Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3538 del 22/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3538 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di

Zagaria Pasquale, nato a San Cipriano d’Aversa il 05/01/1960

Zagaria Antonio, nato a San Cipriano d’Aversa il 29/06/1962

Linetti Francesca, nata a Pontevico il 12/02/1976

avverso il decreto della Corte di appello di Napoli del 21/09/2010

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
lette le conclusioni del Procuratore generale presso questa Corte, nella persona
del Dott. Roberto Aniello, che ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, con il decreto in epigrafe, confermava il
provvedimento emesso il 29/04/2004 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere,
in forza del quale era stata disposta:

Data Udienza: 22/03/2013

- la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per anni 3 e mesi 6, nei confronti
di Pasquale Zagaria, con contestuale imposizione di una cauzione di euro
10.000,00;
– la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per anni 2, nei confronti di Antonio
Zagaria, con contestuale imposizione di una cauzione di euro 10.000,00;
– la confisca di numerosi beni (fondi, terreni, beni aziendali, veicoli, quote di

suddetti.
1.1 La Corte di appello dava atto che le misure di prevenzione si fondavano
sull’inequivocabile accertamento dell’esistenza di una associazione camorristica,
facente capo al “dan dei casalesi” ed operante nella provincia di Caserta,
all’interno della quale avevano certamente assunto ruoli di rilievo sia Pasquale
che Antonio Zagaria, entrambi fratelli di Michele (da considerare figura di vertice
del sodalizio).
Il primo era stato sottoposto più volte a misure cautelari per addebiti ex artt.
416-bis, 56 e 629 cod. pen., riportando poi condanna – anche per il reato di cui
al citato art. 416-bis – ad anni 6 di reclusione con sentenza del Tribunale di Noia
del marzo 2003: della sua posizione nella consorteria criminale avevano riferito
plurimi collaboratori di giustizia, i quali avevano posto l’accento in particolare
sulla circostanza che egli risultava titolare di una impresa edile e di movimento
terra, cui il

dan era riuscito ad imporre l’assegnazione di lavori per la

realizzazione di opere pubbliche. Della intraneità di Pasquale Zagaria
all’associazione si era avuta conferma, nell’ambito delle indagini compiute e che
avevano portato al processo come sopra definito, anche da attività di
intercettazione e da quanto accertato de visu da un colonnello dell’Arma dei
Carabinieri, infilitratosi nel sodalizio.
Lo stesso ufficiale aveva direttamente appurato il coinvolgimento di Antonio
Zagaria negli stessi fatti, essendo costui subentrato al fratello Pasquale – dopo
la restrizione in carcere di quest’ultimo – nella gestione di alcuni cantieri e delle
correlate attività, intrattenendo continui rapporti con l’inflitrato anche sulla base
di indicazioni ricevute dallo stesso Pasquale in occasione di colloqui in carcere:
anche Antonio Zagaria era stato in seguito condannato quale partecipe
dell’associazione di tipo camorristico, in forza della stessa sentenza del Tribunale
di Noia già ricordata.
1.2 In punto di misure di prevenzione personale, sulle quali gli appellanti
avevano rilevato il difetto del requisito della attuale pericolosità sociale, la Corte
territoriale segnalava che:

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partecipazione in società, somme di denaro) riferibili all’uno od all’altro dei

- il ruolo di Pasquale Zagaria nella consorteria criminale, descritto anni addietro
da alcuni collaboratori, era risultato del tutto identico a quanto riscontrato
dall’ufficiale infiltrato a distanza di tempo (il militare, presentatosi quale
referente di più imprese, aveva dichiarato fra l’altro di aver dovuto corrispondere
allo Zagaria una ingente somma di denaro a titolo di tangente, con l’altro a dirgli
che, nel caso qualcosa fosse andato storto, una pallottola in testa non gliela
avrebbe levata nessuno). La circostanza era da considerare indicativa della
permanenza del suddetto nella struttura associativa, tanto da doversi ritenere

di Nola, un «attore protagonista delle attività economico-criminali del sodalizio»;
– non erano, al contrario, stati acquisiti elementi di sorta a sostegno dell’ipotesi
che lo Zagaria avesse receduto dall’organizzazione (in proposito, la Corte di
appello richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui, appurata la
perdurante appartenenza di un soggetto ad una associazione mafiosa, non può
intendersi necessario dimostrare specificamente l’attuale pericolosità sociale del
medesimo);

analoghe considerazioni dovevano valere per Antonio Zagaria, rimasto

inizialmente in una posizione defilata solo in virtù del ruolo “onnicomprensivo”
del fratello Pasquale, ma immediatamente subentrato a quest’ultimo, una volta
in vinculis, e capace di accentrare di su di sé le attività gestite fino a poco prima
dal congiunto malgrado lo stesso Pasquale avesse contato fino a quel momento
su collaboratori più diretti.
1.3 Quanto alle misure di carattere patrimoniale, la stessa Corte napoletana
evidenziava:
– l’incapacità reddituale di Gesualda Zagaria, sorella dei proposti, a poter
acquistare con proprie entrate due delle autovetture confiscate (che risultavano
intestate a lei);
– che la “Edilmoter” s.n.c., le cui quote erano suddivise al 50% tra i due fratelli e
risultavano già confiscate in sede penale, era stata costituita proprio per
consentire all’associazione camorristica di avere un soggetto giuridico formale
attraverso cui operare in ambito imprenditoriale;
– la riferibilità ai due proposti dei fondi (formalmente intestati alla loro madre
Raffaella Fontana, peraltro priva di redditi sufficienti per giustificare
l’investimento) su cui erano stati edificati immobili residenziali, oltre alla sede ed
ai capannoni della suddetta “Edilmoter”, nonché di ulteriori terreni e fondi, e di
un complesso aziendale destinato ad allevamento di bovini e produzione di latte;
– che i mezzi di proprietà della medesima “Edilmoter” costituivano beni cui
estendere «lo scopo illecito della destinazione impressa dal titolare» all’attività di
impresa nel suo complesso;

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che egli fosse ancora, all’epoca dell’accertamento dei fatti giudicati dal Tribunale

- che Carmine e Nicola Zagaria dovevano considerarsi meri prestanome dei
proposti, con riguardo alla titolarità di due autovetture loro intestate;
– il ruolo «servente e strumentale», rispetto alla “Edilmoter”, della ditta
individuale facente capo ad Antonio Zagaria ed operante nello stesso settore del
movimento terra, ditta che non risultava avere ragion d’essere se non quella di
consentire alla struttura criminale di avvalersi per le proprie iniziative illecite di
un soggetto giuridico ulteriore;
– la provenienza illecita del denaro con cui Antonio Zagaria aveva acquistato un

di costituzione sia della società in nome collettivo che della ricordata ditta
individuale;
– la provenienza illecita della somma di 20.000,00 euro rinvenuta (in contanti)
nella disponibilità di Pasquale Zagaria a seguito di un controllo della circolazione
stradale, non essendo plausibile la versione difensiva circa la riferibilità di quel
denaro alla famiglia della moglie dello stesso Zagaria (Francesca Linetti, che
aveva dichiarato trattarsi del corrispettivo del disinvestimento di buoni postali già
intestati alla madre Anna Maria Errante, oggetto di donazione a lei). A riguardo,
la Corte di appello osservava che appariva del tutto pretestuosa la ricostruzione
della Errante, che si sarebbe fatta prestare la cifra in contanti da una sorella descritta come piuttosto parsimoniosa, e dal tenore di vita modesto – per recarsi
dalla figlia affrontando un viaggio non breve, qui facendosi restituire i buoni
postali che tempo prima aveva appunto donato alla Linetti ma ancora a lei
intestati, con il proposito di monetizzarli in seguito: fra l’altro, i giudici di merito
rilevavano che, per fatto notorio, buoni di tal fatta avrebbero potuto essere
cambiati presso qualunque ufficio postale, anche diverso da quello di emissione.

3. Propone ricorso per cassazione, nell’interesse di Pasquale ed Antonio
Zagaria, l’Avv. Sergio Cola, il quale deduce nuovamente che nella fattispecie non
potrebbe dirsi ravvisabile il requisito dell’attuale pericolosità sociale dei suoi
assistiti: rileva, in particolare, che i fatti emersi come significativi al fine indicato,
secondo la disamina offerta dalla Corte di appello, risalirebbero alla prima metà
degli anni Novanta, senza alcuna condotta successiva ascrivibile ad alcuno dei
due fratelli. In ordine alle misure patrimoniali, l’Avv. Cola lamenta che non vi
sarebbe correlazione – sul piano cronologico – tra la dedotta pericolosità dei
proposti e gli acquisti dei beni loro riferibili, atteso che alcuni beni immobili
risultano appartenere all’uno od all’altro già dal 1982, o comunque da epoca
anteriore a quella (come evidenziato, pur sempre remota) sopra ricordata: a
riguardo, la tesi difensiva è che la confisca possa attingere soltanto quei beni che
siano entrati nella disponibilità di un soggetto a partire dal momento della sua

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terreno sito in Villa Literno, atto risalente ad epoca successiva rispetto alle date

accertata partecipazione ad un sodalizio criminale, e la giurisprudenza di
legittimità che ha espresso avviso contrario risulta pur sempre aver preteso la
dimostrazione in concreto della provenienza illecita dei beni appresi.
Secondo la difesa, non vi sarebbe neppure spazio per presumere una
intestazione fittizia di beni ai terzi che i giudici di merito reputano semplici
prestanome dei fratelli Zagaria, in quanto il trasferimento o l’acquisto dei beni
medesimi risale sempre ad epoca anteriore i due (o cinque, nel quadro
normativo previgente la riforma del 2011) anni rispetto alla proposta delle

La Corte di appello sarebbe quindi incorsa nel vizio di mancanza assoluta di
motivazione, non avendo preso in esame le produzioni della difesa attestanti la
disponibilità in capo al padre di Pasquale ed Antonio Zagaria di vari beni
immobili, sin da molti anni addietro, che il de cuius aveva deciso di intestare ad
alcuni confinanti (con i quali era in rapporti di stretta amicizia) per salvaguardare
il proprio patrimonio dalle richieste di presunti creditori. A proposito di un fondo
sito in località Cancello Arnone e della ditta esercente attività di allevamento/
casearia, il decreto impugnato avrebbe pretermesso le valutazioni del Tribunale
di Noia che, nel giudizio penale più volte richiamato, ne aveva considerato
legittimi gli acquisti: secondo il difensore ricorrente, l’autonomia del
procedimento di prevenzione non potrebbe estendersi sino ad operare
valutazioni difformi sugli stessi elementi (ed ai fini dell’adozione di un identico
provvedimento, nella specie di confisca) in difetto di nuove emergenze.
L’Avv. Cola segnala infine che la confisca disposta in relazione ai decreti di
sequestro nn. 54/2001, 55/2001 e 108/2003 sarebbe intervenuta tardivamente,
a distanza di oltre un anno dagli avvenuti sequestri e senza che il Tribunale di
Santa Maria Capua Vetere abbia comunque prorogato il termine imposto dall’art.
2 ter della legge n. 575 del 1965.

4. Propone altresì ricorso, sia nell’interesse degli stessi Pasquale ed Antonio
Zagaria che per Francesca Linetti (terza interessata), l’Avv. Giovanni Cantelli.
Quest’ultimo ricorso si fonda in parte sulle stesse deduzioni di cui
all’impugnazione proposta dall’Avv. Cola (fra l’altro, reputando formule generiche
o di stile quelle utilizzate dai giudici di merito per dare come ammessa l’attuale
pericolosità sociale dei proposti), ed in parte censura il decreto emesso dalla
Corte di appello di Napoli anche laddove non avrebbe motivato:
sulla capacità reddituale di Gesualda Zagaria, con riferimento alle
autovetture a lei intestate, peraltro assai vetuste;
sulla circostanza che la “Edilmoter” dovrebbe considerarsi uno strumento
dell’associazione camorristica (circostanza apoditticamente affermata);

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misure di prevenzione de quibus.

sulla consapevolezza, in capo ad Antonio Zagaria, della sua
partecipazione ad un sistema di illecita spartizione di lavori per
l’esecuzione di opere pubbliche ed alla successiva ripartizione del ricavato
illecito;
sulla riferibilità della somma di 20.000,00 euro, rinvenuta in possesso di
Pasquale Zagaria, alla di lui moglie: a tale proposito, la difesa segnala che
«al di là della ragionevolezza o meno dell’operazione, è evidente che il
decreto avrebbe dovuto spiegare la eventuale irrilevanza o non pertinenza

inconfutabile delle affermazioni dello Zagaria e della Linetti».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Circa la presunta impossibilità di ravvisare nei riguardi dei due proposti
una attuale pericolosità sociale, le deduzioni difensive non tengono conto della
decisiva circostanza che Pasquale ed Antonio Zagaria risultano essere stati
condannati proprio in ordine al delitto ex art. 416-bis cod. pen., e neppure in
qualità di concorrenti esterni nella consorteria criminale. Trovano pertanto piena
applicazione i principi elaborati da una pluriennale giurisprudenza di legittimità,
secondo cui «ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di
appartenenti ad associazioni mafiose, una volta che detta appartenenza risulti
adeguatamente dimostrata, non è necessaria alcuna particolare motivazione del
giudice in punto di attuale pericolosità, che potrebbe essere esclusa solo nel caso
di recesso dall’associazione, del quale occorrerebbe acquisire positivamente la
prova, non bastando a tal fine eventuali riferimenti al tempo trascorso
dall’adesione o dalla concreta partecipazione ad attività associative» (Cass., Sez.
VI, n. 499 del 21/11/2008, Conversano, Rv 242379); si è altresì precisato che
«nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, il
principio secondo cui il requisito dell’attualità della pericolosità è da considerare
implicito nella ritenuta attualità dell’appartenenza, opera anche quando
quest’ultima assuma la forma del “concorso esterno”, caratterizzato, in quanto
tale, dalla non estemporaneità del contributo prestato al sodalizio e, quindi, dalla
presunzione di attualità del pericolo, in assenza di elementi dai quali possa
fondatamente desumersi l’avvenuta interruzione del rapporto» (Cass., Sez. VI,
n. 35357 del 10/04/2008, D’Arrigo, Rv 241251).
Vero è che, in un ulteriore e significativo precedente, questa Corte ha
precisato che «ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, l’attualità

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dei documenti acquisiti, posto che gli stessi forniscono la prova

della pericolosità sociale del prevenuto può essere presunta dalla sua
appartenenza ad un’associazione mafiosa solo se tale presunzione si fondi sulla
verifica del ruolo concretamente svolto in seno al sodalizio, in modo da
consentire di escludere l’impossibilità che venga ricoperto anche in futuro,
nonché, alla luce delle eventuali allegazioni difensive, dei comportamenti tenuti
dallo stesso prevenuto nel periodo intercorso tra l’accertamento del reato e il
momento di applicazione della misura» (Cass., Sez. I, n. 17932 del 10/03/2010,
De Carlo, Rv 247053): ma si trattava di una fattispecie concreta assai peculiare,

art. 444 cod. proc. pen., senza che i giudici di merito si fossero in alcun modo
pronunciati su buona parte delle allegazioni difensive, volte a dimostrare la
cessazione del vincolo tra il proposto e la presunta organizzazione criminale.
Nel caso oggi in esame, al contrario, i difensori non argomentano alcunché
circa l’allontanamento dei due Zagaria dal sodalizio camorristico, limitandosi a
rappresentare la lontananza nel tempo dei fatti sulla base dei quali (nel separato
giudizio penale) è stata affermata la loro responsabilità: vero è che, come
affermato dalla giurisprudenza richiamata dalla difesa, non è in genere
sufficiente operare riferimenti a episodi remoti, ma ciò non vale quando si
discuta – come nel caso in esame – di addebiti ex art. 416-bis cod. pen.
consacrati in una sentenza di condanna e senza una dimostrazione di concreta
interruzione del vincolo di appartenenza, certamente non ricavabile se non da
condotte indicative di una opzione definitiva e irreversibile. E’ infatti il caso di
rilevare che la sentenza n. 19791 del 16/05/2008, della Prima Sezione di questa
Corte, invocata nel ricorso dell’Avv. Cola, si riferiva a ben altra fattispecie, dove
l’attuale pericolosità del proposto – comunque affermata – riguardava un
soggetto coinvolto in attività di favoreggiamento e sfruttamento
dell’immigrazione clandestina.
Si conviene peraltro con il Procuratore generale presso questa Corte che, nel
rassegnare le proprie conclusioni scritte, pone l’accento sulla puntuale
descrizione del ruolo di ciascuno dei fratelli Zagaria nell’ambito della consorteria
criminale – con riferimento alle attività economiche ed imprenditoriali del
sodalizio – che si ricava dalla motivazione del provvedimento impugnato.
1.2 In ordine alla confisca, deve ricordarsi che in tema di misure di
prevenzione – secondo una pronuncia di questa Sezione (n. 18822 del
23/03/2007, Cangialosi, Rv 236920) – «è illegittimo il provvedimento con cui il
giudice dispone la confisca sui beni del preposto senza verificare se essi siano
entrati nella sua disponibilità successivamente o almeno contestualmente al suo
inserimento nel sodalizio criminoso, considerato che, a tali fini, non è sufficiente
la sussistenza di indizi di carattere personale sull’appartenenza del soggetto ad

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dove gli indici di pericolosità erano stati ricavati da una sentenza pronunciata ex

una associazione di tipo mafioso, implicante una latente e permanente
pericolosità sociale, ma occorre che vi sia correlazione temporale tra tale
pericolosità e l’acquisto di detti beni».
Si tratta tuttavia di un precedente isolato, atteso che ancora in epoca
successiva la giurisprudenza di questa Corte è tornata ad affermare che «è
legittima la confisca, disposta ai sensi dell’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965
n. 575 (disposizioni contro la mafia), di beni acquistati dal sottoposto alla
sorveglianza speciale di P.S. anche in epoca anteriore o successiva alla

atipica, con la preminente funzione di togliere dalla circolazione quei beni che, al
di là del dato temporale, sono stati acquisiti al patrimonio del prevenuto in modo
illecito» (Cass., Sez. II, n. 25558 del 16/04/2009, Di Salvo, Rv 244150). Principi
a cui ha manifestato adesione anche la Sezione Quinta, rivedendo recentemente
l’orientamento sopra evidenziato: la sentenza n. 27228 del 21/04/2011 (ric.
Cuozzo, Rv 250917) ha infatti ribadito che «in tema di misure di prevenzione
antimafia, sono soggetti a confisca anche i beni acquisiti dal proposto,
direttamente od indirettamente, in epoca antecedente a quella cui si riferisce
l’accertamento della pericolosità, purché ne risulti la sproporzione rispetto al
reddito ovvero la prova della loro illecita provenienza da qualsivoglia tipologia di
reato».
Nella motivazione di quest’ultima sentenza si espone che la chiara
formulazione dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 «non consente dubbi in
ordine all’assoggettabilità a confisca sia dei beni il cui valore risulti
sproporzionato alla capacità reddituale del proposto sia dei beni che risultino
essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Il perspicuo tenore
letterale non consente una lettura combinata […], nel senso, cioè, che il
parametro della sproporzione debba coesistere con la rilevata provenienza illecita
degli stessi beni. L’uso della congiunzione “nonché” con riferimento a due
distinte categorie di beni suscettivi di ablazione (beni il cui valore sia
sproporzionato e beni rispetto ai quali sia positivamente accertato essere frutto
di attività illecita ovvero reimpiego), non lascia adito a dubbi di sorta in
proposito. Il legislatore non ha prescritto per la confisca da prevenzione alcun
nesso di pertinenzialità con una determinata tipologia di illecito, ma ha
consentito una generalizzata apprensione di beni solo che sia accertato il
presupposto della pericolosità sociale del proposto, siccome appartenente ad
organizzazione delinquenziale, sulla base di un dato presuntivo che quei beni, in
valore sproporzionato, non siano stati legittimamente acquisiti. E per quanto
riguarda il dato temporale, è

ius receptum,

alla stregua di consolidata

interpretazione di questo giudice di legittimità, che siano soggetti a confisca

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situazione di accertata pericolosità soggettiva, trattandosi di misura di sicurezza

anche i beni acquisiti dal proposto, direttamente od indirettamente, in epoca
antecedente a quella cui si riferisce l’accertamento della pericolosità, purché
risulti una delle condizioni anzidette, ossia la sproporzione rispetto al reddito
ovvero la prova della loro illecita provenienza da qualsivoglia tipologia di reato
[…]. È vero, dunque, che per dettato normativo la pericolosità sociale del
proposto finisce con l’estendersi al suo patrimonio; ciò in quanto l’accertata
appartenenza a consorteria organizzata riflette uno stile di vita la cui origine non
si è ritenuto che possa farsi coincidere con la data del riscontro giudiziario,

epoca antecedente, sia pure non determinata.
Si tratta, certamente, di misura draconiana, la cui severità si giustifica, però,
in ragione delle precipue finalità della legislazione antimafia, e specialmente
dell’obiettivo strategico di colpire, anche con evidenti finalità deterrenti, l’intero
patrimonio – ove di ritenuta provenienza illecita – degli appartenenti a
consorterie criminali, posto che l’accumulo di ricchezza costituisce,
comunemente, la ragione primaria – se non esclusiva – di quell’appartenenza. Il
limite di operatività della detta misura, che la rende compatibile con i principi
costituzionali, segnatamente con il rispetto del valore della proprietà privata,
presidiato dall’art. 42 Cost., e con la normativa comunitaria, è costituito dalla
riconosciuta facoltà per il proposto di fornire la prova della legittima provenienza
dei suoi beni. Il sistema resta così affidato alla dinamica di una presunzione,
temperata, nondimeno, dalla facoltà della controprova, che attribuisce al
meccanismo presuntivo la connotazione della relatività, rendendolo così del tutto
legittimo nel quadro di una interpretazione costituzionalmente orientata».
Le argomentazioni appena riportate non possono che essere condivise e
richiamate anche con riguardo alla fattispecie concreta oggi sub judice.

Ogni

ulteriore problematica sollevata dalla difesa, ad esempio circa il raffronto tra gli
oneri sostenuti per singoli acquisti e le effettive disponibilità dei proposti o dei
loro familiari, investe ictu °cui/ il merito della vicenda, senza alcuna possibilità di
rivalutazione in questa sede: peraltro, come correttamente evidenziato dal P.g.,
la motivazione offerta dalla Corte di appello non si fonda sulle ipotesi di
presunzione di fittizia intestazione di cui agli artt. 2-bis della legge n. 575 del
1965 e 26 del d.lgs. n. 159 del 2011, bensì sulla ritenuta sufficienza di indizi per
attribuire ai proposti la disponibilità dei beni confiscati.
Inoltre, tutt’altro che apodittica risulta l’affermazione della strumentalità
della “Edilmoter” rispetto ai fini dell’associazione camorristica, atteso che quel
rapporto viene a fondarsi su un consolidato meccanismo di spartizione dei lavori
e di riconoscimento al sodalizio di una percentuale sugli utili, come
concordemente riferito dai collaboratori di giustizia.

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essendo, evidentemente, maturato – per precise scelte esistenziali – anche in

Dovendosi poi prendere atto che Raffaella Fontana, così come Gesualda,
Carmine o Nicola Zagaria non risultano avere impugnato il decreto rivendicando
l’effettiva proprietà dei beni a loro intestati, va considerata l’assoluta
ragionevolezza della motivazione offerta dalla Corte territoriale circa
l’inconsistenza della tesi difensiva relativamente alla riferibilità alla Linetti e/o
alla di lei madre della somma sequestrata al marito (la documentata presenza
della Errante in un albergo nelle vicinanze dell’abitazione della figlia pochi giorni
prima del sequestro non può certo sopperire all’omessa dimostrazione di una già

pregressa donazione): motivazione che non può in alcun modo intendersi
mancante, fino ad assurgere a violazione di legge.
Quanto infine al problema della autonomia del giudizio di prevenzione
rispetto a quello penale, non può convenirsi con la difesa circa l’assoluta
coincidenza della confisca ex art. 240 cod. pen., non disposta dal Tribunale di
Noia, rispetto alla confisca di cui all’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965: pure
in presenza di una sostanziale sovrapposizione dei rispettivi effetti, si tratta in
vero di istituti affatto diversi, il secondo dei quali è caratterizzato da un nesso di
pertinenzialità assai più lato, da correlare al rapporto fra il bene e la complessiva
attività del soggetto (da cui si possano inferire la pericolosità di quest’ultimo e la
provenienza illecita di quanto appreso), e non già fra il bene ed una specifica
condotta.
1.3 In ordine alla dedotta intempestività degli atti di confisca, è consolidata
nella giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione secondo cui «il
provvedimento di confisca dei beni nei confronti di soggetti indiziati di
appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, quando sia adottato
contestualmente a quello di applicazione della misura di prevenzione personale,
non è soggetto al termine di un anno (eventualmente prorogabile) dalla data
dell’avvenuto sequestro, previsto dall’art. 2-ter, comma terzo, legge 31 maggio
1965, n. 575, in quanto tale termine deve essere osservato solo nel caso in cui
la confisca sia disposta “successivamente”, ossia dopo l’avvenuta applicazione
della misura personale» (Cass., Sez. I, n. 26762 del 04/06/2009, Mancuso, Rv
244655; lo stesso principio è stato ribadito nei casi di aggravamento di misure
personali già applicate: v. Cass., Sez. I, n. 35175 del 04/06/2009, Sicolo).

2. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

10

avvenuta operazione di disinvestimento dei presunti buoni postali oggetto di

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 22/03/2013.

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