si comprende per quale ragione non ha
concordato con i CC. la loro irruzione sul luogo di lavoro invece di
chiamarli quando si trovava fuori dall’azienda; quando alla seconda
vicenda, relativa ai lavoratori croati, si deve evidenziare la
mancanza di una sia pur minima attività investigativa ed il mancato
esame testimoniale sul punto dei numerosi lavoratori rumeni,
regolari, trovati presso l’azienda.
2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa
ricorrente violazione dell’art. 110 c.p. e difetto di motivazione in
ordine alla ritenuta colpevolezza di Dalpiaz Natalina e Bergamo
Dal Piaz Francesco, in particolare osservando: amministratore della
Società Agricola Bianca s.r.l. è, dal 23.7.2009, Bergamo Vigilio,
“personalmente” addetto “alla conclusione dei contratti di lavoro”;
ciononostante la corte di merito, con motivazione generica, ha
2

coinvolto nel giudizio di colpevolezza la moglie ed il figlio del
predetto Bergamo Vigilio; non è sufficiente rilevare che moglie e
figlio detti fossero gestori operativi delle varie articolazioni
aziendali giacchè va indicato, per il concorso, il contributo causale
del concorrente nella consumazione del reato.

3. Il ricorso è infondato.
3.1 Manifestamente infondato è, in particolare, il primo motivo di
doglianza, giacchè propositivo di mere confutazioni in ordine alla
ricostruzione della vicenda così come accreditata dai giudici di
merito.
Giova pertanto qui ribadire che la funzione dell’indagine di
legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca
attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di
attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del
tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della
decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e
secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul
piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la
congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica
valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di
legittimità opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass.
5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo; Sez. 4, n. 15227
dell’ l 1/4/2008, Baratti, Rv.239735; cfr. in termini: Cass. sez. 2^,
sentenza n. 7380 dell’ 11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716,
imp. Messina; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061).
Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle
argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di
un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice
territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova
puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare
uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello
logicamente ritenuto con la sentenza impugnata.
Di merito sono infatti le deduzioni difensive circa la credibilità del
teste Thairi Abdessadeq, ed alternativa è la lettura indiziaria del
ritrovamento presso un immobile aziendale degli effetti personali
dei due lavoratori marocchini, tra i quali il teste appena citato,
ritrovamento ampiamente confermativo della credibilità del teste e
della tesi accusatoria. Ancora di merito è la valutazione circa
l’inaffidabilità del teste a discarico indicato dagli imputati, teste
ritenuto non veritiero da parte dei giudici di merito sulla base di una
ineccepibile motivazione, incentrata sul suo rapporto di
subordinazione, regolare, nell’ambito dell’azienda degli imputati
3

//)

eppertanto sulla sua “debolezza” a dichiarare contro i suoi datori di
lavoro.
Al di là di ogni ragionevole dubbio è infine la ricostruzione della
vicenda relativa al rapporto di lavoro illegittimo con i lavoratori
croati, in relazione ai quali peraltro la difesa ricorrente articola
un’unica proposizione, di palese genericità, incentrata sul mancato
esame testimoniale di altri lavoratori, regolari, all’opera presso
l’azienda Blanca sx.1., al momento dell’accesso delle forze
dell’ordine. Dette testimonianze si appalesavano infatti del tutto
irrilevanti a fronte dell’attività di osservazione eseguita in
precedenza dai CC. e da operatori dell’Ispettorato del lavoro,
dell’irruzione delle forze dell’ordine in azienda, delle dichiarazioni
immediatamente raccolte rese dai lavoratori interessati e
dell’ispezione, infine, eseguita presso la ex porcilaia destinata al
ricovero degli operai, dove gli stessi conservavano i loro miseri
effetti personali.
3.2 Infondato è il secondo motivo di doglianza.
Ricorre infatti nella fattispecie il concorso degli imputati nei reati
contestati.
Sul punto giova osservare che la censura sviluppata con il secondo
motivo di impugnazione fa riferimento alle due contestazioni
relative al reato di cui all’art. 22 co. 12 d. lgs. 286/1998 e non già
anche al reato di cui all’art. 12 co. 5 stessa legge, la cui relativa
condanna deve, per questo, ritenersi ormai definitiva.
3.2.1 Tornando quindi alla censura in tal guisa esattamente
delimitata, osserva la Corte che, nel concorso di persone nel reato,
istituto regolamentato, come è noto, dall’art. 110 c.p., abbandonate
le tesi del “previo concerto” e della “reciproca” consapevolezza
dell’altrui contributo, l’elemento soggettivo richiesto in capo al
concorrente viene identificato dalla lezione giurisprudenziale di
legittimità nella consapevole rappresentazione e nella volontà della
persona del partecipe di cooperare con altri soggetti alla comune
realizzazione della condotta delittuosa. Lo specifico connotato
dell’elemento soggettivo del partecipe non modifica peraltro la
fisionomia strutturale del dolo, trovando comunque applicazione la
regola generale secondo cui l’elemento psicologico del reato deve
investire tutto quanto costituisce il fatto criminoso, aderendo e
adattandosi al concreto atteggiarsi del processo esecutivo.
In tema di concorso di persone nel reato, inoltre, la circostanza che
il contributo causale del concorrente possa manifestarsi attraverso
forme differenziate ed atipiche della condotta criminosa, non esime
il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova
dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale
forma essa si sia manifestata in rapporto di causalità efficiente con

le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi
confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur
prevista dall’art. 110 c.p., con l’indifferenza probatoria circa le
forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Cass., Sez. Un., 30
ottobre 2003, n. 45276, rv. 226101; Cass., Sez. 1, 17 gennaio 2008,
n. 5631, rv. 238648; Cass., Sez. 1, 8 novembre 2008, n. 4060, rv.
239196). Per converso, ai fini di delibare se nella concreta
fattispecie ricorra o meno una ipotesi di concorso criminale, il
giudicante dovrà valutare ogni aspetto del fatto, con particolare
riferimento ai profili dotati di significatività circa l’eventuale
apporto del concorrente, il suo contributo causale, l’atteggiamento
psicologico rispetto ad essi.
3.2.3 Tanto premesso ritiene il Collegio che adeguatamente abbia il
giudice di merito dimostrato il coinvolgimento di tutti gli imputati
nei reati per cui è causa.
Ed invero opportunamente risulta valorizzata la circostanza che i
predetti costituiscono un nucleo familiare (padre, madre e figlio)
complessivamente interessato e paritariamente inserito nell’azienda
familiare, ove ognuno svolge un compito gestionale essenziale per
la produzione. L’interesse economico inoltre rinveniente
dall’attività delittuosa è perfettamente comune ai tre, l’uno perché
amministratore, gli altri perché proprietari delle quote sociali. Lo
stato di irregolarità infine dei lavoratori irregolari impiegati
nell’azienda, il relativo trattamento lavorativo e la loro incivile
sistemazione in locali comunque di pertinenza aziendale, non
potevano sfuggire a chi quotidianamente li trattava, aveva con essi
contatti per ragioni di lavoro, frequentava i luoghi che tutti
frequentavano.
L’avere pertanto consapevolmente tratto vantaggio economico da
una condotta formalmente consumata dal padre-marito ma
implicitamente, e sempre consapevolmente, accettata e l’avere
inoltre consentito, nell’ambito del lavoro gestionale di loro
pertinenza nel contesto aziendale, che i lavoratori irregolari
svolgessero il lavoro assegnato e vivessero presso di loro nelle
condizioni accertate, integra senza ombra di dubbio contributo
concorsuale essenziale alla consumazione del reato che madre e
figlio, in quanto proprietari delle quote sociali, avrebbero avuto la
possibilità di impedire all’istante. Ed anche siffatto comportamento
omissivo integra contributo causale per l’inveramento della
condotta contestata.
4. Alla stregua delle esposte considerazioni i ricorsi devono essere
rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
5

P. Q. M.

la Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
In Roma, addì 24 giugno 2014
Il
Il cons. estens.

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