Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35403 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35403 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALERMO FELICE N. IL 16/03/1962
CARDIA CARLO N. IL 25/08/1948
avverso la sentenza n. 8209/2007 CORTE APPELLO di ROMA, del
27/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. C-~,232-Co
che ha concluso per a.
cu;
-14.~

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avvt.4.’

e

RapeAA

4g.-C-4c.

Data Udienza: 18/03/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 6 maggio 1997 il Tribunale di Roma condannava
Palermo Felice e Cardia Carlo, rinviati a giudizio per rispondere, per quanto
ancora interessa, del delitto di tentato omicidio in danno di Dimitrievic Dragoslav
commesso in Roma il 4 ottobre 1994, alla pena di anni 3 di reclusione e lire
150.000 di multa, previa derubricazione dell’originaria imputazione in quella di

2. Proposto gravame avverso tale decisione dai soli imputati, la Corte di
appello di Roma, con pronuncia del 20 maggio 1999, dichiarava la nullità della
sentenza di primo grado in quanto il Cardia era stato assistito in giudizio dallo
stesso difensore del Palermo, che ì giudici di appello ritenevano versasse in
situazione di incompatibilità, e disponeva, quindi, ai sensi dell’art. 604 comma 4
cod. proc. pen. la trasmissione degli atti al Tribunale capitolino, in quanto giudice
che procedeva nei confronti dei predetti imputati quando si era verificata la
nullità.

3. Il Tribunale di Roma, giudicando in sede di rinvio, con sentenza deliberata
il 14 maggio 2007, condannava Palermo Felice e Cardia Carlo alla pena di anni 6
di reclusione, ritenendoli colpevoli del delitto di tentato omicidio ad essi
originariamente contestato, “perché, in concorso tra loro e previo accordo,
esplodendogli contro un colpo di arma da fuoco che lo attingeva in fossa iliaca
sinistra, con conseguenti lesioni del nervo femorale sinistro, compivano atti
idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte dei Dimitrievic
Dragoslav, non verificandosi l’evento per cause indipendenti dalla loro volontà.

4. Il Tribunale, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, riteneva
infatti:
– che il divieto di infliggere una pena più grave, di cui all’art. 597, comma
terzo, cod. proc. pen., non opera nel nuovo giudizio conseguente
all’annullamento della sentenza di primo grado – impugnata dal solo imputato disposto dal giudice di appello o dalla Corte di cassazione per nullità dell’atto
introduttivo ovvero per altra nullità assoluta o di carattere intermedio non
sanata, espressamente uniformandosi al dictum delle
Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 17050 del 11/04/2006 – dep.
18/05/2006, Maddaloni, Rv. 233729);
– che sulla base degli elementi di prova acquisiti (esame del consulente
tecnico del PM; relazione del consulente tecnico della difesa, concordi nel
ritenere l’idoneità dell’azione lesiva a cagionare la morte della vittima;

60,4_

lesioni personali.

dichiarazioni della persona offesa; dichiarazioni di De Michelis Sandro, testimone
oculare dei fatti; dichiarazioni dei testi Arduini Vanessa, Guacci Paolo, Musci
Gianluca; dichiarazioni del commissario Biscozzi Antonio; dichiarazioni del
testimone assistito Chiolo Ficicca Giuseppe; dichiarazioni degli imputati),
malgrado «la presenza di vistose lacune e difformità tra le dichiarazioni dei
testimoni escussi, nonché di incongruenze e distonie tra le varie versioni
provenienti dalla medesima fonte e fornite in momenti temporali diversi», poteva
affermarsi con certezza: (a) che l’episodio che diede luogo al ferimento si

imputati ed il Chiolo da una parte, e dall’altra uno o più cittadini stranieri, tra cui
forse lo stesso Dimitrievic; fase questa che terminò con l’allontanamento del
gruppo degli italiani; (b) che nella fase successiva tornarono nuovamente nel bar
teatro del primo segmento della vicenda tutti e tre i soggetti italiani indicati e
che in questa seconda fase, dapprima si verificava uno scontro fisico tra il
Palermo ed il Cardiga da una parte e dall’altra il Dimitrievic; che costui colpiva
sul volto il Palermo con una bottiglia, ponendolo momentaneamente in condizioni
di non nuocere; che lo stesso veniva quindi raggiunto da un colpo di pistola
esploso a distanza ravvicinata; che benché ferito il Dimitrievic si avvicinava al
Chiolo ritenendolo evidentemente coinvolto nell’aggressione patita, e veniva
colpito dal medesimo con una bottiglia;
– che era parimenti certo che nell’intervallo di tempo tra le due fasi descritte
il Palermo ed il Cardia, in precedenza giunti presso il bar insieme, a bordo di una
autovettura, una volta allontanatisi dal locale, si portavano a bordo della
medesima autovettura in via dei Quintili e che ivi giunti uno di essi venne notato
dal teste Musci prelevare un oggetto celato in un cespuglio e quindi riprendere
posto sul veicolo che ripartì in direzione di Via Casilina, luogo in cui si sviluppo la
seconda fase dell’episodio delittuoso, in precedenza descritta; elementi questi
rivelatori che la condotta degli imputati si configurava come una vera e propria
“spedizione punitiva” originata dal precedente comportamento del Dimitrievic,
contro il quale gli imputati si indirizzarono immediatamente nella così detta
seconda fase della condotta ad essi ascritta, nella quale, a fronte della reazione
del Dimitrievic che riusciva a neutralizzare l’aggressore Palermo, la situazione
degenerava sino al punto che uno dei soggetti faceva uso della pistola prelevata
poco prima e che stringeva nel pugno, tenendola nascosta nella tasca;
– che nel caso in cui sia stato accertato il concorso di più persone in un
reato, nel quale l’uso concreto delle armi sia previsto e voluto come essenziale
per la realizzazione del piano criminoso, restava irrilevante, qualora l’arma sia
stata effettivamente usata, accertare chi dei concorrenti se ne sia materialmente
servito, in quanto gli atti del singolo dovevano ritenersi, al tempo stesso suoi
propri e comuni anche agli altri compartecipi;
2

COA_

sviluppò in due fasi distinte: nella prima vi fu una lite o forse una rissa tra gli

che nella specie, il ferimento del Dimitrievic fu la risultante di iniziativa
violenta in precedenza programmata, con piena previsione dell’uso dell’arma, sì
che l’azione tipica posta in essere da uno dei compartecipi, in virtù del carattere
unitario del reato concorsuale non poteva che essere riferita anche agli altri;
– che il fatto contestato andava senz’altro qualificato come tentativo di
omicidio, tenuto conto: che il colpo venne esploso a breve distanza, quasi a
bruciapelo; che il feritore e la vittima si trovavano in posizione eretta e frontale;
che il mezzo usato (pistola) era senz’altro idoneo a produrre l’evento morte della

femorale e sede di importanti organi e formazioni vascolari e nervose; che la
presenza dì volontà omicida era denotata dalla circostanza che, attesa l’estrema
vicinanza tra vittima ed il suo aggressore, e che il colpo non venne diretto verso
il basso, se costui fosse stato animato da mera volontà di ledere, avrebbe potuto
indirizzare il colpo verso il basso e quindi verso distretti corporei non vitali,
mentre la mancata reiterazione dei colpi era un dato non dirimente, per
affermare la insussistenza dell’elemento soggettivo (ravvisabile nella forma del
dolo alternativo), tenuto conto che essendosi gli imputati resi autori di una
spedizione punitiva posta in essere in luogo pubblico, in presenza di più persone
ed in vicinanza oltretutto di un commissariato di Polizia, avevano la necessità
impellente di allontanarsi dal luogo e di sottrarsi, a loro volta, rapidamente, da
eventuali reazioni degli astanti ovvero dall’immediato arresto in caso di
intervento degli agenti di polizia.

5. Proposto appello avverso tale decisione sia dal Palermo personalmente,
che dal Cardia, l’adita Corte di appello di Roma la confermava integralmente,
condividendone pienamente le motivazioni, che trascriveva integralmente, e che
riteneva resistessero alle censure mosse dagli appellanti, ritenute infondate.

6. Avverso la citata sentenza hanno proposto autonome impugnazioni sia il
Palermo, personalmente, che il Cardia, per il tramite del suo difensore, avvocato
Roberto Sacco.
6.1 Nel ricorso per cessazione, presentato dal Palermo si deduce:
– difetto e contraddittorietà della motivazione in punto di affermazione della
penale responsabilità e mancata derubricazione del reato in lesioni dolose,
denunziandosi in particolare che incongruamente i giudici di appello hanno fatto
ricorso ad una motivazione per relationem in presenza di specifici rilievi difensivi
sul punto;
– erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurabilità del
reato di cui agli artt. 56 e 575 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e illogicità
della motivazione in relazione alla sussistenza del dolo omicidiario;
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persona offesa; che venne attinta una zona del corpo, prossima all’arteria

- violazione sostanziale del divieto di reformatio in peius ex art. 597 comma
3 cod. proc. pen..
6.2 Nel ricorso proposto dal difensore del Cardia, si deduce:
– violazione del divieto di reformatio in peius, dovendo ritenersi incongrua
l’applicazione nella fattispecie del principio enunciato dalle S.U., non versandosi
in un’ipotesi di annullamento della sentenza di primo grado disposta per una
nullità ex art. 604 comma 4 cod. proc. pen.;
– nullità della sentenza per illogicità e contraddittorietà della motivazione;

motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto-reato;
difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena.

Considerato in diritto

1. Entrambi i ricorsi proposti nell’interesse degli imputati Palermo e Cardia
risultano basarsi su motivi privi di fondamento e vanno per ciò rigettati.

2. Al riguardo occorre rilevare, in primo luogo, che la sentenza appellata e
quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola
entità logico – giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia
conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare

per relationem

a

quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di
specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 (ud.
18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995
(ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa
Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime
incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione
che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione,
sempreché tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere
di decisività e non risultino, di per sé, obiettivamente e intrinsecamente idonei a
determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non
costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di
determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può
essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono
essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto
una valutazione globale e una visione di insieme, permettono di verificare se essi
rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere
la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in

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– nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e illogicità della

quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del
23/3/2000 (ud. 15/2/2000), Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del
15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv. 226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del
11/6/1999 (ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis).
Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è
considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta ne’
quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti
rilevanti, costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non

probatoria, tanto da giustificare, di per sé, una differente ricostruzione del fatto
e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

3. In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo
grado ha recepito in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado,
correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del
complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della difesa,
omettendo, in modo del tutto legittimo, in applicazione dei principi sopra
enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già
trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice, correttamente
rilevando, in particolare, con riferimento al rilievo attribuito dalle difese degli
imputati alle vistose lacune ed incongruenze riscontrabili nelle molte
testimonianze raccolte e soprattutto alla mancata individuazione dell’esatta
identità di colui che fece fuoco all’indirizzo del Dragoslav, che la ricostruzione
dell’episodio svolta dal primo giudice doveva ritenersi corretta, specie con
riferimento all’individuazione nell’episodio di due fasi ben distinte; che essendo
stati il Palermo ed il Cardia sempre insieme in tutti i momenti topici della vicenda
(arrivo presso il bar; allontanamento dal locale a bordo della stessa vettura;
prelievo della pistola; immediato ritorno al bar con l’arma che aveva il colpo in
canna; assunzione di un atteggiamento di sfida nei confronti del Dragoslav) ed
essendo il ferimento della vittima effettivamente riconducibile ad un contesto di
“spedizione punitiva”, programmata e voluta da entrambi gli imputati ed alla
quale entrambi avevano attivamente partecipato, era per ciò irrilevante stabilire
chi dei due avesse fatto fuoco materialmente, con ciò uniformandosi, pur senza
espressamente evocarlo, all’insegnamento di questa Corte (Sez. 1, n. 4612 del
26/09/1995 – dep. 13/10/1995, P.M. in proc. Condomitti, Rv. 202609), secondo
cui deve essere posto a carico di tutti i partecipi ad una spedizione punitiva
(sebbene uno solo fornito di arma, peraltro già pronta all’uso), la condotta
violenta in cui sia sfociata la rissa programmata, essendo prevedibile
quell’evento terminale come sviluppo possibile dell’ordinario svolgersi e
concatenarsi dei fatti umani, attese le concrete modalità di attuazione di essa.

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menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza

4. Quanto poi alle censure mosse dalla difesa di entrambi i ricorrenti alla
sentenza impugnata, volte a confutare la qualificazione giuridica del fatto
contestato come tentativo di omicidio, le stesse, lungi dal denunziare lacune ed
incongruenze effettivamente sussistenti nel percorso argomentativo sviluppato
dai giudici di appello, si limitano infatti a riproporre, in sede di legittimità, senza
prospettare alcun rilevante elemento di novità delle questioni già esaminate e
decise dai giudici di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici.
Ed invero, tutte le pur articolate deduzioni sviluppate in ricorso sul punto, si

accoglimento, o una diversa lettura dei dati processuali oppure una diversa
interpretazione delle prove, entrambe non consentite al giudice dì legittimità.
Ed invero i giudici dì merito, con due decisioni sintoniche ed integrate,
hanno analiticamente indicato le loro fonti di convincimento, valutandole con uno
sviluppo argomentativo che si sottrae a critiche di sorta, per la linearità logica e
giuridica che le contraddistingue e che pertanto impedisce il sindacato della
Corte di legittimità, evidenziando, sul punto, che ogni valutazione relativa alla
idoneità e direzione della condotta dell’imputato andava compiuta ex ante e non
ex post, e che deponevano per la configurabilità del tentato omicidio, anche con
riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo (nella forma, quanto meno,
del dolo alternativo), la tipologia di arma utilizzata; la traiettoria del colpo,
esploso a breve distanza dalla vittima e la sua direzione verso zone del corpo,
sede di organi vitali.
Orbene, l’art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una
diversa lettura dei dati processuali (Cass., sez. VI, 30 novembre 1994, Baldi, m.
200842; Cass., sez. I, 27 luglio 1995, Ghiado, m. 202228), o una diversa
interpretazione delle prove (Cass., sez. I, 5 novembre 1993, Molino, m. 196353,
Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Mannino, m. 202903), perché è estraneo al
giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati probatori; e l’art. 606 cod. proc. pen., lettera e), quando esige che il vizio
della motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, si limita a
fornire solo una corretta definizione del controllo dì legittimità sul vizio di
motivazione (cfr. in termini: Cass. Pen. sez.V, sent. 39843 del 9-30 novembre
2007, in rIc. Gatti Cass., sez. V, 30 novembre 1999, Moro, m. 215745, Cass.,
sez. II, 21 dicembre 1993, Modesto, m. 196955).
Infatti, pur dopo la modifica dell’art. 606, primo comma, lett. e) cod. proc.
pen. introdotta dalla legge n. 46 dei 2006, con la previsione del riferimento del
vizio di motivazione anche agli “altri atti del processo specificamente indicati nel
motivi di gravame”, per consolidata e prevalente giurisprudenza, resta immutata
la natura del giudizio di legittimità, che non può dare luogo ad una diversa
lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove, perché

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risolvono, sostanzialmente, in censure di fatto che comportano, per il loro

gli è estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati
processuali e rimane suo unico oggetto la contrarietà di un provvedimento a
norme di legge (Cass. pen. sez. 5, Ordinanza 12634/2006, Rv. 233780, Cagliari;
precedenti conformi: N. 13648 del 2006, Rv. 233381).
In conclusione, va ribadito che, in ogni caso, va esclusa la possibilità di una
nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata
dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica,
dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso

sez. 2, 7380/2007 Rv. 235716 Messina).

5.

Nè hanno pregio le considerazioni degli appellanti secondo cui la

qualificazione della condotta ad essi contestata in termini di tentato omicidio
deve ritenersi preclusa, in quanto operata in violazione del divieto della

“reformatio in peius”.
Ed invero, premesso che l’eccezione sollevata dalle difese al riguardo è stata
già esaminata dai giudici di merito e correttamente disattesa, facendo
riferimento all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n.
17050 del 11/04/2006 – dep. 18/05/2006, Maddaloni, Rv. 233729) secondo cui
«il divieto di infliggere una pena più grave, di cui all’art. 597, comma terzo, cod.
proc. pen., non opera nel nuovo giudizio conseguente all’annullamento della
sentenza di primo grado – impugnata dal solo imputato – disposto dal giudice di
appello o dalla Corte di cassazione per nullità dell’atto introduttivo ovvero per
altra nullità assoluta o di carattere intermedio non sanata», i rilievi critici mossi
in questa sede alla decisione impugnata risultano del tutto generici ovvero
manifestamente infondati, posto l’innegabile dato che l’annullamento della
sentenza di primo grado è stato disposto ai sensi dell’art. 604 comma 4 cod.
proc. pen. ovvero a seguito dell’accertamento di una nullità assoluta.

6.

Manifestamente infondata deve ritenersi, infine, anche la censura

prospettata dalla sola difesa del Cardia relativamente al trattamento
sanzionatorio, tenuto conto che il giudice non è tenuto a dar conto di tutti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen. nell’ambito della valutazione della
fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, al fine della gradazione della
pena, bensì unicamente di quelli, tra essi, cui specificamente si riferisce (in tal
senso ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 5787 del 16/04/1993, dep. il 09/06/1993,
imp. Croci, Rv. 194056) obbligo motivazionale che deve ritenersi sia stato
senz’altro assolto dalla Corte territoriale, che ha ricollegato la propria valutazione
circa l’adeguatezza della pena inflitta dal primo giudice a precisi parametri, quali

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(1u/L

giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (cfr. in termini: Cass. pen.

la gravità del fatto e la personalità degli imputati, quale desumibile dalla
dinamica della vicenda e dai loro plurimi precedenti penali.

7. Al rigetto dei ricorsi segue di diritto la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2014.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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