Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 35387 del 20/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 35387 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CATANZARO ANTONINO N. IL 17/09/1945
avverso la sentenza n. 3202/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 06/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 20/06/2014

1) Con sentenza del 6.11.2013 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, emessa 1’11.4.2013,
con la quale Catanzaro Antonino era stato condannato, previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, per il reato di cui agli artt.81 comma 2 c.p. e 2
commi 1 e 1 bis L.638/1983, dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati
commessi fino al 16.2.2006 per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena in
mesi 3 di reclusione ed euro 250,00 di multa.
Ricorre per cassazione l’imputato, denunciando l’insufficienza della motivazione in
ordine alla affermazione di responsabilità per il reato ascritto.
2) Il ricorso è generico e manifestamente infondato.
2.1) La Corte territoriale ha, innanzitutto, richiamato la giurisprudenza di legittimità,
secondo cui il reato contestato non richiede il dolo specifico, esaurendosi con la
coscienza e volontà della omissione o della tardività del versamento delle ritenute
(cfr. Cass.pen.sez.3 n.47340 del 15.11.2007).
Ed il dolo generico non viene meno, né è comunque intaccato dalla tardività del
versamento o dall’aver il datore di lavoro demandato a terzi, anche professionisti in
materia, l’incarico di provvedere, perchè obbligato al versamento è il titolare del
rapporto di lavoro e come tale deve vigilare che il terzo adempia all’obbligazione di cui
egli è l’esclusivo destinatario (cfr. ex multis Cass. Sez. 3 n.33141 del 10.4.2002; Cass.
Sez. 3 n.5416 del 7.11.2002; Cass. Sez. 3 n.2354 del 18.11.2009; Cass.sez. 3 n. 34619
del 23.6.2010).
Ha inoltre evidenziato che l’asserito grave malattia che aveva colpito il professionista
incaricato che, per tale motivo, non aveva provveduto ad effettuare i versamenti, era
rimasta sfornita di prova.
2.2) Il ricorrente, invece di contrastare siffatte argomentazioni, si limita ad
affermare, genericamente, che non è stato adempiuto all’onere motivazionale.
Eppure l’art.581 c.p.p. richiede che l’atto di impugnazione contenga, a pena di
inammissibilità ex art.591 co.1 lett.c) c.p.p., a) i capi o i punti della decisione ai quali si
riferisce l’impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, a norma dell’art.591 comma 1
lett.c) c.p.p., con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
3.1) E’ appena il caso di aggiungere che l’inammissibilità del ricorso preclude la
possibilità di dichiarare la prescrizione (per alcune delle violazioni) maturata dopo
l’emissione della sentenza impugnata.
P. Q. M.

OSSERVA

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bichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.000,00.
Così deciso in Roma il 9.6.2€14

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