Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35401 del 05/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35401 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
LLANI ARJANA
LLANI IUSUF
nei confronti di:
BARONTINI SIMONE N. IL 10/11/1961
avverso la sentenza n. 24/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
FIRENZE, del 26/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore 9.enera1e ingona del Dott. fAtj- ,C14,)-0
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che ha concluso per

Udito, per la/Pfie civile, l’Avv

f

Udit i difenso(Avv.

V4+1

Data Udienza: 05/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’assise di appello di Firenze, con sentenza del 26/9/2012,
provvedendo sull’appello proposto da P.M., parte civile e imputato avverso quella
del G.U.P. del Tribunale di Firenze di condanna di Barontini Simone per il delitto
di omicidio colposo nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili
costituite, in riforma della sentenza impugnata assolveva l’imputato dal reato
ascrittogli perché il fatto non costituisce reato per legittima difesa.
cod. pen.: egli aveva esploso, secondo l’imputazione, sei colpi della pistola Smith
e Wesson regolarmente detenuta nei confronti di Muharrem Lavdimir, alias Loci
Prenge, che si era introdotto nella sua villa in piena notte per sottrarre oggetti
preziosi, colpendolo due volte in camera da letto e successivamente una volta
fuori della camera, determinandone la morte sopravvenuta per anemia acuta
metaemorragica da lacerazione di una grossa struttura venosa.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze, sottolineando che
Barontini aveva esploso tre o quattro dei sei colpi dal basso verso l’alto, quindi,
verosimilmente, dal letto nel quale dormiva verso l’intruso, aveva osservato che
i restanti tre o due colpi erano stati esplosi dall’alto verso il basso, quindi verso
Muharrem che, uscito dalla stanza, si trovava già sulle scale che portavano dal
primo piano al piano terreno; aveva ritenuto che la colluttazione con il ladro
prima degli spari riferita da Barontini non fosse in realtà avvenuta, mancando
ogni riscontro oggettivo di uno scontro fisico; aveva dato atto del nesso causale
tra gli spari e la morte di Muharrem; aveva ritenuto la condotta dell’imputato
scriminata dall’art. 52, comma 2 cod. pen., quanto meno rispetto al primo
segmento della vicenda, sussistendo sia la violazione del domicilio, sia il pericolo
di aggressione (la vittima si era introdotta nella sua camera da letto e Barontini
aveva ipotizzato che l’uomo fosse armato) e non avendo Muharrem affatto
desistito dandosi alla fuga.
Secondo il Giudice, la condotta di Barontini (fra l’altro, già vittima di
precedenti furti in abitazione) era stata necessitata dalla situazione in cui si era
trovato, né da lui era esigibile una condotta diversa.
Diversa valutazione era stata fatta rispetto al secondo segmento della
condotta, quello nel quale Barontini aveva sparato altri due o tre colpi contro
Muharrem che si era dato alla fuga e aveva iniziato a percorrere le scale,
colpendolo mortalmente.

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A Barontini è contestato il delitto di omicidio volontario ai sensi dell’art. 575

Secondo il Giudice, in questa fase era venuta meno l’attualità del pericolo
e, quindi, la necessità di una reazione; l’imputato aveva nuovamente sparato
non tanto per una consapevole determinazione, ma per un errore di valutazione
dell’entità e della persistenza della situazione di pericolo, determinato dall’ansia
e dalla preoccupazione e legato al dubbio che all’interno dell’abitazione vi
fossero dei complici (timore subito riferito alla sorella e al cognato e ritenuto
plausibile dal Giudice, secondo il quale le tracce rinvenute facevano intendere
che, probabilmente, l’uomo aveva effettivamente dei complici); per di più,
sull’intruso, che non era caduto a terra, né aveva perso sangue copiosamente e
non poteva essere sicuro delle reali intenzioni dello stesso, potendo temere che
egli intendesse tornare indietro, magari con un complice.
Tali circostanze, secondo il Giudice, avevano fatto maturare nell’imputato
una valutazione erronea circa la persistenza di un pericolo imminente per
la propria ed altrui incolumità, pericolo che, in realtà, si era esaurito: di
conseguenza il Giudice di primo grado aveva riqualificato come omicidio colposo
la condotta contestata.
La Corte territoriale, adottando in prima battuta l’impostazione del Giudice
di primo grado, osservava che il colpo mortale (quello che aveva colpito
Muharrem alla schiena) era stato esploso nella prima fase della vicenda,
quella intervenuta all’interno della camera da letto: quindi l’azione omicida era
interamente coperta dalla legittima difesa, atteso che la perizia medico legale
aveva dimostrato che le restanti ferite non avevano avuto nessuna incidenza
causale, e nemmeno concausale, sulla morte della vittima.
Ma secondo la Corte territoriale, Barontini aveva agito per legittima difesa
nel corso dell’intera azione, senza eccedere i limiti della scriminante, sussistendo
la proporzione tra offesa e difesa, avendo usato l’arma legittimamente detenuta
al fine di difendere i beni propri e altrui, in mancanza di desistenza e nel pericolo
di aggressione.
Dopo avere analizzato le azioni già poste in essere da Muharrem, la
Corte riteneva indubbio che egli stesse attentando al patrimonio altrui, con la
conseguente esigenza di difesa contemplate dall’art. 52, comma 2, lett. b) cod.
pen..
La valutazione del pericolo di aggressione e dell’avverarsi di una desistenza
doveva essere effettuata ex ante sulla base delle circostanze concrete: ebbene,
Barontini ben poteva essersi raffigurato che, al piano terreno, fossero presenti
altri complici del ladro, pronti ad intervenire e non certo bene intenzionati nei
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Barontini non si era reso conto di quale effetto avessero avuto i primi colpi

suoi confronti; tale presenza era del tutto plausibile. Inoltre, l’imputato non
aveva avuto modo di raffigurarsi l’effetto micidiale dei colpi già sparati, perché
Muharrem si muoveva velocemente sulle scale.
In definitiva, contrariamente a quanto ritenuto dal P.M. appellante, era
da escludersi, secondo la Corte, che Barontini dovesse e potesse valutare
che l’uomo era stato ferito e stava fuggendo: l’intruso poteva essere ritenuto
ancora illeso e, comunque, in grado di contare sul pronto intervento di eventuali
complici; non era, quindi, venuto meno il pericolo di aggressione, secondo
Tale valutazione era rafforzata dal lasso brevissimo della vicenda: i colpi
erano stati sparati in rapida successione, cosicché la suddivisione dell’episodio
in due fasi compiuta dal Giudice di primo grado risultava astratta sul piano
psicologico e percettivo.
Né il dirigersi del Muharrem verso le scale poteva essere interpretato come
desistenza: era una condotta contestuale alla reazione aggressiva del Barontini
e, quindi, niente affatto volontaria e libera.
Secondo la Corte, l’operatività della legittima difesa è rafforzata dalla
natura della valutazione richiesta dall’art. 52, comma 2, lett. b) cod. pen.:
una valutazione “soggettivizzata”, o comunque “soggettivizzabile”, ovvero
da ricondurre a quanto valutabile in concreto dall’agente al momento della
condotta; valutazione, quindi che può risultare ex post fallace senza che ciò
possa escluderne il rilievo scriminante; anche ritenendo il contrario, dovrebbe
applicarsi l’art. 59, comma 4, cod. pen. in presenza di errore del soggetto
agente; né detto errore poteva ritenersi colpevole.
2. Ricorre per cassazione il difensore delle parti civili L’ani Arjana e Llani
Iusuf, deducendo violazione ed erronea applicazione dell’art. 52 cod. pen. e vizio
di motivazione.
Richiamando i presupposti per l’applicazione della legittima difesa e
dell’eccesso colposo, il ricorrente sostiene che quest’ultimo istituto non può
configurarsi come travalicamento volontario dei limiti segnati dalla legge e dalla
necessità: è, quindi, inapplicabile quando l’eccesso è volontario e può essere
applicato solo se l’agente ha colposamente cagionato un evento più grave per
effetto di un errore nella valutazione dei presupposti di fatto della situazione
scriminante o nell’uso dei mezzi di esecuzione.
Non può, quindi, ritenersi sussistente l’eccesso colposo quando il colpo
letale è stato esploso contro la vittima già ridotta all’impotenza ovvero già datasi
alla fuga, non essendo il pericolo più attuale. L’azione lesiva era ormai esaurita
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l’apprezzamento dell’imputato.

,

ed, inoltre, non era legittimo l’uso di quei mezzi, che non erano gli unici nella
circostanza disponibili.
Il Giudice avrebbe quindi dovuto valutare se, al momento in cui era stato
esploso il colpo mortale, sussistevano i presupposti essenziali della legittima
difesa, quindi un’aggressione ingiusta ed una reazione legittima.
La valutazione della Corte d’appello, che aveva ritenuto sussistente i
presupposti per il solo fatto che Muharrem si trovava all’interno della camera da
letto di Barontini, era astratta e illogica, in quanto – quando era stato attinto dal
colpo mortale – Muharrem, vistosi scoperto, già si era dato alla fuga volgendo le
spalle a Barontini: pertanto egli aveva già interrotto la sua condotta aggressiva
e stava cercando di guadagnarsi la fuga, seppure si trovasse ancora all’interno
della camera da letto.
Quindi, per Barontini non esisteva più la necessità di difendersi né il pericolo
era altrimenti evitabile: egli avrebbe potuto lasciare andare Muharrem senza
esplodere nei suoi confronti altri colpi di pistola, mentre egli lo aveva inseguito
fino al pianerottolo, continuando ad infierire nei suoi confronti, esplodendo ben
sei colpi. Tale condotta non era certo dovuta ad errore di valutazione, ma era
stata consapevole e volontaria: quindi, la qualificazione giuridica data al fatto
dal giudice di merito era del tutto errata e la condotta avrebbe dovuto essere
qualificata come omicidio volontario od omicidio colposo.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

3. Ricorre per cassazione anche il Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Firenze, facendo proprie le considerazioni delle parti civili e
contestando che gli elementi indicati dal Giudice di merito a fondamento della
propria tesi presentassero, di per sé, caratteristiche tali da rappresentare una
obiettiva situazione di pericolo.
Il pericolo era in concreto inesistente, mentre Barontini aveva manifestato
la volontà di farsi giustizia da solo: il suo condizionamento mentale aveva inciso
in maniera preponderante sulla scelta della reazione da porre in essere una volta
avvedutosi della presenza di un estraneo nella sua abitazione.
Proprio la rapidissima successione di spari, la loro esplosione anche quando
Muharrem si trovava sulle scale e la circostanza che nessuno dei colpi avesse
attinto la vittima nella parte frontale del corpo, dimostrava tale volontà.
Barontini, senza preventiva valutazione della situazione di pericolo, aveva
volutamente ed aprioristicamente scaricato il revolver nei confronti della
vittima, con la precisa intenzione di ucciderla, senza nemmeno rappresentarsi
una situazione alternativa. In realtà non vi era stata un’aggressione e l’azione
dell’imputato era attribuibile alla volontà di eliminare una volta per tutte un

.

potenziale pericolo.
La Corte non aveva indicato sulla base di quali elementi Barontini potesse
ritenere che altri complici fossero presenti; comunque, anche tale timore non
giustificava la condotta tenuta.
Né la sussistenza della presunzione stabilita per legge faceva venire meno
gli altri requisiti per l’applicazione della legittima difesa.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

1. Il ricorso del P.M. è inammissibile, in quanto proposto da Pubblico
Ministero non legittimato ad impugnare la sentenza: ai sensi dell’art. 608 cod.
proc. pen., infatti, il ricorso per cassazione avverso una sentenza pronunciata in
grado di appello spetta al Procuratore generale presso la Corte di appello.
Si deve ricordare che, in base al principio generale dell’art. 568, comma 3,
cod. proc. pen., il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge
espressamente lo conferisce.
2. Anche il ricorso delle parti civili è inammissibile.
La trattazione concernente l’inesistenza di un eccesso colposo di legittima
difesa, ex art. 55 cod. pen., è totalmente estraneo alla decisione della Corte
territoriale che ha ritenuto che nessun eccesso sia riscontrabile nella condotta
dell’imputato.
Quanto alla contestazione della sussistenza dei presupposti per
l’applicazione della scriminante, essa è condotta in punto di fatto: in effetti, il
nucleo centrale del motivo è costituito dalla circostanza che, nel momento in cui
era stato colpito mortalmente all’interno della camera da letto, Muharrem si era
già dato alla fuga, volgendo le spalle a Barontini; da tale posizione, i ricorrenti
pretendono che questa Corte rivaluti la condizione in cui si trovava l’imputato
ed affermi, in particolare, che erano immediatamente venuti meno la necessità
di difendersi e il pericolo di aggressione perché, in sostanza, Muharrem, con il
gesto di voltarsi, aveva già posto in essere una desistenza.
Ben si comprende come questa Corte non possa in alcun modo sovrapporre
la propria valutazione a quella del Giudice di merito, ma solo giudicare se
la motivazione della sentenza impugnata sia manifestamente illogica o
contraddittoria con atti del processo specificamente indicati.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Con riferimento alla sentenza impugnata, nessuna censura muovono le parti
civili in ordine alla ricostruzione del fatto da parte della Corte territoriale, dando
per ammesso ciò che inizialmente sembrava incerto, che, cioè, il colpo mortale
era stato esploso in quella “prima fase” individuata dal Giudice di primo grado,
poi sconfessata dal giudice di appello: quando, cioè, Muharrem si trovava ancora
all’interno della camera da letto di Barontini e questi era ancora sul letto.
Né la motivazione della Corte – sostanzialmente ignorata dalle parti civili
ricorrenti – assume i caratteri della manifesta illogicità: in effetti la Corte ha

Barontini

non avesse alcuna possibilità di rappresentarsi il venir meno del pericolo e
dell’aggressione e il porre in essere una desistenza da parte del ladro che, di
notte, si era introdotto prima nella sua abitazione e poi nella sua camera da
letto (questa seconda introduzione chiaramente facendo intravedere il pericolo
di un’aggressione alla persona, e non solo alle cose); ulteriormente spiegando
che – anche secondo una valutazione ex post

il venir meno del pericolo non

era affatto dimostrato: del resto, già il giudice di primo grado aveva ritenuto
probabile la presenza di altri complici della vittima.
Tenuto conto della particolarità del caso, la Corte ritiene di non condannare
le parti civili ricorrenti al versamento di una somma a favore della Cassa delle
ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le parti civili ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5 marzo 2014

ampiamente chiarito perché – secondo una valutazione ex ante

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