Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35410 del 10/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 35410 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AVOLA MICHELE N. IL 09/08/1973
avverso l’ordinanza n. 1992/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
31/12/2012

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sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott.

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let4e/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 10/07/2013

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza in data 31.12.2012, ha
confermato l’ordinanza resa dal G.i.p. presso il Tribunale di Catania il 10.12.2012,
con la quale è stata disposta nei confronti di D’Avola Michele la misura cautelare
carceraria, in riferimento ai seguenti delitti, indicati nell’imputazione provvisoria:
associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravata dalla
disponibilità di armi, associazione promossa, costituita e diretta da D’Avola Michele

detenzione illegale di armi (capo L).
Il Tribunale ha rilevato che le indagini avevano preso avvio mediante una
attività di intercettazione telefonica relativa alle utenze in uso a D’Avola Michele e di
video ripresa dell’ingresso dell’abitazione del medesimo indagato. E che era così
emerso che D’Avola si incontrava spesso con alcuni compaesani, che lo
raggiungevano davanti alla abitazione a bordo della Fiat Punto risultata di proprietà
di Vincenzo Lia.
Il Tribunale ha considerato che dagli esiti delle operazioni di intercettazione
delle conversazioni tra presenti, quindi effettuate all’interno della autovettura Fiat
Punto di proprietà di Vincenzo Lia, era emerso che i fratelli Salvatore e Daniele Lo
Presti, Lia Vincenzo ed altri avevano continue conversazioni con Michele D’Avola,
afferenti al circuito degli stupefacenti.
Il Collegio ha evidenziato che un primo riferimento a D’Avola è contenuto
nella conversazione del 4.6.2009; che a partire dal 13.06.2009 emerge e si
definisce il coinvolgimento di Michele D’Avola nella attività commerciale di spaccio
di sostanze stupefacenti; e che Lia, D’Avola e Daniele Lo Presti in tale data
stringono un accordo, del quale è parte pure Salvatore Lo Presti, per l’immissione
nel mercato di un chilo di sostanza stupefacente del tipo “erba”, pianificando
modalità di vendita e criteri di suddivisione dei guadagni.
Il Tribunale ha riferito, in particolare: che in data 18.6.2009 Lia e Daniele Lo
Presti si procurarono un chilo di marijuana, che venne nascosta presso l’abitazione
dei Lo Presti; che i correi pianificarono dettagliatamente l’attività di vendita a terzi
dello stupefacente. Oltre a ciò, il Tribunale ha rilevato che dalle indagini svolte
risultano specifiche cessioni di partite di droga effettuate da Daniele Lo Presti; che
entrambi i fratelli erano stabilmente disponibili a ricevere sostanza stupefacente, da
Michele D’Avola in modo continuativo; e che i correi avevano realizzato una
struttura organizzativa di tipo piramidale, per lo svolgimento della lucrativa attività
di cessione di sostanze stupefacenti, al vertice della quale si trovava D’Avola
Michele. Al riguardo, il Collegio ha evidenziato che dalle intercettazioni effettuate
emerge chiaramente: che D’Avola impartiva precise disposizioni ai correi, circa le
modalità con le quali effettuare le cessioni della droga; e che D’Avola controllava

(Capo A); detenzione e cessione continuata di sostanze droganti (capo B);

sistematicamente l’ammontare delle somme ricavate dall’attività di spaccio e che
effettuava la ripartizione degli utili tra i sodali.
Il Collegio ha rilevato, inoltre, che dalle operazioni di intercettazione emerge
che Lo Presti Daniele, alla fine del mese di agosto del 2009, trattò la vendita di 100
chili di marijuana, evenienza ritenuta indicativa dell’ampliamento delle possibilità di
guadagno per il gruppo di correi; che il contenuto delle conversazioni intercettate in
data 28.10.2010 evidenzia che Lo Presti Daniele si era pure reso responsabile di

prezzo di una fornitura di droga; che per costringere Fatuzzo a saldare il predetto
debito, Lo Presti Daniele intendeva farsi prestare una pistola da D’Avola Michele; e
che Lo Presti Daniele temeva la reazione da parte di D’Avola Michele, per il caso in
cui Fatuzzo fosse rimasto insolvente.
Ciò premesso, il Collegio ha ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza
non solo in riferimento al reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, ma anche con
riguardo al delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di
cui al capo A) della rubrica.
In riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale ha rilevato di condividere
le valutazioni effettuate dal giudice nel provvedimento genetico, pure a fronte del
tempo trascorso dai fatti per i quali si procede, essendo gli stessi sintomatici di una
pericolosità criminale pregnante.
2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
D’Avola Michele, a mezzo dei difensori.
Con il primo motivo l’esponente denuncia la violazione degli artt. 273 e 274
cod. proc. pen. ed il vizio motivazionale.
La parte rileva che il Tribunale ha confutato le doglianze che erano state
dedotte dalla difesa con argomentazioni illogiche e contraddittorie rispetto alle
risultanze investigative.
Dopo avere richiamato i tratti distintivi del delitto associativo rispetto al
concorso di persone, con particolare riferimento al reato continuato, rileva che nel
caso di specie non sussiste alcuna associazione per delinquere e che è incredibile
che D’Avola Michele sia stato considerato il promotore della associazione.
La parte osserva che le conversazioni valorizzate dal G.i.p. e dal Tribunale del
riesame, ritenute comprovanti la sussistenza del nucleo associativo composto da
D’Avola Michele, Lia Vincenzo ed i fratelli Lo Presti, sono elementi utili in realtà ad
escludere l’esistenza dell’associazione.
L’esponente osserva che l’attività di coltivazione di marijuana posta in essere
dai fratelli Lo Presti costituisce fatto notorio, stante l’ordinanza custodiale emessa
dal G.i.p. presso il Tribunale di Siracusa il 23.10.2012, a carico di Lia Vincenzo e dei
fratelli Lo Presti, ordinanza nella quale non compare la figura di D’Avola Michele. La

una aggressione fisica in danno di Massimo Fatuzzo, debitore del pagamento del

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parte ritiene che l’ordinanza del 2012 riguardi a lume di naso la medesima attività
criminosa iniziata nel 2009 e proseguita nel 2010. Ciò premesso, l’esponente rileva
che se dette attività criminose, commesse nel 2010, sono state inquadrate
nell’ambito di un concorso di persone nel reato e non già in riferimento ad una
associazione per delinquere, non può allora logicamente ritenersi sussistente una
ipotesi associativa con riguardo al solo anno 2009.
La parte rileva poi che la figura del D’Avola compare nelle conversazioni

Presti neppure conoscevano l’utenza telefonica in uso al D’Avola Michele, che viene
fornita a Lia in data 18.06.2009; e che dalle conversazioni intercettate risulta che i
prevenuti neppure si fidavano di D’Avola Michele. Il ricorrente sottolinea che
nell’ordinanza impugnata la posizione di D’Avola viene in rilievo solo per un’unica
transazione di sostanza stupefacente; e che D’Avola non si è interessato alla
successiva rivendita della droga, ma soltanto al recupero della somma di denaro
relativa a tale cessione. La mancanza di organizzazione, anche rudimentale, viene
poi argomentata dall’esponente sulla base delle difficoltà incontrate da Lia e dai
fratelli Lo Presti nella vendita della sostanza.
Il ricorrente osserva che la motivazione addotta nell’ordinanza impugnata,
laddove si assume che il provento della attività di spaccio transitasse nella mani del
D’Avola, il quale si sarebbe occupato della suddivisione del ricavato tra i correi, è
frutto di fantasia motivazionale, non emergendo da alcun atto tale circostanza.
L’esponente osserva che D’Avola non coordina, non promuove, non dirige, non
organizza alcunché, perché non sussiste alcuna associazione. Rileva che né D’Avola
né altri indagati hanno fatto riferimento a sostanze diverse dalla marijuana; ed
assume che anche la vicenda denunciata da Fatuzzo non provi nulla, in ordine alla
detenzione di un’arma da parte del D’Avola.
Conclusivamente sul punto, la parte osserva che il quadro indiziario non
raggiunge la soglia della gravità.
Con il secondo motivo l’esponente denuncia la violazione dell’art. 274, cod.
proc. pen. Osserva che il Tribunale ha omesso di esaminare la concretezza e la
attualità delle esigenze cautelari, in ragione del tempo trascorso dai fatti per i quali
si procede, risalenti al 2009; rileva che ad una maggiore distanza temporale dai
fatti corrisponde l’affievolimento delle esigenze di cautela, come affermato dalle
sezioni unite della Cassazione. L’esponente ribadisce che nella diversa ordinanza
custodiale emessa nel 2010 dal G.i.p. di Siracusa, la figura del D’Avola scompare

del tutto e non viene ravvisata l’ipotesi del reato associativo.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
3.1 Il primo motivo di doglianza non ha pregio.
3

intercettate soltanto dal 13.06.2009 al 15.07.2009. Considera che Lia ed i fratelli Lo

Occorre rilevare che, in relazione alle censure mosse dal ricorrente in ordine
al compiuto apprezzamento della gravità indiziaria, secondo giurisprudenza
consolidata, il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato
e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (cfr. Cass. Sez. IV sentenza n. 2146 del 25/5/95, dep. 16.06.1995,
Rv. 201840; e, da ultimo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 56 del 07/12/2011,
dep. 04/01/2012, Rv. 251760). La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex

art. 273 cod. proc. pen. è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce
nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità
della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; ed il controllo
di legittimità non riguarda ne’ la ricostruzione dei fatti, ne’ l’apprezzamento del
giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei
dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo
formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass.
23/3/95, n. 1769, Rv. 201177). Alla Corte di Cassazione, cioè, spetta il compito di
verificare la congruenza logica della motivazione resa dal giudice di merito rispetto
alla valutazione degli elementi indiziari, come pure in ordine alla proporzionalità ed
adeguatezza dei presidi di contenimento.
Si osserva che la giurisprudenza di questa Suprema Corte risulta consolidata
nel ritenere che, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali, anche dopo
le modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001, viene in rilievo il requisito della
sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273, comma 1 bis, cod. proc. pen.
(introdotto dalla legge citata) richiama espressamente il terzo e il quarto comma
dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il secondo comma del citato articolo 192, ove
si prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità,
degli indizi. E muovendo da tali rilievi, la Corte regolatrice ha chiarito che il
compendio indiziario, in sede di giudizio “de libertate”, non deve essere valutato
secondo gli stessi criteri richiesti nel giudizio di merito; e che la nozione di “gravità”
indiziaria, quale generale condizione di applicabilità delle misure cautelari, può
risultare soddisfatta anche in presenza di un solo elemento, che appaia di per sé
significativo e determinante (vedi Cass. Sez. 4, Sentenza n. 118 del 28/10/2005,
dep. 05/01/2006, Rv. 232627).
3.1.2 Delineato nei superiori termini l’orizzonte dello scrutinio di legittimità,
, deve considerarsi che il Tribunale, soffermandosi specificamente sulle doglianze
• dedotte dalla difesa di D’Avola Michele, ha evidenziato che le risultanze
investigative dimostrano che l’acquisto di un chilo di marijuana, in data 13.6.2009,
non può qualificarsi come occasionale attività illecita. Ciò in quanto, detto
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approvvigionamento di droga pone le basi per la costituzione di una vera e propria
associazione a delinquere, nell’ambito della quale D’Avola Michele si serve in modo
continuativo dei fratelli Lo Presti e di Lia Vincenzo, per la rivendita al dettaglio dello
stupefacente. In particolare, il Collegio ha osservato che D’Avola curava anche la
fase esecutiva del traffico degli stupefacenti, stabilendo le modalità di rivendita ed il
prezzo da praticare nelle cessioni al dettaglio. Ed ha rilevato: che D’Avola, nel
momento critico della attività, quando Salvatore Lo Presti venne tratto in arresto,

erano subito rivolti a lui, accompagnandoli da un avvocato; e che i sodali pure
avevano fatto riferimento a D’Avola, per reperire l’arma da utilizzare al fine di
risolvere un contrasto insorto con uno dei distributori al dettaglio, tale Massimo
Fatuzzo. Il Tribunale ha poi sottolineato che i proventi delle cessioni confluivano
sempre nelle mani di D’Avola; e, del tutto logicamente, ha rilevato che la
circostanza che Lia ed i fratelli Lo Presti siano stati attinti da una altra ordinanza
cautelare per fatti analoghi commessi nel 2010, in cui D’Avola non risulta coinvolto,
non esclude la configurabilità di una associazione nel periodo relativo all’anno 2009,
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per le spigate ragioni.
Il Tribunale ha quindi ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi della
associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, consistenti: nel
pactum sceleris, tra almeno tre persone; nella adozione di un programma criminoso
avente ad oggetto la realizzazione nel tempo di una serie indeterminata di delitti tra
quelli previsti dall’art. 73, d.P.R. n. 309/1990; nella esistenza di una struttura
organizzativa, anche minima e rudimentale; ed ha considerato che l’elemento
soggettivo è costituito dal dolo specifico, inteso come consapevolezza di partecipare
attivamente con il proprio ruolo al sodalizio criminoso. Il Collegio ha poi evidenziato
la sussistenza della circostanza aggravante del carattere armato della associazione,
stante la disponibilità di un’arma, da parte del capo, D’Avola Michele. Sul punto, il
Collegio ha specificamente osservato che Lia ed i fratelli Lo Presti hanno fatto
riferimento, nelle conversazioni intercettate, all’arma che D’Avola deteneva proprio
durante lo spazio di tempo in cui si svolgevano le richiamate attività di indagine.
3.1.3 Orbene, deve evidenziarsi che le valutazioni effettuate dal Tribunale
del Riesame si collocano coerentemente nell’alveo tracciato, nella materia di
interesse, dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. Ed invero, al fine
della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico la
Corte regolatrice ha chiarito che è necessaria la presenza di tre elementi
fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati
consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di
stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il
perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli
5

ebbe ad offrire un concreto sostegno agli associati Lia e Lo Presti Daniele, i quali si

anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) l’apporto individuale
apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla
stabilità dell’unione illecita (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10758 del 18.02.2009,
dep. 11.03.2009, Rv. 242897).
3.2 Del pari infondato risulta il secondo motivo di ricorso, con il quale
l’esponente denuncia il vizio motivazionale, in riferimento alla scelta relativa alla
estrema misura cautelare in atto, rispetto alle attuali esigenze di contenimento.

ribadito che il giudice deve costantemente verificare che ogni misura risulti
adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel caso concreto,
secondo il paradigma della gradualità del sacrificio imposto al soggetto sottoposto a
restrizione; e che la misura cautelare deve essere proporzionata all’entità del fatto
e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata (Cass. Sez. U,
Sentenza n. 16085 del 31/03/2011, dep. 22/04/2011, Rv. 249323).
Anche sotto tale profilo, l’ordinanza impugnata risulta immune dalle dedotte
censure.
Il Tribunale del Riesame, infatti, ha considerato che nonostante il tempo
trascorso, i fatti per i quali si procede risultano sintomatici di una pericolosità
criminale pregnante, radicata ed elevata, che soltanto la misura di massimo rigore
è in grado di contenere. Il Collegio ha motivato tale assunto osservando che
D’Avola Michele è soggetto pregiudicato e sorvegliato speciale, condannato anche
per violazione delle misure di prevenzione. Oltre a ciò, il Tribunale ha evidenziato
che il prevenuto si avvale di canali privilegiati per rifornirsi di elevati quantitativi di
stupefacente e che può contare su fornitori stabili, ai quali rivendere la droga; ed
ha rilevato che il pericolo di attività recidivante specifica non poteva essere
contenuto con una misura meno afflittiva, come quella degli arresti domiciliari,
giacché un presidio diverso dalla custodia in carcere avrebbe consentito all’indagato
di riprendere facilmente i diffusi contatti con soggetti che gravitano nell’ambiente
ove i fatti criminosi sono maturati.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Viene disposta la trasmissione di copia della presente ordinanza al direttore
dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94
comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

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Al riguardo, preme osservare che la Corte regolatrice ha recentemente

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. del c.p.p.

Così deciso in Roma in data 10 luglio 2013.

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