Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35427 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35427 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ECH CHEDLI MOHAMMED N. IL 05/01/1970
avverso la sentenza n. 11140/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
06/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO
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Data Udienza: 18/06/2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE

Ricorso n. 38.847/2013 R. G.

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Udienza del 18 giugno 2014

Uditi, altresì, nella pubblica udienza,

– il difensore dell’imputato, avvocato Angelo Francesco Macrì,
intervenuto per delega dell’avvocato Domenico Naccari, il
quale ha concluso per l’ accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. — Con sentenza deliberata il 6 maggio 2013 e depositata il 21
maggio 2013, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma
della sentenza impugnata del giudice della udienza preliminare
del Tribunale di quella stessa sede, 21 settembre 2012, concesse
circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla recidiva, ha ridotto la pena inflitta all’appellante Mohammed
Ech Chedli (da otto anni e cinque mesi) a cinque anni di reclusione e ha confermato nel resto la condanna per il delitto di
omicidio tentato, commesso in danno di Islam Mohammad
Aminul, in Roma il 29 febbraio 2012.

2. — Sulla base del processo verbale dell’arresto del prevenuto
nella quasi flagranza del delitto di sangue; del processo verbale
del sequestro del mezzo del reato; delle dichiarazioni rese dalla
vittima, nella immediatezza e in loco, prima del trasporto in
ospedale; delle informazioni fornite dai testimoni oculari, Miah
Mustakim e Sham Alam; della documentazione sanitaria acquisita, concernente le lesioni subite della persona offesa; del
responso del consulente medico legale del Pubblico Ministero,
dott.ssa Fidelia Cascini; e delle ammissioni dello stesso imputato nel corso della udienza di convalida dell’arresto, i giudici
di merito hanno accertato quanto appresso ricapitolato.
Nella circostanze di tempo e di luogo indicate, il prevenuto, recatosi in via del Trullo, in prossimità dell’edificio, contrassegnato dal numero civico 284, ove Mustakim e Alam stavano
esercitando il commercio ambulante, aveva gettato a terra la

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– il Pubblico Ministero in persona del dott. Gabriele Mazzotta,
sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa
Corte suprema, il quale ha concluso

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Udienza del 18 giugno 2014

merce esposta sulla bancarella dei due commercianti e aveva
ingiunto loro, con fare minaccioso, di sgomberare; aveva fatto
seguito un alterco; in quel frangente Aminul, anche egli venditore ambulante con una bancarella allocata nelle vicinanze, era
intervenuto a difesa dei colleghi, si era interposto tra i contendenti, aveva, invano, tentato di allontanare Ech Chedli; quindi, aveva preso il telefonino per chiamare le forze dell’ordine;
allora l’imputato, ghermito un coltello da cucina, esposto in
vendita sulla bancarella di Aminul, aveva inferto con violenza
al malcapitato una coltellata all’addome; sebbene gravemente
ferita, la vittima era riuscita a trattenere l’aggressore fino all’arrivo dei Carabinieri della Stazione di Villa Bonelli, i quali
trassero in arresto il feritore che, alla vista dei militari, aveva
tentato di disfarsi (gettandoli sul piano di carico di un motocilo) del mezzo del delitto colla lama insanguinata e di altro coltello, pure imbrattato di sostanza ematica.
Prontamente soccorso, Aminul risultò affetto da ferita penetrante nella cavità addominale con massivo emoperitoneo; le
critiche condizioni di salute resero necessario l’intervento chirurgico laparotomico di urgenza e le suture dei tessuti, anche
mesiali, lacerati.
3. — Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a
quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità, la Corte territoriale ha osservato quanto segue, in ordine
alla dedotta legittima difesa e alla qualificazione della condotta delittuosa.
3.1 — La materialità del ferimento è pacifica e incontestata.
L’imputato è sul punto affatto confesso.
La postulazione difensiva della legittima difesa è innanzi tutto
contraddetta dalle stesse dichiarazioni dell’appellante. Costui
ha affermato che aveva, invero, prelevato il coltello dalla bancarella della vittima, sentendosi minacciato, ma che il ferimento fu conseguenza di un evento accidentale, avendo egli ricevuto una spinta mentre brandiva la lama e, così, colpito involontariamente Aminul.

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Ricorso n. 38.847/2013 R. G.

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Ricorso n. 38.847/2013 R. G.

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Ech Chedli, peraltro, ha ammesso che fu egli a recarsi «già alerato» dagli altri due ambulanti per reclamare la postazione di
vendita e che gli antagonisti, privi coltelli, si erano limitati «ad
aggredirlo verbalmente». Né l’appellante ha lamentato di aver
subito nell’occorso alcuna percossa, contusione o escoriazione.
E comunque, all’atto dell’arresto, non presentava lesioni di sorta
La presenza del secondo coltello insanguinato (in sequestro), in
possesso del giudicabile all’arrivo dei Carabinieri, non dimostra, pertanto, che Ech Chedi sia stato vittima di veruna aggressione. L’imbrattamento della lama trova, invece, spiegazione nella contaminazione secondaria per contatto col mezzo
del delitto, impugnato dallo stesso prevenuto.
Il ferimento risulta, piuttosto, correlato, secondo quanto comprovato dal concorde testimoniale, alla iniziativa della vittima
di chiamare col telefonino i Carabinieri.
3.2 — Infondate sono, altresì, le censure dell’appellante circa la
qualificazione giuridica della condotta e l’elemento psicologico
del delitto tentato.
La azione delittuosa, avuto riguardo al mezzo (coltello con lama seghettata lunga mm. 115), alle modalità del ferimento
(coltellata ben assestata, inferta con forza e penetrante in profondità) e al distretto anatomico attinto (l’addome, ricco di organi vitali), risulta idonea e univocamente orientata a cagionare la morte, scongiurata, a fronte della copiosa perdita ematica
(pari a un litro e 60 cc. di sangue), soltanto grazie alla prontezza dei soccorsi e al delicato intervento chirurgico, protrattosi
per ben tre ore.
Siffatti obiettivi elementi dimostrano la volontà omicida.
4. — L’imputato ha proposto ricorso per cassazione col ministero del difensore di fiducia, avvocato Domenico Naccari, me-

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La versione del giudicabile è confutata dalla concordi dichiarazioni della vittima e dei testimoni.

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Ricorso n. 38.847/2013 R. G.

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diante atto recante la data del 15 luglio 2013, depositato il 16
luglio 2013.

5.

Alla odierna pubblica udienza, celebrata per la trattazione
del ricorso, fatta la relazione della causa, in esito alla discussione le parti hanno concluso nei termini riportati in epigrafe.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. — Il ricorso è inammissibile.
Giova premettere la sintetica esposizione dei motivi di impugnazione.
Il ricorrente dichiara promiscuamente di denunziare, ai
sensi dell’articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc.
pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in
relazione agli articoli 56 e 575 cod. pen., nonché mancanza, o
manifesta illogicità della motivazione.
2.

Il difensore sostiene: la sentenza impugnata difetta di un impianto argomentativo logico, coerente e razionale; le motivazioni addotte dai giudici territoriali non sono «esaustive»; manca la dimostrazione, al di là di ogni ragionevole dubbio, del dolo omicida, neppure nella forma alternativa; il gesto del ricorrente «è stato assolutamente estemporaneo e dettato dalla necessità
di preservare la propria incolumità»; la penetrazione della lama
nella cavità addominale è stata parziale; gli elementi indicativi
del dolo sono equivoci; la valutazione della idoneità e della univocità della condotta è stata operata in termini astratti; l’azione non era «adeguata alla produzione dell’evento»; l’applicazione del principio in dubio pro reo comportava la esclusione del
dolo omicida; la Corte territoriale non ha esaminato tutti gli
elementi a sua disposizione.

3.

3.1

Le censure del ricorrente sono manifestamente infondate.

Non ricorre — alla evidenza — il vizio della violazione di

legge:

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—né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte
di appello di esattamente interpretato le norme applicate, alla
luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, né, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna apprezzabile, alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.
3.2 — Neppure palesemente ricorre vizio alcuno della motivazione.
Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente — come illustrato nel paragrafo che precede in narrativa sub 3. — delle ragioni
della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i
confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. I, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. IV, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità; laddove i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi
dal ricorrente, benché inscenati sotto la prospettazione di v itia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle
censure di merito, sicché, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili a’ termini dell’articolo 606, comma 3, cod. proc.
pen.
3.3 — Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché — valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della
impugnazione — al versamento a favore della cassa delle am-

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—né sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a
quo applicato una determinata disposizione in relazione all’ operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto
dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato
dalla fattispecie);

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mende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 giugno 2014.

P. Q. M.

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