Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35411 del 10/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35411 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 10/07/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LIA VINCENZO N. IL 11/07/1976
avverso l’ordinanza n. 1993/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
31/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
iette/sentite le conclusioni del PG Dott. Ae (io f
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Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza in data 31.12.2012, ha
confermato l’ordinanza resa dal G.i.p. presso il Tribunale di Catania il 10.12.2012,
con la quale è stata disposta nei confronti di Lia Vincenzo la misura cautelare
carceraria, in riferimento ai seguenti delitti, indicati nell’imputazione provvisoria:
associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravata dall’essere
l’associazione armata (capo A); cessioni di sostanze droganti (capo B); furto (capo

Il Tribunale ha rilevato che il coinvolgimento dell’odierno ricorrente,
unitamente ai fratelli Salvatore e Daniele Lo Presti e a Michele D’Avola, nella
sistematica attività di coltivazione di marijuana, di acquisto e successiva rivendita al
dettaglio di grosse quantità di sostanze stupefacenti e di recupero dei crediti
maturati nei confronti degli acquirenti, risultava in primo luogo dagli esiti delle
operazioni di intercettazione delle conversazioni tra presenti effettuate all’interno
della autovettura Fiat Punto di proprietà del medesimo Vincenzo Lia.
Il Collegio ha evidenziato che Salvatore lo Presti e Lia, in una occasione,
discutevano della serra da realizzare per la coltivazione di marijuana, indicata dai
colloquianti come “erba”. Ed ha rilevato che durante la medesima giornata è stata
captata una conversazione, intercorsa tra Daniele Lo Presti e Lia, ove il primo fa
riferimento ad un potenziale acquirente che “vuole mezzo chilo di fiori”. Il Tribunale
ha considerato, inoltre, che il giorno successivo Salvatore Lo Presti ed altri correi si
incontrarono per realizzare materialmente l’allacciamento abusivo della fornitura
elettrica presso il casolare desinato alla realizzazione della coltivazione di
marijuana. Il Collegio ha sottolineato che dalle conversazioni intercettate risultava
che Lia ed i fratelli Lo Presti si erano attivati per contattare pusher da impiegare per
la vendita al dettaglio della droga; ed ha rilevato che il chiaro contenuto dei dialoghi
dimostrava il pieno coinvolgimento di Lia Vincenzo nel delitto di cui al capo C)
dell’imputazione provvisoria, ipotesi non contestata dalla difesa.
Il Tribunale ha riferito, in particolare: che in data 18.6.2009 Lia e Daniele Lo
Presti si procurarono un chilo di marijuana, che venne nascosto presso l’abitazione
dei Lo Presti; che quindi anche Salvatore Lo Presti sali sull’auto del Lia; che i correi
pianificarono dettagliatamente l’attività di vendita a terzi dello stupefacente; e che
Salvatore Lo Presti chiese a Lia se avesse verificato la qualità della partita di
marijuana di cui già disponeva. Oltre a ciò, il Tribunale ha rilevato che dalle indagini
svolte risultavano specifiche cessioni di partite di droga effettuate dai fratelli Lo
Presti e da Lia; che i predetti erano stabilmente disponibili a ricevere sostanza
stupefacente; e che i correi avevano realizzato una struttura organizzativa di tipo
piramidale, per lo svolgimento della lucrativa attività di cessione di sostanze
stupefacenti, al vertice della quale si trovava D’Avola Michele.
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L); detenzione illegale e ricettazione di armi (capi M ed N).

Il Tribunale ha dato conto degli esiti della perquisizione effettuata presso
l’abitazione dei Lo Presti, conducente all’arresto di Lo Presti Salvatore; e delle
dichiarazioni involontariamente ammissive della attività criminosa, pure svolta
unitamente a Salvatore, rese da Daniele Lo Presti conversando con Lia Vincenzo,
captate all’indomani del controllo effettuato dai Carabinieri.
Il Collegio ha rilevato, inoltre, che dalle operazioni di intercettazione emerge
che Lo Presti Daniele, alla fine del mese di agosto del 2009, trattò la vendita di 100

guadagno per il gruppo di correi; che il contenuto delle conversazioni intercettate in
data 28.10.2010 evidenzia che Lo Presti Daniele si era pure reso responsabile di
una aggressione fisica in danno di Massimo Fatuzzo, debitore del pagamento del
prezzo di una fornitura di droga; che per costringere Fatuzzo a saldare il predetto
debito, Lo Presti Daniele intendeva farsi prestare una pistola da D’Avola Michele o
da altri soggetti; e che Lo Presti Daniele temeva la reazione da parte di D’Avola
Michele, per il caso in cui Fatuzzo fosse rimasto insolvente. Il Tribunale osserva,
poi, che Fatuzzo, in data 3.4.2010, ebbe a denunciare ai Carabinieri il fatto di avere
subito aggressioni da parte di Lia e Daniele Lo Presti, per il mancato pagamento di
10 grammi di marijuana.
Ciò premesso, il Collegio ha ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza
non solo in riferimento al reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, ma anche con
riguardo al delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di
cui al capo A) della rubrica. Circa i delitti di detenzione, porto e ricettazione di armi,
il Tribunale ha osservato che a carico di Lia Vincenzo emergevano gravi indizi di
colpevolezza dal tenore delle conversazioni intercettate, ove lo stesso prevenuto
riferiva di avere la disponibilità di una pistola e di un fucile di provenienza furtiva.
In riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale ha rilevato di condividere
le valutazioni effettuate dal giudice nel provvedimento genetico, pure a fronte del
tempo trascorso dai fatti per i quali si procede, essendo gli stessi sintomatici di una
pericolosità criminale pregnante.
2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Lia
Vincenzo, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo l’esponente denuncia la violazione degli artt. 273 e 274
cod. proc. pen. ed il vizio motivazionale.
La parte rileva che il Tribunale ha confutato le doglianze che erano state
dedotte dalla difesa con argomentazioni illogiche e contraddittorie rispetto alle
risultanze investigative.
Dopo avere richiamato i tratti distintivi del delitto associativo rispetto al
concorso di persone, con particolare riferimento al reato continuato, l’esponente

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chili di marijuana, evenienza ritenuta indicativa dell’ampliamento delle possibilità di

rileva che nel caso di specie non sussiste alcuna associazione per delinquere e che
Lo Presti non ha comunque partecipato ad alcuna associazione.
La parte osserva che le conversazioni valorizzate dal G.i.p. e dal Tribunale
del riesame, ritenute comprovanti la sussistenza del nucleo associativo composto da
D’Avola Michele, Lia Vincenzo e dai fratelli Lo Presti, sono elementi utili in realtà ad
escludere l’esistenza dell’associazione. L’esponente osserva che l’attività di
coltivazione di marijuana posta in essere dai fratelli Lo Presti costituisce fatto

Siracusa il 23.10.2012, a carico di Lia Vincenzo e dei fratelli Lo Presti, ordinanza
nella quale non compare la figura di D’Avola Michele. La parte ritiene che
/
l’ordinanza del 2012 riguardi ‘ a lume di naso la medesima attività criminosa iniziata
nel 2009 e proseguita nel 2010. Ciò premesso, l’esponente rileva che se dette
attività criminose, commesse nel 2010, sono state inquadrate nell’ambito di un
concorso di persone nel reato e non già in riferimento ad una associazione per
delinquere, non può allora logicamente ritenersi sussistente una ipotesi associativa
con riguardo al solo anno 2009.
Al riguardo, l’esponente rileva: che la figura di D’Avola Michele compare
nelle conversazioni intercettate soltanto dal 13.06.2009 al 15.07.2009; che Lia ed i
fratelli Lo Presti neppure conoscevano l’utenza telefonica in uso a D’Avola Michele,
che viene fornita a Lia in data 18.06.2009; e che dalle conversazioni intercettate
risulta che i prevenuti neppure si fidavano di D’Avola Michele. Il ricorrente
sottolinea quindi che nell’ordinanza impugnata la posizione di D’Avola viene in
rilievo solo per un’unica transazione di sostanza stupefacente; e che D’Avola non si
è interessato alla successiva rivendita della droga, ma soltanto al recupero della
somma di denaro relativa a tale partita. La mancanza di organizzazione, anche
rudimentale, viene poi argomentata dall’esponente sulla base delle difficoltà
incontrate da Lia e dai fratelli Lo Presti nella vendita della sostanza stupefacente.
Il ricorrente osserva che la motivazione addotta nell’ordinanza impugnata,
laddove si assume che il provento della attività di spaccio transitasse nella mani del
D’Avola, il quale si sarebbe occupato della suddivisione del ricavato tra i correi, è
frutto di fantasia motivazionale, giacché tale circostanza non emerge da alcun atto.
Rileva che né D’Avola né altri indagati hanno fatto riferimento a sostanze diverse
dalla marijuana; ed assume che anche la vicenda denunciata da Fatuzzo non provi
nulla, in ordine alla detenzione di un’arma da parte del D’Avola.
Conclusivamente sul punto, la parte osserva che il quadro indiziario non
raggiunge la soglia della gravità.
Con il secondo motivo l’esponente denuncia la violazione dell’art. 274, cod.
proc. pen. Osserva che il Tribunale ha omesso di esaminare la concretezza e la
attualità delle esigenze cautelari, in considerazione del tempo trascorso rispetto ai
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notorio, stante l’ordinanza custodiale emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di

fatti per i quali si procede, risalenti al 2009; e rileva che ad una maggiore distanza
temporale dai fatti corrisponde l’affievolimento delle esigenze di cautela, come
affermato dalle sezioni unite della Cassazione. Il ricorrente ribadisce che nella
diversa ordinanza custodiale emessa in riferimento ai fatti collocati nell’anno 2010
dal G.i.p. di Siracusa, la figura del D’Avola scompare del tutto e non viene ravvisata
l’ipotesi del reato associativo.
Considerato in diritto

3.1 II primo motivo di doglianza non ha pregio.
Occorre rilevare che, in relazione alle censure mosse dal ricorrente in ordine
al compiuto apprezzamento della gravità indiziaria, secondo giurisprudenza
consolidata, il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato
e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (cfr. Cass. Sez. IV sentenza n. 2146 del 25/5/95, dep. 16.06.1995,
Rv. 201840; e, da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011,
dep. 04/01/2012, Rv. 251760). La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex
art. 273 cod. proc. pen. è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce
nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità
della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; ed il controllo
di legittimità non riguarda ne’ la ricostruzione dei fatti, ne’ l’apprezzamento del
giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei
dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo
formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass.
23/3/95, n. 1769, Rv. 201177). Alla Corte di Cassazione, cioè, spetta il compito di
verificare la congruenza logica della motivazione resa dal giudice di merito rispetto
alla valutazione degli elementi indiziari, come pure in ordine alla proporzionalità ed
adeguatezza dei presidi di contenimento.
Si osserva che la giurisprudenza di questa Suprema Corte risulta consolidata
nel ritenere che, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali, anche dopo
le modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001, viene in rilievo il requisito della
sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273, comma

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bis, cod. proc. pen.

(introdotto dalla legge citata) richiama espressamente il terzo e il quarto comma
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il secondo comma del citato articolo 192, ove
si prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità,
degli indizi. E muovendo da tali rilievi, la Corte regolatrice ha chiarito che il
compendio indiziario, in sede di giudizio “de libertate”, non deve essere valutato
secondo gli stessi criteri richiesti nel giudizio di merito; e che la nozione di “gravità”
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3. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

indiziaria, quale generale condizione di applicabilità delle misure cautelari, può
risultare soddisfatta anche in presenza di un solo elemento, che appaia di per sé
significativo e determinante (vedi Cass. Sez. 4, Sentenza n. 118 del 28/10/2005,
dep. 05/01/2006, Rv. 232627).
3.1.2 Delineato nei superiori termini l’orizzonte dello scrutinio di legittimità,
deve considerarsi che il Tribunale, soffermandosi specificamente sulle doglianze
dedotte dalla difesa di Lia Vincenzo, ha evidenziato che le risultanze investigative

qualificarsi come occasionale attività illecita. Ciò in quanto, detto
approvvigionamento di droga pone le basi per la costituzione di una vera e propria
associazione a delinquere, nell’ambito della quale D’Avola Michele si serve in modo
continuativo dei fratelli Lo Presti e di Lia Vincenzo, per la rivendita al dettaglio dello
stupefacente. In particolare, il Collegio ha osservato che D’Avola curava anche la
fase esecutiva del traffico degli stupefacenti, stabilendo le modalità di rivendita ed il
prezzo da praticare nelle cessioni al dettaglio. Ed ha rilevato: che D’Avola, nel
momento critico della attività, quando Salvatore Lo Presti venne tratto in arresto,
ebbe ad offrire un concreto sostegno agli associati Lia e Lo Presti Daniele, i quali si
erano subito rivolti a lui, accompagnandoli da un avvocato; e che i sodali pure
avevano fatto riferimento a D’Avola, per reperire l’arma da utilizzare al fine di
risolvere un contrasto insorto con uno dei distributori al dettaglio, tale Massimo
Fatuzzo. Il Tribunale ha poi sottolineato che i proventi delle cessioni confluivano
sempre nelle mani di D’Avola; e, del tutto logicamente, ha rilevato che la
circostanza che Lia ed i fratelli Lo Presti siano stati attinti da una altra ordinanza
cautelare per fatti analoghi commessi nel 2010, in cui D’Avola non risulta coinvolto,
non esclude la configurabilità tra gli indagati di una associazione nel periodo
relativo all’anno 2009, per le spigate ragioni.
Il Tribunale ha quindi ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi della
associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, consistenti: nel
pactum sceleris, tra almeno tre persone; nella adozione di un programma criminoso
avente ad oggetto la realizzazione nel tempo di una serie indeterminata di delitti tra
quelli previsti dall’art. 73, d.P.R. n. 309/1990; nella esistenza di una struttura
organizzativa, anche minima e rudimentale; ed ha considerato che l’elemento
soggettivo è costituito dal dolo specifico, inteso come consapevolezza di partecipare
attivamente con il proprio ruolo al sodalizio criminoso. Il Collegio ha poi evidenziato
la sussistenza della circostanza aggravante del carattere armato della associazione,
stante la disponibilità di un’arma, da parte del capo, D’Avola Michele. Al riguardo
nell’ordinanza impugnata si richiama il tenore della conversazione intercettata in
data 28.10.2009, laddove lo stesso Lia esorta il cugino a chiedere a D’Avola di
consegnargli la pistola, per averla sempre a portata di mano.
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dimostrano che l’acquisto di un chilo di marijuana, in data 13.6.2009, non può

3.1.3 Orbene, deve evidenziarsi che le valutazioni effettuate dal Tribunale del
Riesame si collocano coerentemente nell’alveo tracciato, nella materia di interesse,
dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. Ed invero, al fine della
configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico la Corte
regolatrice ha chiarito che è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a)
l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il
compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b)

fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per
attuare il piano permanente criminoso; c) l’apporto individuale apprezzabile e non
episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione
illecita (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10758 del 18.02.2009, dep. 11.03.2009, Rv.
242897).
3.2 Del pari infondato risulta il secondo motivo di ricorso, con il quale
l’esponente denuncia il vizio motivazionale, in riferimento alla scelta relativa alla
estrema misura cautelare in atto, rispetto alle attuali esigenze di contenimento.
Al riguardo, preme osservare che la Corte regolatrice ha recentemente
ribadito che il giudice deve costantemente verificare che ogni misura risulti
adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel caso concreto,
secondo il paradigma della gradualità del sacrificio imposto al soggetto sottoposto a
restrizione; e che la misura cautelare deve essere proporzionata all’entità del fatto
e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata (Cass. Sez. U,
Sentenza n. 16085 del 31/03/2011, dep. 22/04/2011, Rv. 249323).
Anche sotto tale profilo, l’ordinanza impugnata risulta immune dalle dedotte
censure.
Il Tribunale del Riesame, infatti, ha considerato che nonostante il tempo
decorso, i fatti per i quali si procede risultano sintomatici di una pericolosità
criminale pregnante, radicata ed elevata, che soltanto la misura di massimo rigore
è in grado di contenere. Il Collegio ha motivato tale assunto osservando che il
prevenuto, soggetto pregiudicato e sottoposto ad altri procedimenti penali per fatti
analoghi, risulta pienamente coinvolto nel circuito della coltivazione e dello spaccio
in forma associata di sostanze stupefacenti e, in particolare, inserito in una attività
criminosa accuratamente organizzata, con un ruolo di primo piano; ed ha
evidenziato che il pericolo di attività recidivante specifica non poteva essere
contenuto con una misura meno afflittiva, come quella degli arresti domiciliari,
giacché un presidio diverso dalla custodia in carcere avrebbe consentito all’indagato
di riprendere facilmente i contatti con soggetti che gravitano nell’ambiente ove i
fatti criminosi sono maturati. Il Tribunale ha inoltre sottolineato che sussiste altresì
il pericolo che Lia possa commettere gravi reati mediante l’uso di armi, tenuto
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l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del

conto della pericolosità di cui il predetto ha dato prova durante il corso delle
indagini.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali. Viene disposta la trasmissione di copia della presente ordinanza
al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. del c.p.p.
Così deciso in Roma in data 10 luglio 2013.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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