Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3539 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3539 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MANZON ENRICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Cepparo Rudi Denis nato a Portogruaro il 17/04/1969
avverso la ordinanza del 17/09/2015 del Tribunale di Udine
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l’imputato l’avv.(2-tA:-.

>che ha concluso riportandosi al

motivo.

RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 17/09/2015 il Tribunale di Udine, nella parte che
qui rileva, ha rigettato l’istanza di riesame proposta da Cepparo Rudi Denis
avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente emesso nei suoi confronti in data 19-20/06/2015 dal Gip presso il
Tribunale stesso, avente ad oggetto beni in ipotesi accusatoria sottratti alla fallita
Tecnogeo srl. Rilevava in particolare il Tribunale che, pacifici i fatti materiali
oggetto dell’accusa, diversamente da quanto sostenuto in diritto dalla difesa del
Cepparo, potevasi affermare la configurabilità del concorso formale tra i
contestati reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e quello -sul quale si
basava il provvedimento cautelare reale de quo

di fraudolenta sottrazione al

pagamento delle imposte, in questo senso prestando adesione ad un indirizzo
della giurisprudenza di legittimità che citava; osservava altresì il Tribunale che il

Data Udienza: 20/11/2015

reato fiscale in esame non potevasi ritenere prescritto, dovendosi fissare il
momento consumativo dello stesso con il compimento dell’ultimo atto dispositivo
perfezionante la fattispecie concreta e peraltro considerare che l’ultimo atto
interruttivo della prescrizione era il processo verbale di constatazione in data
20/06/2013.
2. Avverso tale provvedimento in parte qua tramite il difensore fiduciario ha
proposto ricorso per cassazione il Cepparo deducendo un motivo unico.
Si duole il ricorrente della violazione di legge consistente nella

giuridica del concorso formale tra il delitto di bancarotta per distrazione e quello
di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, dovendosi di contro affermare che il primo
assorbe il secondo, peraltro essendo pacifico che i fatti materiali contestati sono
assolutamente identici.
Dato atto del contrasto giurisprudenziale di legittimità (in senso favorevole
Cass., Sez. 5, n. 1843/2011; in senso contrario Cass., Sez. 5, n. 42156/2011),
chiede che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite penali.
Nel merito comunque osserva che i fatti de quibus risultano tutti commessi
entro il mese di agosto del 2009, quindi ben prima della novella della norma
incriminatrice fiscale introdotta dalla I. n. 122/2010 di conversione del d.l. n.
78/2010, sicchè anzitutto deve essere valutata ermeneuticannente la “clausola di
riserva” contenuta nella formulazione originaria della norma stessa. Rileva inoltre
che essendo quella fallimentare e quella tributaria entrambe fattispecie
sanzionatorie speciali, la prima deve considerarsi “più speciale” e perciò
applicabile in via esclusiva ex art. 15, cod. pen. Infine afferma che per tale
ragione nel caso di specie è configurabile un ipotesi di ne bis in idem, con
conseguente impromovibilità del procedimento a quo, essendo già alla fase
dibattimentale ed essendo quindi stata promossa l’azione penale nei suoi
confronti appunto per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Coerentemente chiede che, previo annullamento senza rinvio della ordinanza
impugnata, il sequestro preventivo disposto sui suoi beni venga revocato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è infondato.
2. Il motivo dedotto dal ricorrente riguarda un’ unica questione giuridica
ossia se si possa o meno configurare il concorso formale tra il reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall’art. 11, d.lgs. n.
74/2000 ed il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale previsto dall’art. 216,
primo comma, n. 1, legge fallimentare.

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considerazione da parte del Tribunale inerente la possibilità di configurazione

Come peraltro ben indicato dal ricorrente stesso, noto è che su tale
questione esiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, essendosi
affermato sia che «È configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per
distrazione. (Fattispecie relativa al delitto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 74 del
2000 nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 122
del 2010)» sia che « La fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte – che sanziona chiunque alieni simulatamente o compia atti fraudolenti

2000) – integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia
distratti.va , intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha
titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento,
ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione
operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è
riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 1. fall., le cui condotte di
distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione sono comprensive delle
condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 74
del 2000, di guisa che, in tal caso, si applica il principio di specialità di cui all’art.
15 cod. pen., in virtù del quale resta integrato il solo reato di bancarotta
fraudolenta -trattandosi di più grave reato – e si esclude la configurabilità del
concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto» (così rispettivamente,
Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253479; Sez. 5, n. 42156 del
16/11/2011, Borsano, Rv. 251698).
Il ricorrente nell’illustrare le ragioni che, a suo dire, sostengono la
fondatezza del secondo principio di diritto ossia quella della non concorrenzialità
formale dei due reati de quibus, essenzialmente si basa sull’applicazione del
principio di cui all’art. 15, cod. pen. In questo senso, premessa l’identità fattuale
delle condotte ascrittegli nei due distinti procedimenti, pendenti in fasi diverse
avanti allo stesso Tribunale di Udine, aventi ad oggetto i due differenti titoli di
reato; premesso altresì in diritto che tali condotte sono comunque
temporalmente riconducibili alla norma incriminatrice tributaria precedente alla
novella normativa del 2010, quindi con la c.d. “clausola di
salvaguardia/sussidiarietà”, afferma che, essendo comunque più grave il delitto
fallimentare, esso debba altresì considerarsi “più speciale” di quello tributario.
In particolare ricorda che tale riserva, con detta novella abrogata, in favore
del “reato più grave” era espressamente riferita nella relazione governativa al
d.lgs. n. 74/2000 proprio al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In
secondo luogo, affermata la sussistenza dell’ identità della “materia” come
previsto -quale suo presupposto di applicabilità- dall’art. 15, cod. pen.
richiamato, trattandosi di condotte latamente “distrattive” e decettive degli

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su beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. n. 274 del

interessi dei creditori, appunto sostiene la sussistenza di maggiori elementi
specializzanti nella previsione astratta della bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Ne deriva perciò il ricorrente che nel caso di specie si configura un’ ipotesi di
concorso (conflitto) apparente di norme, dovendosi fare applicazione della sola
previsione incriminatrice di cui all’art. 216, comma 1, lett. a), legge fallimentare,
con la conseguenza della impromovibilità dell’azione penale in ordine al reato
fiscale e della correlativa revoca della misura cautelare reale de qua.
Tali argomenti giuridici, con qualche minima aggiunta, sono sostanzialmente

particolare individua un rapporto di “continenza” tra le due norme incriminatrici e
sancisce che “norma continente” debba essere considerata appunto quella
fallimentare.
Ritiene tuttavia il Collegio di dover prestare adesione al più articolato ed
ermeuticamente persuasivo ragionamento sviluppato nell’altra pronuncia di
legittimità evocata, senza che vi sia perciò necessità di provocare l’intervento
delle SU di questa stessa Corte, come anche richiesto dal ricorrente.
In questo senso deve anzitutto darsi per assodato sia che nel caso di specie
i fatti contestati al Cepparo siano gli stessi nei due procedimenti pendenti a suo
carico sia che le norme incriminatrici in questione siano entrambi speciali, sì che
ben può divisarsi un’ ipotesi di c.d. “specialità bilaterale”.
Ciò posto, va tuttavia subito notato che non può affatto affermarsi che esse
regolino la “stessa materia”, dato che risulta di contro evidente che quella fiscale
è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon
esito della riscossione coattiva, quella fallimentare l’interesse del ceto creditorio
di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti. E già sotto questo primo
aspetto comunque risalta la maggiore “specialità” della previsione incriminatrice
di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000.
Peraltro, come osservatosi nella sentenza Mazzieri, va poi notata la evidente
e profonda diversità strutturale delle due fattispecie astratte, particolarmente
quanto alla natura giuridica, di pericolo quella fiscale, di danno quella
fallimentare ed all’elemento soggettivo, dolo specifico la prima, dolo generico la
seconda; dovendosi in ogni caso a tali elementi fare riferimento per identificare
la “stessa materia” (cfr. Cass. SU, n. 1235 del 28/10/2010, Giordano).
Pur non essendo evocato dal ricorrente, si deve anche rilevare, ancora
condividendosi gli argomenti del precedente di legittimità appena citato, che
nemmeno può farsi applicazione dell’ art. 84, cod. pen., data la chiara diversità
della trama lessicale del due enunciati normativi di che si tratta, dalla quale
derivano le differenze sopra indicate (natura del reato; elemento soggettivo), ma
anche considerata la profonda diversità della configurazione della soggettività
attiva, più ristretta in quello di bancarotta fraudolenta (l’imprenditore dichiarato
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gli stessi della citata sentenza n. 42156/2011 di questa Corte, la quale in

fallito ovvero per estensione soggettiva normativa gli organi amministrativi delle
imprese societarie ed Enti assimilati), più ampia in quello fiscale, essendo
astrattamente riferibile ad ogni contribuente, ancorchè non imprenditore o
normativamente assimilato.
In ultima analisi, ciò che maggiormente distingue i due reati è comunque il
bene giuridico protetto, come sopra si è individuato, che rende la norma penale
tributaria per così dire “specialissima” ed impedisce il suo assorbimento in quella
fallimentare quale “meno speciale” sia sul piano oggettivo sia sul piano

condivisibile, consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale « In
presenza della clausola di riserva ” salvo che il fatto costituisca più grave reato”,
la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che entrambi
siano posti a tutela dello stesso bene giuridico .. » (in questo senso da ultimo,
Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, Belleri, Rv. 265045, conformemente a n.
36365/2013 e n. 6250/2004). Presupposto che, per le ragioni che precedono,
deve affermarsi non ricorrente nel caso in esame, nel quale si concretizza non un
ipotesi di concorso apparente di norme, bensì la diversa ipotesi del concorso
formale di reati ovvero della continuazione tra distinti illeciti penali di cui all’art.
81, primo e secondo comma, cod. pen.
3. Il ricorso deve essere quindi rigettato ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 20/11/2015

soggettivo. Tale considerazione induce peraltro a richiamare e ad uniformarsi alla

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