Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35393 del 06/02/2014
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35393 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO
Data Udienza: 06/02/2014
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LIVADIA ALFIO N. IL 27/01/1942
avverso la sentenza n. 309/2009 CORTE APPELLO di CATANIA, del
19/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
1-e
che ha concluso per <
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46A /1-1, E•-e-c 1 Udito, per la parte civile, l'Avv ;ti Uditi difensor Avv.
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4._ RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 19.3.2013 la Corte d'appello di Catania confermava la sentenza del
Tribunale di Catania in data 6.10.2008 con la quale LIVADIA ALFIO era stato condannato alla
pena di un anno di reclusione ed euro 300,00 di multa per il delitto di cui agli artt. 2 e 7 della
legge 895/1997 per aver detenuto nella propria abitazione di Taormina, senza averne fatto
denuncia all'autorità, un fucile monocanna cal.24 regolarmente denunciato dal fratello
Salvatore come detenuto nella propria abitazione di Giarre; pena sospesa; reato accertato in
Taormina il 19.10.2006. in un terreno di proprietà dei fratelli Livadia in Giarre, i Carabinieri della predetta località, oltre
a fermare Livadia Leonardo e Livadia Salvatore perché gravemente indiziati del duplice
omicidio, effettuavano una perquisizione nell'abitazione di quest'ultimo in Giarre, dove
constatavano che il predetto deteneva diverse armi regolarmente denunciate e una carabina
ad aria compressa del fratello Alfio (risultata successivamente non classificabile come arma
comune da sparo); i Carabinieri si recavano immediatamente in Taormina presso l'abitazione di
quest'ultimo e rinvenivano un fucile monocanna cal.24 che risultava denunciato dal fratello
Salvatore come detenuto nella propria abitazione di Giarre.
La Corte d'appello confermava la responsabilità di Livadia Alfio per il delitto di detenzione
illegale del suddetto fucile, in quanto non vi era alcun elemento dal quale desumere
l'inconsapevolezza dell'imputato della presenza del fucile nella sua abitazione; non era peraltro
credibile sul piano logico che l'imputato fosse venuto a conoscenza dell'esistenza dell'arma
quando la stessa era stata rinvenuta dai Carabinieri nella sua abitazione.
Respingeva la richiesta di derubricazione nel reato di cui all'art.697 c.p., poiché non poteva
qualificarsi colposo il comportamento dell'imputato.
Secondo la Corte di merito, non vi era alcun presupposto per concedere le attenuanti
generiche, tenuto conto anche del contesto investigativo nel quale era stata rinvenuta l'arma.
Veniva respinta la richiesta di riduzione della pena, avuto riguardo alla notevole capacità
offensiva del fucile. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone
l'annullamento per erronea applicazione della legge penale e per carenza di motivazione.
Era risultato che il giorno 19.10.2006 Livadia Salvatore, in stato di fermo per duplice omicidio,
aveva giustificato il mancato reperimento del fucile cal.24 nella sua abitazione, asserendo di
averlo portato nell'abitazione del fratello Alfio a Taormina.
L'imputato, venuto a conoscenza della presenza del fucile nella sua abitazione dopo il
rinvenimento dello stesso da parte dei Carabinieri il 19.10.2006, ne aveva fatto denuncia al
Commissariato di Taormina il 3.11.2006. 1 A seguito del duplice omicidio dei fratelli Vincenzo e Alfredo Armanetti avvenuto il 19.10.2006 L'accusa, secondo il ricorrente, non aveva provato che l'imputato fosse consapevole della
presenza dell'arma nella sua abitazione per un tempo superiore a quello normalmente
necessario per fare la prescritta denuncia.
La Corte d'appello non aveva indicato da quali prove aveva tratto il convincimento che
l'imputato fosse consapevole della presenza dell'arma nella propria abitazione e neppure aveva
individuato l'epoca in cui il fucile era stato portato a casa dell'imputato.
Ma anche ammesso che l'imputato fosse consapevole della presenza del fucile nella sua
abitazione, lo stesso sarebbe stato ragionevolmente convinto che il fratello Salvatore aveva mancherebbe comunque il dolo di omettere la denuncia e, al più, sarebbe ravvisabile la
contravvenzione di cui all'art.697 c.p..
La Corte d'appello aveva immotivatamente negato le attenuanti generiche, non ridotto la pena
ai minimi di legge e non concesso il beneficio della non menzione della condanna. CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono infondati. È pacifico che a seguito della commissione di un duplice omicidio, lo stesso giorno del fatto
sono state svolte indagini nei confronti di Livadia Leonardo e Livadia Salvatore, posti in stato di
fermo; quest'ultimo, che abitava in Giarre, era regolarmente in possesso di armi.
Nell'eseguire un controllo sulle armi detenute da Lividia Salvatore, i Carabinieri constatavano
che il predetto era in possesso di una carabina ad aria compressa denunciata dal fratello Alfio,
il quale all'epoca risiedeva a Taormina, mentre non era in possesso di un fucile monocanna
calibro 24, regolarmente denunciato dallo stesso Livadia Salvatore. Interrogato sul luogo in cui
si trovava il predetto fucile, indicava la residenza in Taormina di suo fratello Alfio. I Carabinieri,
recatisi nel luogo indicato, nel quale effettivamente abitava Lividia Alfio, sequestravano allo
stesso il fucile in questione.
Il ricorrente contesta la condanna per la detenzione illegale del fucile sostenendo, innanzi
tutto, che non vi è prova che Lividia Alfio fosse a conoscenza di detenere nella sua abitazione
la suddetta arma, della cui presenza, invece, sarebbe venuto a conoscenza solo a seguito fatto regolare denuncia del cambiamento del luogo in cui deteneva il fucile, e quindi dell'intervento dei Carabinieri il giorno 19.10.2006.
Sostiene inoltre che, anche ammesso che fosse consapevole di custodire nella sua abitazione il
fucile, non vi sarebbe comunque prova che la detenzione avesse avuto una durata superiore al
tempo normalmente necessario per denunciare la detenzione dell'arma all'autorità di P.S..
Alle obiezioni della difesa ha dato una risposta logica la Corte d'appello, rilevando che era certo
che l'imputato avesse la disponibilità del fucile, detenendolo (senza averne fatto denuncia)
nella sua abitazione, mentre non era affatto credibile che non fosse a conoscenza della
presenza dell'arma nella sua abitazione né che l'avesse appena ricevuta, poiché detti elementi
non risultavano da alcuna emergenza processuale, e neppure dalle dichiarazioni rese dal
coimputato Lividia Salvatore.
2
/‘./' Il ragionamento dei giudici di merito è corretto, poiché sono pervenuti alla suddetta
conclusione sulla base delle emergenze processuali, considerando quindi i rapporti esistenti tra
l'imputato e suo fratello Salvatore; le dichiarazioni di quest'ultimo; le modalità del
rinvenimento dell'arma e la mancanza di un qualsiasi elemento di prova che corroborasse la
tesi difensiva.
Questa, in effetti, è basata solo sulle mere ipotesi, peraltro tra loro incompatibili, che
l'imputato non fosse a conoscenza della presenza del fucile nella sua abitazione o che l'arma gli
fosse stata consegnata da pochissimo tempo, senza però indicare alcun elemento a conforto dalla motivazione della sentenza impugnata.
Il dolo del delitto contestato è generico e consiste nella consapevolezza di detenere un'arma
nella propria abitazione senza averne fatto denuncia all'autorità.
L'imputato, secondo quanto accertato dai giudici di merito, era consapevole di detenere il fucile
sopra indicato nella propria abitazione, e quindi di avere la disponibilità di quell'arma senza
averne fatto denuncia all'autorità.
A nulla rileva che l'imputato potesse essere convinto che il fratello (proprietario del fucile, che
comunque all'epoca non risiedeva nella stessa abitazione dell'imputato) avesse adempiuto agli
obblighi di legge, in quanto l'obbligo di denuncia incombe sul soggetto che acquista la
disponibilità dell'arma, e l'errore sulla sussistenza dell'obbligo di denuncia non può essere
preso in considerazione per il disposto dell'art.5 c.p..
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, i giudici di merito hanno congruamente
motivato il diniego delle attenuanti generiche ed il rigetto della richiesta di ridurre la pena
inflitta dal primo giudice.
Con riguardo alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel
certificato penale, secondo la giurisprudenza di questa Corte il predetto beneficio è fondato sul
principio dell'"emenda", e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale, sicché la
sua concessione è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, e non è
necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena.
Nel caso in esame la Corte d'appello non era tenuta a giustificare le ragioni della mancata
concessione del beneficio previsto dall'art.175 c.p., poiché la richiesta della non menzione della
condanna contenuta nell'atto di appello non era accompagnata da alcuno specifico motivo.
Se poi si volessero considerare anche a sostegno della richiesta del beneficio della non
menzione i motivi con i quali sono state chieste le attenuanti generiche e una riduzione della
pena, sono state indicate nella sentenza impugnata le ragioni per le quali non potevano essere
accolti i motivi in questione.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. 3 delle suddette ipotesi che, in quanto tali, non possono vanificare i dati concreti che si evincono P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 6 febbraio 2014 Il Consigliere estensore