Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35396 del 04/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 35396 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

Data Udienza: 04/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARBU ADI ANGHEL N. IL 18/05/1984
LAUTARU ILIE N. IL 22/06/1991
PANGIARELLA LUIGI N. IL 04/05/1965
avverso la sentenza n. 4/2012 CORTE ASSISE APPELLO di
L’AQUILA, del 19/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pe-02-r-> C-~eaL
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. tì‘ 1) -(An21 ,A,c1– ei,■(ylutTQA.41

f■twIc.cet.&)

,

Ritenuto in fatto

1. Barbu Adi Anghel, Lautaru Ilie e Pangiarella Luigi, sono stati dichiarati
colpevoli – all’esito sia del giudizio di primo grado che di quello di appello – dei
reati ad essi contestati di rapina aggravata in danno di Mincone Gino (capo A), di
omicidio volontario dello stesso Mincone (capo B), di porto ingiustificato di un
coltello a serramanico, (capo C).
1.1 Secondo la ricostruzione dei fatti ritenuta più attendibile dai giudici di merito,

quali, il Bardu, aveva anche la disponibilità di un coltello a serramanico – per
altro non utilizzato per commettere l’omicidio – su istigazione o comunque per
determinazione del Pangiarella, loro datore di lavoro, che li aveva accompagnati
con la propria autovettura nei pressi dell’isolata e precaria abitazione del
Mincone sita in Chieti, nella quale il predetto imputato riteneva fosse custodita
dall’anziano pensionato una considerevole somma in contanti ed un apprezzabile
quantitativo di olio di oliva, avevano fatto irruzione nell’immobile poco dopo che
la persona offesa aveva fatto ritorno a casa, dopo aver trascorso parte della
serata, come d’abitudine, presso l’abitazione della propria amica Escuadero
Juana, sorprendendolo mentre si trovava seduto ad un tavolino del locale adibito
a cucina, con la testa appoggiata sul tavolo come se dormisse.
Nell’occasione il Barbu, collocatosi alle spalle della vittima – che avrebbe potuto
riconoscerlo avendo già accompagnato in loco il Pangiarella che in passato era
stato contattato dalla vittima per l’esecuzione di un lavoro – la stringeva con il
proprio braccio al collo, mentre il Lautaru la colpiva con calci e pugni.
L’aggressione terminava solo dopo che il Mincone, evidentemente vinto dalla
maggiore prestanza fisica e dal numero degli aggressori, cadeva a terra.
I due imputati, impossessatisi della somma che il Mincone aveva nel proprio
portafoglio, custodito in una tasca del pantalone, e delle chiavi della macchina
della vittima, si davano alla fuga con la stessa, venendo poco dopo sottoposti a
fermo da una pattuglia dei Carabinieri, all’esito di un breve inseguimento
originato dal mancato rispetto ordine di arrestare la marcia della vettura, ad essi
intimato e conclusosi con il ribaltamento della vettura; fermo che, a seguito di
indagini dirette ad identificare il proprietario dell’auto, portava alla scoperta
dell’omicidio.
1.1 I giudici di merito, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di
legittimità, pervenivano alla condanna degli imputati con riferimento ai reati ad
essi contestati, valorizzando, essenzialmente, quale principale elemento di
accusa a carico degli stessi, le spontanee dichiarazioni confessorie rese,
nell’immediatezza dei fatti (il 31 agosto 2010), dal Lautaru, al quale, per il suo

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infatti, la notte del 30 agosto 2010 i due imputati, di nazionalità rumena, uno dei

comportamento collaborativo venivano riconosciute le attenuanti generiche
equivalenti alle aggravanti contestate per il delitto di rapina.
Osservavano in particolare i giudici di appello che tali dichiarazioni avevano
trovato un significativo riscontro, quanto alla dinamica dell’omicidio, nelle
risultanze della consulenza medico legale (che aveva accertato la presenza di
molti stravasi emorragici distribuiti sul collo della vittima, provocati da una
compressione esercitata dall’esterno verso l’interno, che aveva determinato la
morte per asfissia seguita da arresto cardiocircolatorio) nonché, quanto al

accusatorie rese dal Barbu, il quale, dopo un’iniziale negazione, aveva finito con
allinearsi alle dichiarazioni rese dal proprio cognato Lautaru, salvo poi
discostarsene, in sede d’incidente probatorio, limitatamente alla
raccomandazione rivolta loro dal Pangiarella, di non uccidere il Mincone.
1.2 In particolare, con riferimento alla chiamata in correità del Pangiarella
formulata dal Lautaru, la stessa aveva trovato significativo riscontro, oltre che
nelle dichiarazioni del Barbu, anche nell’attività investigata svolta a seguito
dell’acquisizione dei tabulati relativi alle utenze telefoniche nella disponibilità del
predetto imputato al momento del suo arresto, dal cui esame emergeva non solo
che l’imputato aveva avuto dei contatti telefonici con i due rumeni poco dopo la
commissione dell’omicidio, ma anche prima, nonché il dato, gravemente
indiziante, che l’imputato si trovava nella zona dell’abitazione del Mincone, alle
ore 16,43 ed alle 18,53; circostanza questa che confermava quanto riferito dal
Lautaru relativamente al sopralluogo effettuato dal Pangiarella e dal Barbu nei
pressi della casa della vittima.
1.3 Ravvisata la penale responsabilità del Barbu e del Lautaru relativamente al
reato di omicidio, del quale gli imputati dovevano rispondere a titolo quanto
meno di dolo eventuale – escludendo le modalità dell’azione, ed in particolare
l’intensità e protrazione dell’azione costrittiva esercitata dal Barbu sul collo della
vittima e la concomitante azione violenta posta in essere dal Lautaru, la
configurabilità di un omicidio preterintenzionale – i giudici di appello di appello
affermavano, altresì, la configurabilità di un concorso nell’omicidio, sia pure
anomalo, anche del Pangiarella, dovendo escludersi che la morte della vittima si
presentasse come un evento atipico, dovuto a circostanze del tutto eccezionali e
non prevedibili. La stessa raccomandazione a “non uccidere il vecchio” rivolta dal
Pangiarella ai due coimputati, del resto, rappresenta un segno evidente della
rappresentazione da parte del predetto imputato, del più grave evento
omicidiario come possibile sviluppo del programmato piano delittuoso.
1.4 Quanto poi al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale, confermata la
decisione del primo giudice di riconoscere al solo Lautaru le attenuanti generiche
e quella di cui all’art. 116 cod. pen. al Pangiarella, con giudizio di equivalenza
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concorso nel reato del Pangiarella, nelle sopravvenute dichiarazioni auto ed etero

rispetto alla recidiva contestata a tutti gli imputati – reiterata specifica quanto al
Lautaru ed anche infraquinquennale quanto al solo Pangiarella – in parziale
riforma della sentenza di primo grado, tenuto conto della diminuente relativa alla
scelta del rito, rideterminava la pena inflitta al Barbu in anni (30) trenta di
reclusione e quella inflitta al Lautaru Ilie in anni 19 (diciannove) di reclusione,
ritenendo, di contro, adeguata la pena di anni 16 (sedici) inflitta al Pangiarella,
anche in considerazione dei suoi numerosi precedenti penali (per furto, usura,
ricettazione ed estorsione) del ruolo di istigatore dell’azione dei due correi svolto

2. Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, sia il Barbu
Adi Anghel per il tramite del proprio difensore di fiducia, avvocato Martina
Primiterra, sia il Lautaru Ilie ed il Pangiarella Luigi, congiuntamente, per il
tramite del comune difensore Giancarlo De Marco.
2.1 Nel ricorso proposto nell’interesse del Barbu si denunzia:
– con un primo motivo d’impugnazione, l’illegittimità della condanna per il delitto
di omicidio volontario sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’erronea
applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo
eventuale, dovendo escludersi qualsiasi volontà omicida del ricorrente e del
cognato Lautaru, ove si consideri: che gli stessi erano entrati nell’abitazione del
Mincone armati di un’arma della quale non hanno fatto uso e che se realmente la
loro intenzione fosse stata quella di uccidere la persona offesa, non avrebbero
esitato a far uso del suddetto coltello ovvero di quello presente nella cucina; che
il consulente autoptico ha individuato la causa della morte in un’arresto cardiorespiratorio determinato da una compressione atipica del collo (ovvero una forte
costrizione esercitata sulle cartilagini tiroidee), riscontrando sul cadavere la
lussazione e non già rottura delle stesse, in assenza di dinamiche lesive sia di
strozzamento che di strangolamento; che l’azione originariamente programmata
prevedeva la consumazione di un reato contro il patrimonio e non certamente
alla consumazione di un omicidio, verificatosi solo a ragione dell’imprevisto
anticipato ritorno a casa della persona offesa, e della inaspettata sua reazione,
che essendo il Mincone una persiano anziana ma anche robusta, aveva
determinato il totale panico degli imputati, che aveva però impedito loro di
prevedere e rappresentarsi l’evento morte, che ben potrebbe, per altro, essere
stata determinata da una causa diversa dall’asfissia meccanica, in quanto il
Mincone, quando si erano dati alla fuga, era ancora in vita;
– con il secondo articolato motivo, la mancanza di adeguata motivazione,
relativamente al diniego delle attenuanti generiche, avendo i giudici di appello
confermato acriticamente la decisione del primo giudice, senza fornire adeguata
risposta alle deduzioni difensive, che pure segnalavano come il Barbu, dopo
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e del suo negativo comportamento processuale.

un’iniziale atteggiamento di negazione degli addebiti, protrattatisi per altro solo
nella notte del suo arresto, aveva poi assunto un atteggiamento pienamente
collaborativo, e ciò prima ancora di avere effettiva conoscenza degli elementi a
suo carico, rilasciando in merito alla dinamica dei fatti delle dichiarazioni
reputate attendibili dagli stessi giudici del merito; che il ricorrente versava in una
condizione di totale soggezione rispetto al Pangiarella; che la condotta posta in
essere dall’imputato nei confronti della vittima non aveva comportato alcuna
forma di accanimento, come desumibile del reato dalla disposta esclusione

2.2 Nel ricorso proposto nell’interesse del Lautaru e del Pangiarella si denuncia
l’illegittimità della decisione impugnata per violazione di legge e vizio di
motivazione:

con un primo motivo d’impugnazione, con riferimento alla ritenuta

affermazione di penale responsabilità del Pangiarella in relazione all’imputazione
di omicidio volontario, non avendo la Corte territoriale, adeguatamente valutato:
(a) che la morte del Mincone era evento del tutto atipico ed assolutamente
imprevedibile; (b) che la tesi secondo cui il Pangiarella avrebbe invitato i due
rumeni a compiere una rapina piuttosto che un furto, era del tutto illogica e non
teneva conto che i coimputati avevano una conoscenza assolutamente
approssimativa della lingua italiana, e non potevano pertanto apprezzare la
differenza esistente tra rapine e furto, termini utilizzati indistintamente da
entrambi; senza contare che lo stesso Lautaru aveva dichiarato come il
Pangiarella gli avesse riferito che la vittima era solita ritornare a casa solo dopo
le tre di notte, trattenendosi a lungo presso l’abitazione della Escudero,
circostanza confermata anche dalla predetta teste e che lo stesso si era
ripetutamente raccomandato di desistere nel caso in cui il Mincone fosse stato a
casa o vi avesse fatto ritorno, e di astenersi da qualsiasi atto violento nei suoi
confronti;
– con un secondo motivo, relativamente all’insussistenza del reato di omicidio
volontario, e la mancata, conseguente, derubricazione del fatto contestato in
omicidio preterintenzionale, tenuto conto: (a) del ripetuto invito del Pangiarella a
non far uso di violenza; (b) che le modalità dell’azione erano indicative di una
volontà degli aggressori diretta ad immobilizzare la vittima ed indurla,
picchiandola, a consegnare loro il denaro, laddove se la morte della persona
offesa fosse stata effettivamente voluta, la stessa ben avrebbe potuto essere
causata attraverso l’uso del coltello posseduto dal Barbu;
– con un terzo motivo, l’erronea determinazione dell’entità della pena inflitta al
Pangiarella, in quanto i giudici di appello nel determinare la pena base in anni 21
di reclusione a seguito dell’operato giudizio di equivalenza dell’attenuante del
concorso anomalo con la recidiva ex art. 99 comma 4 cod. pen., non avevano

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dell’aggravante di aver agito con crudeltà.

considerato che la recidiva era stata contestata solo in relazione all’art. 628 cod.
pen. riguardo i suoi precedenti penali solo reati contro il patrimonio.

Considerato in diritto

1. I ricorsi, tutti infondati in ogni loro deduzione, devono essere rigettati con
tutte le dovute conseguenze di legge.
2. In via assolutamente preliminare deve essere rilevato come risultino qui

ricostruzione alternativa in fatto – essendo logica e coerente quella operata in
modo sostanzialmente conforme da entrambi i giudici del merito – non essendo
consentita, in questa sede di legittimità, alcuna sovrapposizione ricostruttiva
nell’oggettività dei fatti quali consegnati dalle precedenti sedi di giudizio.
Venendo ora ai motivi di ricorso prospettati dai ricorrenti Barbu e Lautaru, vanno
respinte in primo luogo tutte le deduzioni inerenti all’episodio omicidiario.
Occorre subito ribadire che la ricostruzione in fatto – secondo cui il Barbu,
collocatosi alle spalle della vittima la stringeva con il proprio braccio al collo,
mentre il Lautaru la colpiva con calci e pugni – risulta ineccepibile e, comunque,
incensurabile in questa sede. Tale quadro fattuale, invero, discende in modo
certo dagli accertamenti scientifici (forte compressione esercitata sul collo della
vittima dall’esterno verso l’interno, che ne aveva determinato la morte per
asfissia seguita da arresto cardiocircolatorio) non è intaccato dalle dichiarazioni
degli imputati che investono solo l’aspetto psicologico e le motivazioni del gesto,
ma non certo i dati oggettivi di fatto, in assenza di obiettivi riscontri alla tesi
dell’improvvisa e rabbiosa resistenza opposta dell’anziana vittima, tale da
gettare nel panico i più giovani e prestanti imputati.
Ciò posto, è del tutto evidente che debba essere ritenuta logica e coerente
l’affermazione dei giudici del merito secondo cui sussiste, nel concreto, dolo
omicidiario, quanto meno nelle forme del dolo eventuale, stante circostanze e
modalità del fatto (esercizio di una forte compressione sul collo) ed il contesto in
cui veniva esplicata l’azione (rapina in danno di una persona anziana, che
abitava da solo in una località isolata; pericolo di essere riconosciuti, necessità di
procurarsi l’impunità).
Tanto ricordato, consegue ancora in modo certo l’assoluta inconfigurabilità della
prospettata ipotesi preterintenzionale la quale – come è ben noto, trattandosi di
giurisprudenza assolutamente consolidata (cfr., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 1, n.
35369 in data 04.07.2007, Rv. 237685, Zheng; ecc.) – trova il suo limite
negativo nel dolo d’omicidio anche solo eventuale, a sua volta indiscutibilmente
presente – quam minus – in chi immobilizzi con forza, con una presa al collo,
l’anziana vittima di un furto, mentre il proprio complice, collocandosi

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inammissibili tutte quelle deduzioni difensive che presuppongono una

frontalmente, la percuote ripetutamente, come eloquentemente dimostrato
anche dalla riscontrata presenza di plurime contusioni, ecchimosi ed escoriazioni
sul corpo del Mincone. L’omicidio preterintenzionale, invero, quale configurato dal
codice penale, presuppone che debba essere esclusa la volontà omicidiaria anche
nelle declinazioni del dolo indiretto (indeterminato, alternativo, eventuale).
Tale essendo stata la corretta valutazione dei giudici territoriali, secondo coerenti
parametri dì indagine in fatto e giusti profili giuridici, risulta chiara la totale
infondatezza delle deduzioni dei ricorrenti sul punto.

con riferimento alle prospettazioni svolte dal ricorrente Pangiarella, dirette ad
escludere la penale responsabilità dello stesso per l’omicidio.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’ipotesi prevista dal
secondo comma dell’art. 116 cod. pen. non è applicabile all’omicidio
preterintenzionale, in quanto trattasi di una forma attenuata di concorso
configurabile solo nella ipotesi in cui il concorrente che si vuole anomalo abbia
voluto un reato diverso da quello voluto dagli autori materiali e concretamente
attuato. Nell’omicidio preterintenzionale, invece, l’evento mortale non è voluto
da nessuno dei concorrenti; mentre tutti vogliono le lesioni o le percosse, onde
tutti devono rispondere della morte che eventualmente consegua alla
aggressione voluta (in termini Sez. 5, n. 3349 del 02/02/1996 – dep.
05/04/1996, Vanzan ed altri, Rv. 204297).
Al riguardo occorre considerare, del resto, che il Pangiarella, in quanto sicuro
compartecipe della rapina perpetrata in danno del Mincone per averla egli
ispirata, deve senz’altro rispondere, sia pure a titolo di concorso anomalo, del
fatto più grave rispetto a quello concordato, materialmente commesso dagli altri
concorrenti, dal momento che egli, come ritenuto dalla Corte territoriale con
adeguata e logica motivazione, pur non avendo in concreto previsto il fatto più
grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile
dell’azione convenuta, facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del caso
concreto, della dovuta diligenza, non potendo evidentemente riconoscersi
effettiva valenza scriminante all’assunto di avere detto imputato rivolto ai suoi
complici, “speciali raccomandazioni” a non far uso di violenza; circostanza
questa, invero, plausibilmente apprezzata dai giudici di appello come
chiaramente indicativa dell’effettiva rappresentazione nell’istigatore Pangiarella,
dell’eventualità che i suoi complici potessero far uso della forza, qualora il
Mincone avesse fatto ritorno alla sua baracca, prima di quanto era solito fare
abitualmente.
Né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi ove si ritenesse che l’originario
programma criminoso ideato dal Pangiarella contemplasse unicamente
l’esecuzione del furto in abitazione.

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3. È poi incontrovertibile che le considerazioni sin qui svolte devono valere anche

4. Inammissibili risultano, infine, i motivi d’impugnazione svolti dai ricorrenti
Barbu e Pangiarella relativamente al trattamento sanzionatorio.
Quanto al primo ricorrente, lo stesso denunzia come sostanzialmente mancante
la motivazione relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche e la
conseguente eccessività della pena inflittagli; ma la sentenza impugnata resiste
a tale censura, essendo state le attenuanti generiche negate attribuendo rilievo
negativo a significativi elementi: quali il ruolo di evidente rilevanza assunto
dall’imputato nella perpetrazione del gravissimo atto criminoso e la condotta

reso dichiarazioni palesemente false, tentando di depistare l’opera degli
inquirenti e di addossare sul solo Piangiarella ogni responsabilità.
4.1 Per quanto attiene, invece, l’impugnazione proposta sul punto dal Pangiarella
– che denunzia come i giudici di appello, nel determinare la pena base in anni 21
di reclusione a seguito dell’operato giudizio di equivalenza dell’attenuante del
concorso anomalo con la recidiva ex art. 99 comma 4 cod. pen., non avevano
considerato che la recidiva era stata contestata solo in relazione all’art. 628 cod.
pen. riguardando i suoi precedenti penali solo reati contro il patrimonio costituisce ragione di inammissibilità della censura, il rilievo che il motivo qui
illustrato non risulta proposto tra i motivi di appello.
Risulta pertanto applicabile la specifica previsione di inammissibilità di cui all’art.
606 comma 3 cod. proc. pen., atteso che – in ipotesi – si tratterebbe di violazione
di legge e non già di vizio di motivazione.
Al rigetto dei ricorsi segue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 marzo 2014.

processuale dell’imputato, che nelle primissime decisive fasi delle indagini, ha

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